Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 agosto 2020, n. 16668

Collaboratrice familiare, TFR, Rapporto “affectio ac
benevolentiae causa”, Accertamento

Rilevato, che

 

Con ricorso al Tribunale di Ancona la M. deduceva di
aver lavorato come collaboratrice familiare in favore del defunto M. S. dal
2001 al 2010, di non essere stata adeguatamente retribuita e di non aver
percepito il t.f.r.; chiedeva pertanto la condanna dell’erede S., A.G. D., al
pagamento della somma complessiva di €.70.073.

Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo
sostanzialmente che tra le parti avesse avuto corso un rapporto “affectio ac
benevolentiae causa” che escludeva un rapporto di lavoro subordinato, anche
considerato che nel corso del decennio nulla era stato chiesto e corrisposto a
titolo di retribuzioni.

Avverso tale sentenza proponeva appello la M.;
resisteva la D..

Con sentenza depositata il 22.3.16, la Corte
d’appello di Ancona riformava la sentenza di prime cure, accertando l’esistenza
tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato part time, condannando la
D’Anna al pagamento, in favore della M., delle differenze retributive e di
t.f.r. per €.34.076,35, condannandola inoltre al pagamento dei 34 delle spese
del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la D., affidato a tre motivi, cui resiste la M. con controricorso.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione delle disposizioni codicistiche che regolano il rapporto di lavoro
subordinato (in primis l’art. 2094 c.c.), e la
mancata considerazione della assoluta mancanza di sicuri indici della
subordinazione, dell’obbligo di prestare attività lavorativa e della volontà
delle parti.

Con secondo motivo denuncia un vizio di motivazione,
avendo riscontrato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato escludendo
quello di un rapporto affettivo con convivenza more uxorio.

Con terzo motivo si duole dell’omessa pronuncia
sulla eccepita violazione dell’art. 342 c.p.c.
per la mancata formulazione con l’atto di appello di critiche specifiche alla
decisione di primo grado.

Con quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello
condannato l’odierna ricorrente al pagamento di oneri contributivi, non
risultando formulata dalla M. la relativa domanda; ed infine la nullità della
sentenza per la mancata evocazione in giudizio dell’ente previdenziale.

Il ricorso è in larga parte inammissibile e per il
resto infondato.

Inammissibile è innanzitutto il terzo motivo, non
chiarendo la ricorrente le ragioni per cui il ricorso in appello sarebbe
irrituale. Occorre infatti ribadire che quando col ricorso per cassazione venga
denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza
impugnata, sostanziandosi nel compimento dì un’attività deviante rispetto ad un
modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un
vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per
indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo
fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione
all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di
merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare
direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché l
censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al
riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle
prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma,
n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc.
civ.), Cass.sez.un. 22.5.2012 n. 8077; Conformi: Cass.n. 2288017, n.
740617; n. 15817 del 2004, Cass. n.1941015;
Cass. n. 1173816) e pertanto con tutte le precisazioni e i riferimenti a ciò
necessari (Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771). Nella specie l’atto di appello non
risulta neppure depositato.

I primi due motivi sono parimenti inammissibili,
criticando accertamenti e valutazioni di fatto del giudice di merito non più
censurabili in base al novellato n. 5 dell’art.360,
co. 1 c.p.c.

Il quarto ed il quinto motivo sono infondati non
avendo la Corte di merito condannato la D. al pagamento di contributi
previdenziali ma solo, come di regola, al pagamento degli importi a debito
lordi dovendosi ribadire che le somme cui è condannato il datore di lavoro in
favore del lavoratore debbono essere liquidate al lordo e non al netto delle
ritenute fiscali e previdenziali (ex aliis, Cass. n. 10942 del 18/08/2000, Cass. n. 2544 del 21/02/2001, Cass. n. 11121 del
26/07/2002).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
€.200,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12
n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente,’ dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art.13, se
dovuto.

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