L’onere della prova circa la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale tra attività lavorativa e patologia contratta ricade sul lavoratore, mentre compete al datore di lavoro la prova dell’adozione di misure di sicurezza dettate dalla legge o suggerite da conoscenze sperimentali e tecniche o dagli standard di sicurezza normalmente osservati. Il processo civile e quello penale sono autonomi e separati.

Nota a Cass. 19 giugno 2020, n. 12041

Giuseppe Catanzaro

La Corte di Cassazione (19 giugno 2020, n. 12041, parz. conforme ad App. Torino 14 maggio 2013) ribadisce una serie di principi fondamentali in tema di sicurezza sul lavoro e cioè:

a) l’art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva (tra le tante, v. Cass. n. 8911/2019, in questo sito con nota di M.N. BETTINI, Rifiuto della prestazione motivato da inadempimento datoriale in materia di sicurezza, e n. 1312/2014), “essendo necessario che l’evento dannoso sia comunque riferibile a colpa del datore di lavoro, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire il danno, per cui è solo la prova dell’elemento soggettivo ad essere agevolata dall’inversione dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c.”. Si tratta cioè di responsabilità civile contrattuale per la quale opera il meccanismo dell’inversione dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c., gravando sull’autore del danno il peso della prova liberatoria;

b) anche l’azione di regresso concessa all’INAIL per soddisfare le sue finalità istituzionali ha natura contrattuale (v. Cass. n. 26497/2018). Più specificamente, sia nell’azione del lavoratore proposta per il risarcimento del danno cd. “differenziale” derivante da infortunio o malattia professionale, che nell’azione di regresso esercitata dall’INAIL, la responsabilità del datore di lavoro deve essere accertata con criteri di giudizio di tipo civilistico;

c) sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno, incombe l’onere di provare l’esistenza del danno stesso, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso di causalità tra l’una e l’altra, mentre è a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno;

d) nel caso di misure di sicurezza cosiddette “innominate”, ex art. 2087 c.c., la prova liberatoria a carico del datore di lavoro va correlata alla quantificazione della “misura della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza”. In particolare, al datore di lavoro s’impone, di norma, l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, “ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe” (v. tra tante, Cass. n. 3234/2019 e Cass. n. 27964/2018). Talune decisioni negano poi che il lavoratore debba specificamente indicare le misure che avrebbero dovuto essere adottate in prevenzione (v. Cass. n. 3788/2009 e Cass. n. 21590/2008);

e) vi è una completa autonomia e separazione tra giudizio penale e giudizio civile, per cui quest’ultimo inizia e procede senza essere condizionato dal primo. Il nostro ordinamento cioè non è più ispirato al principio dell’unitarietà della giurisdizione ma “a quello dell’autonomia di ciascun processo e della piena cognizione, da parte di ogni Giudice, delle questioni giuridiche e di accertamento dei fatti rilevanti ai fini della propria decisione”, conseguendo che “attualmente costituisce punto fermo che il Giudice civile si può avvalere nell’ambito dei suoi accertamenti in merito all’esistenza del fatto considerato come reato, di tutte le prove che il rito civile prevede”. L’insegnamento è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite, secondo cui “la separazione e l’autonomia dei giudizi comportano che il giudizio civile sia disciplinato dalle sole regole sue proprie, che largamente si differenziano da quelle del processo penale, non soltanto sotto il profilo probatorio, ma anche, in via d’esempio, con riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità, che risponde, nel processo penale, al canone della ragionevole certezza e, in quello civile, alla regola del più probabile che non” (Cass. SS.UU. n. 13661/2019; v. anche Cass. n. 2350/2018);

f) è configurabile e trasmissibile il danno subìto dalla vittima, nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, nella duplice componente di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta (Cass. n. 26727/2018 e Cass. n. 21060/2016) e di danno morale (anche definito “catastrofale”) consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita (Cass. n. 13198/ 2015 e Cass. n. 13537/2014).

Sicurezza, responsabilità contrattuale e autonomia fra giudizio civile e penale
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