Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 agosto 2020, n. 17575

Licenziamento per giusta causa, Numerose operazioni
irregolari e anomale, senza effettuare le dovute valutazioni ai fini della
normativa antiriciclaggio, Elementi istruttori acquisiti insufficienti

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Napoli, in riforma della
sentenza del Tribunale della medesima sede, ha – con sentenza n. 786 depositata
l’1.2.2019 – accolto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta
causa intimato da C.E. s.p.a., in data 3.10.2016, a V.L., per aver consentito –
in qualità di Responsabile di filiale e nel periodo 2010-2015 – numerose
operazioni irregolari e anomale al promotore finanziario della banca E.C. senza
effettuare le dovute valutazioni ai fini della normativa antiriciclaggio.

2. La Corte – rilevato che oggetto della
contestazione disciplinare era la mancata attivazione delle procedure
disciplinate dalla normativa antiriciclaggio nonostante le segnalazioni di
operazioni anomale inoltrate al L. e dai cassieri della filiale (dovendo,
inoltre, ritenersi coperto da giudicato l’accertamento del Tribunale circa
l’esclusione dall’ambito del licenziamento di ulteriori comportamenti di
conflitto di interessi comunicati nella lettera di contestazione disciplinare)
– riteneva che tutti gli elementi istruttori acquisiti non avessero dimostrato
l’infrazione addebitata, con conseguente insussistenza dei fatti materiali,
annullamento del licenziamento e condanna della banca alla reintegrazione nel
posto di lavoro e al pagamento di un’indennità pari a 12 mensilità della
retribuzione globale di fatto.

3. Per la cassazione di tale sentenza il C.E. s.p.a.
ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. Il lavoratore ha resistito con
controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia
violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,
e 1367 cod.civ. con riguardo alla lettera di
contestazione disciplinare (in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale,
errato nel ritenere esclusivamente contestata la mancata attivazione della
procedura antiriciclaggio per le operazioni anomale eseguite dal promotore
finanziario C., dovendo ritenersi inclusa anche la mancata segnalazione (ai
superiori gerarchici e agli organi di vigilanza aziendale) di operazioni
irregolari effettuate dal promotore a prescindere dalla violazione della
normativa antiriciclaggio. L’applicazione degli usuali canoni interpretativi,
con particolare riferimento al criterio letterale e alla valutazione
complessiva di tutto il contenuto dell’atto negoziale, avrebbe consentito di
verificare che la contestazione disciplinare aveva ad oggetto la condotta
omissiva relativa sia operazioni anomale eseguite dal C. (operazioni allo
sportello senza clienti, contabili irregolari, consegna di carte di
debito/credito a mani del promotore finanziario sebbene vietata da circolare
interna) sia operazioni poste in violazione della normativa antiriciclaggio
(prelievi in contante ripetuti, importi elevati, movimentazioni di contanti).

2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame di
un fatto decisivo (in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato il
riconoscimento degli addebiti effettuato dal L. attraverso le lettere di
giustificazione fatte pervenire alla banca nel corso del procedimento
disciplinare (lettere del 5.8, 9.9, 28.9.2016 e verbale di audizione orale del
6.9.2016) con cui si riconosceva la sussistenza di operazioni anomale.

3. Con il terzo motivo si deduce omesso esame di un
fatto decisivo (in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato la
documentazione relativa alle dichiarazioni dei dipendenti G., E., P. in sede di
Audit.

4. Con il quarto motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 346 cod.proc.civ.
e 2900 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto necessaria l’impugnazione
incidentale della banca in ordine all’accertamento – effettuato dal Tribunale –
della limitazione della sanzione ad una sola delle due condotte descritte nella
lettera di contestazione disciplinare nonostante il Tribunale avesse – più
semplicemente – ritenuto sufficiente, ai fini della integrazione del
giustificato motivo soggettivo (così come riqualificato dal giudice), la
condotta omissiva di controllo sulle operazioni anomale effettuate dal
promotore finanziario.

5. Con il quinto motivo di ricorso si denunzia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
cod.civ. e 115 cod.proc.civ. (in relazione
all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale, erroneamente escluso la detrazione dell’aliunde
perceptum o percipiendum nonostante la banca avesse sin dal primo grado di
giudizio dedotto la circostanza del reperimento di una nuova occupazione da
parte del L., circostanza che non era stata contestata.

6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Difetta, nel caso di specie, la necessaria
riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto
la Corte territoriale non ha solo conclusivamente precisato che la contestazione
disciplinare doveva ritenersi circoscritta alla condotta omissiva del L. circa
le “operazioni potenzialmente anomale o sospette” inerenti la
normativa antiriciclaggio ma ha, nella sua ampia disamina, rilevato che nella
lettera di contestazione disciplinare non venivano specificate quali erano le
anomalie rilevate nelle operazioni richieste dal promotore finanziario C. né
quali erano state le segnalazioni inviate, anche via mail, dai cassieri P., G.
ed E. (che avrebbero richiesto la segnalazione, da parte del Responsabile della
filiale L., ai “Superiori sul territorio” e agli “Organismi di
vigilanza aziendali”); la Corte territoriale ha proseguito sottolineando
che – se anche si avesse voluto ricostruire la valenza interpretativa della
contestazione disciplinare alla luce del contenuto delle mail inviate dai
cassieri (in particolare il dipendente E.) – le operazioni anomale potevano
ritenersi costituite “nelle manovre sulla consolle bussola per far entrare
clientela anche dopo l’orario di sportello e nel recarsi dietro le casse per
effettuare operazioni” e che, in ogni caso, nessuna della segnalazione dei
cassieri (“in tutto 5 segnalazioni in cinque anni di Direzione di
filiale”) indicava che si trattava di clienti del C..

Le censure non colgono la ratio decidendi perché la
ricorrente insiste sulla errata interpretazione della lettera di contestazione
disciplinare nel senso della limitazione alle anomalie che comportavano la
violazione della normativa antiriciclaggio ma nulla deduce sulla interpretazione
della lettera effettuata dalla Corte distrettuale anche alla luce delle
segnalazioni effettuate dai dipendenti.

Questa Corte ha affermato che “la proposizione,
mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al
decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per
mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il
ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i
motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità,
completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta
individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che
illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o
principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… ” (Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini
Cass. 25.9.2009 n. 20652).

7. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono
inammissibili.

L’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass.
n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360,
primo comma, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia).

Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non
integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il
fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., non una
“questione” o un “punto”, ma un vero e proprio
“fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero
una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio
fenomenico rilevante (Cass. n. 5133 del 2014; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n.
21152 del 2014 ; Cass. Sez. Un. n. 5745 del 2015; Cass.
n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017).

Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il
cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art.
360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., le argomentazioni o deduzioni difensive
(Cass. n. 21152 del 2014; Cass. n. 14802 del 2017); gli elementi istruttori;
una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali
di causa” (Cass. n. 21439 del 2015).

E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di
cui all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per
sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni
di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche
rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a
contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta
usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra
le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sua stessa
definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.

8. Il quarto motivo di ricorso non è fondato.

Come espressamente trascritto nella sentenza
impugnata, il Tribunale ha ritenuto che “in origine al ricorrente sono
state contestate sia condotte omissive rispetto al controllo delle operatività
collegate ai clienti del promotore Banca E.C. sia situazioni di commistione di
potenziale conflitto di interessi con clienti. …a seguito delle
giustificazioni rese dal ricorrente, la banca, nella lettera di licenziamento,
limita la contestazione alle prime condotte descritte, cioè all’omissione di
controllo sulle operazioni anomale effettuate dal promotore finanziario”.
La Corte distrettuale ha, conseguentemente, ritenuto che tale accertamento
doveva essere oggetto di impugnazione incidentale da parte della banca.

La Corte distrettuale si è conformata al consolidato
orientamento di questa Corte che ha ripetutamente affermato come in tema di
impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado,
in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda,
chiaramente ed inequívocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione
al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto
vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del
gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso
ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato
interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2,
c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da
effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di
alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure (Cass.
S.U. n. 11799 del 2017, Cass. n. 24658 del 2017, Cass.
n. 21264 del 2018).

9. Il quinto motivo è infondato.

Pur dovendosi preliminarmente rilevare che la
censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei
motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto,
quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto ed il tenore dell’eccezione di
aliunde perceptum così come formulata nella memoria di costituzione, fornendo
al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il
reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il
duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. n. 3224 del 2014; Cass. S. Un. n. 5698 del
2012; Cass. S.Un. n. 22726 del 2011), deve
comunque osservarsi che la Corte distrettuale si è conformata al principio
ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui in tema di licenziamento
illegittimo, il datore di lavoro che invochi l’aliunde perceptum” da
detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di
fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su
di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi
inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente
esplorative (cfr. da ultimo Cass. n. 2499 del 2017).

10. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese
di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

11. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dal D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare
le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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