Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 agosto 2020, n. 16718

Pensione di reversibilità, Determinazione, Decadenza
triennale, Prescrizione dei crediti pretesi

Fatti di causa

 

1. Con ricorso del 20 settembre 2006 M.C. (titolare
di pensione diretta e di pensione di reversibilità cat. SO, decorrenti da data
anteriore al 1983) espose che l’INPS le aveva negato sia l’integrazione al
trattamento minimo sulla pensione diretta che il trattamento previsto dalla
sentenza della Corte Costituzionale n. 81 del 1989, riguardante l’integrazione
al trattamento minimo sulla pensione di reversibilità, benefici che invece le
spettavano superando le due pensioni cumulate il minimo garantito dalla legge;
pertanto, chiese al giudice del lavoro di Lecce di riconoscere il proprio
diritto alle differenze pensionistiche ed alla determinazione della pensione di
reversibilità nell’importo cristallizzato al 30.9.1983, con condanna dell’INPS
al pagamento delle somme maturate nei dieci anni precedenti.

2. Il Tribunale accolse la domanda e la Corte
d’appello, su impugnazione dell’INPS incentrata sulle eccezioni di decadenza
triennale e di prescrizione dei crediti pretesi, confermò la sentenza di primo
grado.

3. Ad avviso della Corte territoriale la genericità
della eccezione di prescrizione non ne consentiva la disamina, mentre
l’eccezione di decadenza era infondata in ragione del fatto che, nel caso di
specie, operava la decadenza decennale in quanto il procedimento amministrativo
si era concluso nel 2003, posteriormente all’entrata in vigore dell’art. 4 d.l. n. 384/1992 conv.
in I. n. 438/1992, con proposizione del ricorso
giurisdizionale in data 20 settembre 2006; pertanto, l’azione era stata promossa
entro il decennio dall’esaurimento del procedimento amministrativo.

4. Avverso tale sentenza ricorre l’INPS sulla base
di due motivi.

Gli eredi di M.C., deceduta nelle more del giudizio,
resistono con controricorso illustrato da memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso l’Inps denuncia
violazione dell’art. 47 d.P.R
n 639/1970, come modificato dall’art. 38 del d.l. n 98/2011 conv.
in I. n. 111/2011, nonché dell’art. 38 , 4 comma, del d.l.
citato; in particolare, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto non
applicabile la decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639 del
1970, come modificato dall’art.
38, comma 1, lett. d), del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. in I. n. 111 del 2011. Rileva che la nuova
formulazione dell’art. 47
cit. è applicabile ai giudizi pendenti al 6/7/2011 in primo grado e che, nella
specie, il giudizio era pendente a tale data in quanto era stato introdotto con
ricorso del 20/9/2006 e definito in primo grado con sentenza del
31.1.2011/10.10.2011. Inoltre, la ricorrente percepiva le pensioni da molto più
di tre anni prima della proposizione del ricorso giudiziario ed il termine di
decadenza aveva iniziato a decorrere dal riconoscimento parziale della
prestazione, ovvero dal pagamento della sorte capitale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione dell’art. 47-bis del
d.P.R. n. 639/1970 introdotto dall’art 38 del d.l. n. 98/2011 conv.
con modifiche in I. n. 111/2011, nonché dell’art. 38, quarto comma, del d.l. n.
98 conv. in I. n. 111/2011. Lamenta che la
Corte d’appello ha applicato la prescrizione decennale senza tenere conto che
in base all’art. 47-bis cit. il termine di prescrizione dei ratei di pensione e
relative differenze è pari a cinque e non a dieci anni.

4. Il ricorso è infondato. Va qui ribadito il
principio, già affermato da questa Corte (Cass. n. 16549/2016; Cass. n.
21319/2016; Cass. n. 4671/2019), secondo il quale “La decadenza di cui
all’art. 47 del d.P.R. n. 639
del 1970, come modificato dall’art.
38, comma 1, lett. d), del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. in I. n. 111 del 2011, non si applica alle domande
di riliquidazione di prestazioni pensionistiche, aventi ad oggetto
l’adeguamento di prestazioni già riconosciute, ma in misura inferiore a quella
dovuta, liquidate prima del 6 luglio 2011, data di entrata in vigore della
nuova disciplina”.

5. Va, infatti, precisato, che oggetto del presente
giudizio è la riliquidazione di trattamento pensionistico già riconosciuto
dall’INPS in modo parziale. Tale fattispecie – prima della innovativa
disciplina contenuta nell’art.
38, comma 1, lettera d, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in Legge 15 luglio 2011, n. 111 del 2011, che si
occupa di estendere la disciplina della decadenza “alle azioni giudiziarie
aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il
pagamento di accessori del credito” – non poteva essere certamente
soggetta ad alcuna decadenza ai sensi dell’art. 47 cit. in quanto
rientrante nel regime di esclusione delineato, secondo ripetute indicazioni, da
questa Corte (Cass. Sez. un. 18 luglio 1996 n. 6491;
Sez. Un. n. 12720 e n. 12718 del 29.5.2009; Cass. n. 12516/2004).

6. Tali pronunce hanno affermato che la decadenza di
cui all’art. 47 del d.P.R. 30
aprile 1970, n. 639 – come interpretato dall’art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n.
103, convertito, con modificazioni, nella legge
1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in
cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del
diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento
di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto,
come avviene nei casi in cui l’istituto previdenziale sia incorso in errori di
calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o abbia
disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro
limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale” (sentenza n. 12720 del 29/05/2009).

7. Si tratta di un indirizzo ancora applicabile
rispetto alle prestazioni liquidate prima del 6.7.2011, data di entrata in
vigore della nuova disciplina di cui al D.L. n.
98/2011, conv. in I. n. 111/2011, posto
che con la sentenza n. 69/2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale della nuova disciplina della decadenza
introdotta nel 2011 per le liquidazioni parziali nella sua (limitata) portata
retroattiva, in relazione ai “giudizi in corso in primo grado”. E ciò
proprio perché si tratta di disciplina diversa da quella precedentemente in
vigore, per come delineata in base alla giurisprudenza delle Sezioni Unite. La Corte
Cost. ricorda, infatti, che in sede di esegesi della precedente normativa
“le sezioni unite della Corte di cassazione già con sentenza n. 6491 del
1996 avevano affermato – e con successiva pronunzia
n. 12720 del 2009 hanno ribadito – che la decadenza ivi prevista non può
trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia
rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione
previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già
riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in
cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente,
nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della
ordinaria prescrizione decennale”.

7.Pertanto nel caso in esame, trattandosi di
liquidazione parziale ovvero di prestazione riconosciuta solo in parte, la
decadenza non poteva essere applicata, prima dell’entrata in vigore della nuova
normativa, neppure in relazione ai singoli ratei.

8. Analoghe considerazioni devono valere con
riferimento all’eccezione di prescrizione di cui al secondo motivo del ricorso
dell’Inps.

Per quel che qui rileva, l’art. 38, comma 4, del d.l. 6 luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, I. 15 luglio 2011,
n. 111, dichiarato incostituzionale da Corte
Cost. n. 69 del 2014, alla lettera d) aveva aggiunto il citato art 47-bis per cui la pronuncia
di illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, riguarda
necessariamente anche le disposizioni introdotte dall’art. 47-bis, che non potrà che
avere applicazione per il periodo successivo al 6/7/2011, dovendosi al riguardo
richiamare quanto si legge nella citata sentenza della Corte Costituzionale che
sottolinea “il vulnus arrecato al principio dell’affidamento, nella parte
in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lettera d), si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del
presente decreto”; è evidente che se il nuovo termine quinquennale di
prescrizione per ratei non liquidati, in vigore dal 6 luglio 2011, si applica
solo da tale data, essendo stato proposto il ricorso introduttivo in data 20
settembre 2006, non viene neanche in rilievo l’applicazione dell’art. 252 disp. att. c.c. valevole in ogni caso in
cui cambia la prescrizione in corso di rapporto.

9. Anteriormente a tale nuova disciplina, come si è
detto inapplicabile al caso di specie, la soluzione della questione del termine
di prescrizione dei crediti per prestazioni non corrisposte integralmente, ha
formato oggetto di numerose pronunce di questa Corte di cassazione che ha avuto
modo di elaborare il principio di diritto secondo il quale in tali casi
l’applicabilità dell’art. 2948 c.c. è preclusa
in quanto, pur trattandosi di erogazioni periodiche mensili, non sussiste il
presupposto implicito della liquidità ed esigibilità del medesimo credito
preteso; l’art. 2948 c.c., si è detto,
presuppone la liquidità ed esigibilità del credito, perché solo in tal caso il
credito stesso si può considerare pagabile periodicamente e non è sufficiente,
a questo fine, che tale sia soltanto in astratto, in base cioè alla disciplina
legale applicabile nei momento in cui esso è sorto (Cass. 21 maggio 1990 n.
6245, Cass. n 12472 del 1993, cit., Cass. n 7393 del 1994; Cass. n. 4534 del
1995; Cass. 2563 del 2016).

10. Si è affermato che alle componenti essenziali di
ratei di prestazioni previdenziali o assistenziali non liquidate si applica la
prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione quinquennale, che
presuppone la liquidità del credito, da intendere, non secondo la nozione
comune, ma secondo il disposto del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827,
art. 129, secondo cui si prescrivono in cinque anni a favore dell’istituto
le rate di pensione “non riscosse”; ne consegue che il diritto di
credito relativo a qualsiasi somma (ivi compresa quella per rivalutazione ed
interessi, costituente parte  integrante
del credito base) che non sia stata posta in riscossione si prescrive nel
termine di dieci anni, trattandosi di credito non liquido ai sensi e per gli
effetti del citato art. 129
(Cass. n. 10955 del 2002 ed anche Cass. n. 4353
del 2009, n. 16023 del 2004, n. 17771 del 2003, n. 7030 del 2003, n. 17126 del
2002).

11. Il ricorso va, dunque, rigettato. Le spese del
giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00
per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del
15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis.

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