Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 agosto 2020, n. 16795

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Perdita
dell’appalto, Delineazione dell’obbligo di repechage quale elemento
costitutivo del licenziamento

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 1330 depositata l’11.7.2018 la
Corte d’appello di Milano, in sede di reclamo ex art. 1, comma 58, della legge n. 92
del 2012, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Como in sede di
opposizione, ha respinto la domanda di annullamento del licenziamento intimato
il 5/4/2016 a P.M. dalla società A – A. s.p.a. a seguito della perdita
dell’appalto per la distribuzione del gas nei Comuni di Como e San Fermo e ai
sensi dell’art. 2 del d.m.
21/4/2011 recante norme comuni per il mercato interno del gas.

2. La Corte territoriale, rilevato preliminarmente
che il d.m. del 2011 prevede un passaggio
diretto dei dipendenti all’impresa subentrante nel servizio di distribuzione
del gas previa adozione di un atto da qualificarsi quale licenziamento
individuale per giustificato motivo oggettivo da parte dell’impresa uscente, la
cui posizione di società controllata o controllante è irrilevante, ha accertato
l’inclusione del M. nell’ambito delle “funzioni centrali dei servizi
amministrativi” così come illustrati dal suddetto d.m., ed ha ritenuto
legittimo il licenziamento in quanto collegato ad esigenze tecnicoproduttive ed
essendo stata altresì dimostrata l’esigenza di mantenere in azienda una figura
con maggiore professionalità rispetto a quella di un impiegato addetto a
mansioni di ordine.

3. Il lavoratore ha proposto, avverso tale sentenza,
ricorso per cassazione affidato a cinque motivi illustrati da memoria. La
società ha depositato controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con i primi due motivi il ricorrente denunzia
omesso esame di un fatto decisivo e violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi al cod.civ. in relazione all’art. 28 del d.lgs. n. 164 del 2000
e agli artt. 1 e 2 del d.m.
21.4.2011 (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5,
cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente interpretato il
d.m. ritenendo inclusi tra i lavoratori destinatari del passaggio diretto
all’impresa subentrante nell’appalto anche i dipendenti di società (uscente) controllante
o controllate, trascurando l’interpretazione letterale a vantaggio
dell’intenzione del legislatore.

5. Con il terzo motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione “di regola di diritto” in relazione all’art. 28 del d.lgs. n. 164 del 2000
e agli artt. 1 e 2 del d.m.
21.4.2011 (ex art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, impropriamente ritenuto la
fattispecie in esame un licenziamento speciale rispetto alla tipologia regolata
dall’art. 3 della legge n. 604
del 1966 e ritenendo, pertanto, il ricorrente di ribadire la critica diffusamente
condotta nel corso del processo di necessaria riconduzione della questione alle
regole che disciplinano il recesso del datore di lavoro.

7. Con il quarto motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 2
della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360, primo
comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato la
violazione dei requisiti formali della lettera di licenziamento, sprovvista della
motivazione posta a supporto del licenziamento.

8. Con il quinto motivo si denunzia nullità della
sentenza per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
(ex art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.)
avendo la Corte territoriale, omesso qualsiasi decisione sulla domanda,
respinta dal Tribunale in sede di opposizione e riproposta con l’atto di
reclamo, di accertamento del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva
del preavviso.

9. I primi due motivi di ricorso non sono fondati.

Il d.m. 21.4.2011
recante “Disposizioni per governare gli effetti sociali connessi ai nuovi
affidamenti delle concessioni di distribuzione del gas in attuazione del comma
6, dell’art. 28 del decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 164, recante norme comuni per il mercato
interno del gas” recita :

“Art. 1. Definizioni.

1. Personale addetto alla gestione degli impianti di
distribuzione del gas naturale è il personale, direttamente dipendente dalla
società concessionaria o da una società da essa interamente controllata o dalla
sua controllante, purché al 100%, che svolge, indipendentemente dalla sede di
lavoro, una delle seguenti funzioni sull’impianto di distribuzione oggetto di
gara: installazione e manutenzione condotte e impianti; allacciamento clienti;
direzione lavori; programmazione lavori, coordinamento tecnico realizzazione
impianti, coordinamento tecnico gestione impianti, reperibilità, gestione e
movimentazione odorizzante, ricerca dispersioni, attività di accertamento della
sicurezza degli impianti, aggiornamento cartografico, gestione automezzi,
progettazione di dettaglio, protezione catodica, manutenzione impianti di telecontrollo,
budgeting e reporting costi operativi, gestione dei cicli di lettura dei
contatori, gestione degli approvvigionamenti e dei magazzini locali, posa,
sostituzione e spostamento contatore; pronto intervento; lettura contatori;

gestione della qualità del servizio specifica
dell’impianto. E’ escluso dalla definizione il personale che svolge una delle
funzioni centrali.

2. Funzioni centrali sono la direzione dell’impresa,
l’ingegneria, il vettoriamento, le tariffe e il rapporto con le istituzioni e
l’Autorità’ per l’energia elettrica e il gas, la gestione centralizzata della
qualità del servizio, il servizio legale, i servizi amministrativi, la gestione
del personale, il servizio di supporto informatico, il cali center, la gestione
del patrimonio e dei servizi.

Art. 2. Tutela dell’occupazione del personale

1. Il personale addetto alla gestione degli impianti
di distribuzione del gas naturale oggetto di gara e una quota parte del
personale che svolge funzioni centrali di supporto all’attività di distribuzione
e misura degli impianti stessi è soggetto, ferma restando la risoluzione del
rapporto di lavoro e salvo espressa rinuncia degli interessati, al passaggio
diretto ed immediato al gestore subentrante, con la salvaguardia delle
condizioni economiche individuali in godimento, con riguardo ai trattamenti
fissi e continuativi e agli istituti legati all’anzianità di servizio.

2. La risoluzione del rapporto di lavoro di cui al
comma 1 non comporta l’obbligo di liquidazione dell’indennità di preavviso. Il
gestore uscente deve darne comunicazione per iscritto, almeno 25 giorni prima,
alle rappresentanze sindacali costituite, a norma dell’art. 19 della legge 20 maggio
1970, n. 300, nelle unità interessate, nonché alle associazioni di
categoria.

3. L’obbligo per il gestore subentrante di cui al
comma 1 è limitato ad un numero di addetti per singolo gestore uscente non
superiore alla somma del personale addetto alla gestione degli impianti di
distribuzione oggetto di gara e ad una quota parte del personale che svolge
funzioni centrali pari alla percentuale dei punti di riconsegna gestiti dal
gestore uscente negli impianti oggetto di gara rispetto al totale dei punti di
riconsegna gestiti dallo stesso gestore a livello nazionale, sulla base di una
dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante del gestore uscente in
conformità con il Libro Unico del Lavoro e relativa alla situazione 12 mesi
prima della richiesta di Informazioni per il bando di gara. Tale numero di
addetti deve inoltre soddisfare la verifica di congruità di cui al comma 4.

4. Qualora il numero complessivo di addetti di cui
al comma 3 comporti un numero di punti di riconsegna gestiti per addetto
inferiore al valore soglia di 1500, il gestore uscente è tenuto a giustificarlo
alla stazione appaltante sulla base di specificità locali. Qualora la stazione
appaltante non ritenga sufficiente la giustificazione, il numero di addetti con
obbligo di assunzione di cui al comma 3 è limitato ad un valore tale che il
numero dei punti di riconsegna gestiti per addetto non sia inferiore al valore
soglia di cui sopra o al 90% della media dei valori presentati dalle altre
imprese che operano all’interno del territorio del Comune o dei Comuni oggetto
di gara, qualora tale media sia inferiore a 1500.

5. In caso di limitazione del numero degli addetti
in base ai criteri di cui al comma 4, ha priorità di assunzione il personale
che opera nel territorio del Comune o dei Comuni oggetto di gara e,
successivamente, l’eventuale personale con sede di lavoro al di fuori di esso,
con priorità per chi opera in sedi più prossime a tale territorio.

6. Al personale addetto alla gestione degli impianti
di distribuzione e al personale che svolge funzioni centrali, che in seguito
alle limitazioni di cui ai commi 3 e 4, risulti in esubero, si applicano gli
ammortizzatori sociali previsti dalla normativa per le singole tipologie di
impresa. Per i lavoratori dipendenti delle imprese a capitale interamente
pubblico, si applicano gli ammortizzatori sociali in deroga, incluse le
eventuali proroghe come ammesse dalla normativa vigente. Inoltre, per i due
anni successivi alla data di inizio dell’affidamento della gestione della rete
di distribuzione, il gestore subentrante si impegna alla loro assunzione, salvo
espressa rinuncia degli interessati, prima di procedere a nuove assunzioni, a
parità di esperienza e qualifica, per le località di cui ha assunto la gestione
per effetto del nuovo affidamento”.

Questa Corte ha già affermato che, in base all’art. 12 delle preleggi, nell’ipotesi in cui
l’interpretazione letterale di una norma di legge o (come nella specie)
regolamentare non sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco,
il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete deve
ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercè
l’esame complessivo del testo, della mens legis. In particolare, qualora la
lettera della norma medesima risulti ambigua, l’elemento letterale e l’intento
del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano
un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo
funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da
interpretare (Cass. n. 5128 del 2001, Cass. n. 20357 del 2017).

La Corte distrettuale si è conformata a detto
principio e, utilizzando l’intenzione del legislatore quale criterio
comprimario di ermeneutica, atto ad ovviare all’equivocità della formulazione
del testo da interpretare, ha correttamente interpretato gli artt. 1 e 2 del d.m. 21.4.2011
attribuendo funzione definitoria autonoma all’inciso “quota parte del
personale che svolge funzioni centrali di supporto di distribuzione e misura
degli impianti stessi” in quanto rivolta a istituire un collegamento tra i
due gruppi di personale (quelli direttamente implicati nelle attività di
distribuzione del gas e quelli posti a livello centrale per lo svolgimento di
funzioni centrali), considerata la funzione ancillare o accessoria del secondo
gruppo di personale rispetto al primo.

Né appare dirimente, come suggerisce il ricorrente
con riguardo al criterio strettamente letterale, il comma 2 dell’art. 1 del d.m. il quale non
fornisce la definizione del “personale” bensì delle
“funzioni” (nella specie “centrali”).

10. Il terzo motivo è inammissibile.

Nel caso di specie difetta la necessaria
riferibilità della censura alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto
la Corte territoriale ha ricondotto il recesso nell’alveo della disciplina
ordinaria dettata dalla legge n. 604 del 1966
(della quale ha altresì riportato, quale inciso, parte del testo dell’art. 3)
rilevando che “detto licenziamento non può che inquadrarsi nell’ambito dei
recessi per giustificato motivo oggettivo in quanto indubbiamente intimato per
ragioni inerenti “all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e
al regolare funzionamento di essa” (pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata).
La Corte ha espressamente affermato che “anche nel caso di specie la
salvaguardia prevista dal d.m. citato, emesso in applicazione del d.lgs. n. 164/2000, non esonera il datore di
lavoro dal rispetto delle norme in materia di licenziamento” (pag. 10) ed
ha accertato che ricorrevano entrambi i requisiti che connotano il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo ossia l’esigenza tecnicoproduttiva
consistente nella cessione degli impianti di distribuzione del gas ed lo
stretto nesso di causalità con le mansioni svolte dal lavoratore, la cui scelta
era rispettosa dei criteri di buona fede e correttezza in quanto determinata
dalla necessità di mantenere in azienda una figura con maggiore
professionalità.

La censura non coglie la ratio deciderteli perché il
ricorrente insiste sulla ricostruzione, da parte della Corte territoriale, di
una fattispecie speciale e derogatoria rispetto alla disciplina dettata dalla legge n. 604 del 1966 ma nulla deduce sulla
ricorrenza delle ragioni organizzative e produttive che – sulla base del
presupposto giustificativo indicato dal d.m.
21.4.2011 (la perdita dell’appalto relativo all’attività di distribuzione
del gas e l’appartenenza del lavoratore ad una delle due categorie (nella
specie coloro che sono addetti a funzioni centrali di supporto) avente diritto
al passaggio diretto alle dipendente dell’impresa subentrante – la Corte ha
ritenuto ricorrenti al fine di legittimare il datore di lavoro a procedere al
licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

11. Il quarto motivo non è fondato.

Questa Corte ha affermato il principio di diritto,
che in questa sede il Collegio intende ribadire, in base al quale il datore di
lavoro ha l’obbligo di comunicare per iscritto i motivi del recesso, ma non è
tenuto ad esporre specificamente tutti gli elementi di fatto e di diritto a
base del provvedimento, essendo invece sufficiente che indichi la fattispecie
di recesso nei suoi tratti e circostanze essenziali, così che in sede di
impugnazione non possa invocare una fattispecie totalmente diversa (v. tra le
altre, Cass. n. 3752 del 1985), e, a fortiori, non è certamente tenuto a
fornire, in sede di esposizione dei motivi, anche la prova degli indicati
motivi.

E’ stato altresì affermato che non è necessaria
l’indicazione della inutilizzabilità aliunde nella motivazione del
licenziamento per soppressione del posto, trattandosi di elemento implicito da
provare direttamente in giudizio (cfr. Cass. n. 3752 del 1985).

Il suddetto principio è stato confermato anche a
seguito delle modifiche medio tempore intervenute dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966
(novellato dall’art. 1, comma 37
della legge n. 92 del 2012 che impone la specificazione dei motivi
contestuale al licenziamento scritto) posto che la ratio della previsione
legislativa sull’onere della forma era ed è sempre quella che la motivazione
del licenziamento sia specifica ed essenziale e consenta al lavoratore di
comprendere le effettive ragioni del recesso (che, con riguardo al
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si sostanziano nella ragione
inerente l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare
funzionamento di essa, come richiesto dall’art. 3 della legge n. 604 del 1966),
discendendo dai principi di immutabilità della motivazione e dall’orientamento
consolidato di questa Corte in ordine alla delineazione dell’obbligo di
repechage quale elemento costitutivo del licenziamento (cfr. Cass. n. 10435 del 2018) l’obbligo del datore di
lavoro di dimostrare in giudizio l’impossibilità di adibire il lavoratore in
altre mansioni. Invero, la novella legislativa si è limitata a rimuovere
l’anomalia della possibilità di intimare un licenziamento scritto immotivato (e
motivabile solo su richiesta) introducendo la contestualità dei motivi,
lasciando immutata la funzione della motivazione (già perseguita dal
legislatore precedente la novella legislativa del 2012 e sottolineata da questa
Corte) che è quella di far comprendere al lavoratore le effettive ragioni del
recesso.

In tema di licenziamento individuale, la
novellazione dell’art. 2, comma
2, della I. n. 604 del 1966 per opera dell’art. 1, comma 37, della I. n. 92 del
2012, si è limitata a rimuovere l’anomalia della possibilità di intimare un
licenziamento scritto immotivato, introducendo la contestualità dei motivi, ma
non ha mutato la funzione della motivazione, che resta quella di consentire al
lavoratore di comprendere, nei termini essenziali, le ragioni del recesso; ne
consegue che nella comunicazione del licenziamento il datore di lavoro ha
l’onere di specificarne i motivi, ma non è tenuto, neppure dopo la suddetta
modifica legislativa, a esporre in modo analitico tutti gli elementi di fatto e
di diritto alla base del provvedimento (Cass. n.
6678 del 2019).

La lettera di comunicazione di licenziamento ha
chiaramente esplicitato la ragione dell’adozione del provvedimento richiamando
l’art. 2 del d.m. 21.4.2011,
la cessione degli impianti di distribuzione del gas alla società R. s.p.a. ed
il passaggio diretto alle dipendenze della società subentrante con salvaguardia
delle condizioni economiche godute.

12. Il quinto motivo non è fondato.

Questa Corte ha affermato che non ricorre il vizio
di omessa pronuncia (unica censura avanzata dal ricorrente), nonostante la
mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti
una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass.
n. 29191 del 2017, Cass. n. 5351 del 2007).

La Corte territoriale ha osservato che l’art. 28 del d.lgs. n. 164 del 2000
e il d.m. 21.4.2011 hanno previsto, nei
casi di subentro nella concessione per la distribuzione del gas naturale, un
sistema di salvaguardia dei livelli occupazionali, disponendo ex lege il
passaggio diretto ed immediato al gestore subentrante dei lavoratori coinvolti,
con obbligo di mantenimento delle precedenti condizioni economiche. Lo
scrutinio della legittimità del regolamento del 2011 (ove è espressamente
prevista l’esclusione dell’obbligo di liquidazione dell’indennità di preavviso
in caso di risoluzione del rapporto di lavoro) nonché la valutazione positiva
della tutela approntata dalla fonte normativa di rango secondario a favore dei
lavoratori che conservano le stesse condizioni economiche godute presso
l’impresa uscente (e che evitano lo stato di disoccupazione normalmente
conseguente al recesso datoriale) consentono di rinvenire chiaramente una
pronuncia di rigetto in ordine alla domanda di liquidazione dell’indennità di
mancato preavviso.

13. Va rilevato che altra causa (n. 24891/2018 R.G.)
discussa nella medesima udienza (in relazione alla quale è stata confermata la
sentenza del giudice di merito che ha dichiarato illegittimo il licenziamento ivi
impugnato nei confronti di A.A. s.p.a.) ha – concordemente alla presente causa
– confermato la ricostruzione esegetica della risoluzione del rapporto prevista
dal d.m. 21.4.2011 quale licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, ma ha avuto esito differente in considerazione
del diverso quadro probatorio concernente la ricorrenza dei requisiti dettati
dall’art. 3 della legge n. 604
del 1966.

14. In conclusione, il ricorso va rigettato e le
spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

15. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 agosto 2020, n. 16795
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