Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 agosto 2020, n. 17068

Licenziamento per giusta causa, Obbligo datoriale di
comunicare motivi del licenziamento presuppone che questi motivi non siano
stati precedentemente indicati, Precedente contestazione disciplinare dei
fatti, essenziale elemento di garanzia, Successiva comunicazione del recesso
può limitarsi a richiamare quanto in precedenza contestato

 

Rilevato che

 

– Con sentenza in data 19 aprile 2018, la Corte
d’Appello di Catania ha respinto l’impugnazione proposta dalla P.C. nei
confronti della M. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa che
aveva rigettato la domanda del lavoratore volta ad ottenere la dichiarazione di
illegittimità del licenziamento intimatogli per giusta causa dalla società in
data 28 ottobre 2010 nonché la corresponsione delle differenze retributive per
lavoro straordinario, ferie e permessi non goduti, nonché indennità di
trasferta;

– in particolare, la Corte ha ritenuto adeguatamente
dimostrata in sede istruttoria di primo grado la sussistenza degli illeciti
disciplinari ascritti al dipendente aventi ad oggetto due mancati pagamenti di
prodotti alimentari in due diverse occasioni e difettante, invece, la prova
circa le differenze retributive richieste;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso
P.C. affidandolo a due motivi;

– la M. s.r.l. è rimasta intimata.

 

Considerato che

 

– in via preliminare, si rileva che il ricorrente ha
proposto istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 126 III comma del DPR n. 115 del
2002, istanza già ritenuta inammissibile dal Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Catania con provvedimento del 20/11/2018;

– con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli articoli 2, 3,
5 e 6 della legge n. 604 del
1966 nonché degli artt. 4
e 7 L. n. 300/70, 2119 cod. civ., CCNL e D.lgs.
n. 196/2003;

– il motivo non può trovare accoglimento;

– va preliminarmente rilevato, al riguardo, che il
motivo risulta formulato in modo confuso, e tuttavia, con esso si censura,
sostanzialmente, la decisione impugnata là dove la stessa avrebbe ritenuto
l’insussistenza di un onere di ulteriore comunicazione della motivazione del
licenziamento una volta comunicata ritualmente la contestazione e qualora il
licenziamento si riferisca ai fatti specifici ivi descritti;

– occorre qui ribadire il principio già affermato da
Cass. n. 454 del 2003, (e confermato da diverse successive pronunzie, fra cui,
Cass. n. 15986 dell’1/08/2016, Cass. n. 28471 del
07/11/2018) secondo il quale l’obbligo datoriale di comunicare motivi del
licenziamento (previsto dall’art.
2 della legge 15 luglio 1966 n. 604, nella formulazione anteriore alla
modifica apportata dall’art. 1 comma 37 della
L. 92/2012) presuppone che questi motivi non siano stati precedentemente
indicati. La precedente contestazione disciplinare dei fatti, da un canto e
essa stessa l’indicazione dei motivi che conducono al licenziamento; d’altro
canto (ove l’indicazione non sia ritenuta sufficiente) costituisce la base per
la richiesta dei motivi (nell’ambito del procedimento che con la contestazione
si apre, anche attraverso l’art.
7 della legge 20 maggio 1970 n. 300), precludendo l’ipotizzabilità e
comunque l’esistenza d’un obbligo datoriale di rispondere alla successiva
richiesta di motivi, esterna a questo procedimento;

Afferma questa Corte (cfr. sul punto, Cass. n. 28471 del 07/11/2018) che nel
procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l’essenziale elemento di
garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell’addebito, mentre la
successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a richiamare quanto in
precedenza contestato, non essendo tenuto il datore di lavoro a descrivere
nuovamente i fatti in contestazione per rendere puntualmente esplicitate le
motivazioni del recesso e per manifestare come gli stessi non possano ritenersi
abbandonati o superati;

– in particolare, con riguardo alla contestazione de
qua, la Corte ha ritenuto che le lettere di contestazione contenessero una
esposizione puntuale dei fatti addebitati al lavoratore, con riferimento a
singoli, specifici episodi, ben individuati nel tempo e nelle modalità e che la
lettera di recesso faccia riferimento proprio a quei fatti materiali nei quali
la datrice aveva ravvisato e contestato le infrazioni disciplinari, reputando,
cosi, adeguatamente assicurato il diritto di difesa;

– inoltre, relativamente all’utilizzazione delle
videoregistrazioni, va rilevato che la Corte ha ritenuto che nessuna richiesta
di “ostensione” delle stesse fosse stata mai avanzata, anzi essendosi
la parte rifiutata nettamente di consentire l’utilizzazione delle stesse e che,
d’altra parte, il contenuto di esse è stato ritenuto corroborato dalle
dichiarazioni rese dal teste F., il quale ha riferito dei fatti non solo per
aver visionato le immagini, ma anche per aver effettuato controlli incrociati
con i giornali di fondo delle casse da cui risulta la tipologia di merce e il
prezzo, rilevato dal codice rilasciato dalla bilancia e dal numero
dell’etichetta adesiva;

– tali valutazioni, immuni da vizi logici, in quanto
del tutto fattuali, sono sottratte al sindacato di legittimità;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la
nullità della sentenza in relazione agli articoli
115 e 116 del codice di procedura civile e
dell’articolo 2697 cod. civ., con violazione ed
errata ripartizione degli oneri di prova ed erronea interpretazione dell’articolo 2119 cod. civ., nonché 18 contratto
collettivo nazionale e 2948 cod. civ.;

– giova premettere che, in tema di ricorso per
cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché
si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non
dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali,
o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle
prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli
senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione
(cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014
n. 13960).

– relativamente, poi, alla denunziata violazione
dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che, per
consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Sez. III, n.
15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da
quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie;

– nella specie, infatti, molto approfondita deve
ritenersi la motivazione in fatto della Corte circa le prove assunte né la
parte ha prodotto o indicato in ricorso i capitoli di prova ed i testi che
asserisce aver addotto a sostegno della propria difesa, in violazione del disposto
di cui all’art. 366 cod. proc. civ., talché, a
fronte di una ampia motivazione, si ripete, di natura fattuale e, pertanto, non
censurabile in sede di legittimità, non appare possibile a questa Corte
procedere ad una rivisitazione del fatto, essendole inibito dalla struttura del
giudizio di cassazione;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso va respinto;

– nulla per le spese essendo parte controricorrente
rimasta intimata;

– al rigetto deve conseguire l’attestazione circa
l’obbligo di versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002 nei termini di cui in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

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