Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 settembre 2020, n. 18168

Pagamento di differenze retributive, Violazione del divieto
di intermediazione di manodopera, Titolo idoneo per dare inizio all’esecuzione
– Computabilità nel trattamento economico del controvalore delle carte di
circolazione nel caso di mobilità del personale dell’ex azienda F.S.

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la
sentenza del Tribunale di Lamezia Terme che aveva rigettato l’opposizione
proposta dalla società R.F.I. s.p.a. avverso il decreto con il quale P.I. aveva
ingiunto alla società il pagamento della somma di € 103.781,73 a titolo di
differenze retributive maturate a decorrere dal giugno 1996 a lui spettanti per
effetto della violazione del divieto di intermediazione di manodopera posta in
essere da F.S. s.p.a. e S. s.r.l. ed accertata con sentenza dello stesso
Tribunale del 13.6.2007 n. 614.

2. La Corte di merito ha ritenuto che la sentenza
con la quale era stata accertata la violazione del divieto di interposizione
fittizia e dichiarato costituito il rapporto di lavoro con la società F.S. con
condanna al pagamento delle retribuzioni maturate fino alla riammissione, non
costituiva ex se titolo idoneo per dare inizio all’esecuzione, atteso che non conteneva
le indicazioni necessarie per pervenire alla quantificazione della retribuzione
globale di fatto alla quale si era pervenuti con il decreto ingiuntivo sulla
base delle tabelle salariali dei contratti collettivi succedutisi nel tempo.

Ha ritenuto poi inammissibili le censure, formulate
solo in appello, relative alla quantificazione delle concessioni di viaggio
richieste con il decreto ingiuntivo e ritenute spettanti a tutti i dipendenti
in quanto connaturate al rapporto di lavoro. Con riguardo al mancato scomputo
dell’aliunde perceptum ha accertato che invece era stato espressamente
detratto. Infine ha rilevato che era la stessa sentenza che aveva accertato
l’illegittima interposizione ad aver costituito il rapporto a tempo
indeterminato. Da ultimo ha accertato che le somme chieste erano state già
calcolate nei limiti della prescrizione accertata con la sentenza di appello
che aveva parzialmente riformato la statuizione di condanna di primo grado (
sentenza quest’ultima passata in giudicato).

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
tempestivo ricorso R.F.I. s.p.a. affidato a cinque motivi. Ha opposto difese
con controricorso P.I.

4. Originariamente fissata la decisione in camera di
consiglio la causa, in vista della quale la società ricorrente ha depositato
memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 cod. proc.
civ., la causa è stata poi rinviata a nuovo ruolo e fissata per la
decisione all’odierna pubblica udienza insieme ad altre controversie di analogo
contenuto.

 

Ragioni della decisione

 

5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 della legge 21 novembre 1955
n. 1108 dell’art. 10 comma 15
della legge 28 febbraio 1986 n. 41 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.. Ad
avviso della società ricorrente erroneamente la Corte di appello ha
riconosciuto il diritto del lavoratore all’inclusione del controvalore della
Carta di libera circolazione tra le voci retributive da prendere in
considerazione nel calcolo delle differenze spettanti al lavoratore in
attuazione della sentenza passata in giudicato che aveva accertato
l’interposizione fittizia, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato ab
origine con la società F.S., oggi R.F.I. s.p.a., ed aveva condannato la società
ad erogare al lavoratore le differenze retributive a lui spettanti. La società
ricorrente – ricostruita la disciplina delle Carte di libera circolazione,
originariamente rientranti tra le concessioni di viaggio previste dalla legge
21 novembre 1955 n. 1108 e, successivamente alla privatizzazione delle F.S.,
disciplinate dalla contrattazione collettiva anche aziendale, ed in particolare
dall’Accordo di confluenza del 16 aprile 2003 e del 25 novembre 2003 – osserva
che nel periodo oggetto della domanda proposta in giudizio le disposizioni
collettive invocate, intervenute successivamente, non erano ancora vigenti.

6. Con il secondo motivo la società ricorrente
deduce che, in relazione all’art. 360 primo comma
n. 4 cod. proc. civ. e con violazione dell’art.
115 cod. proc. civ., la sentenza ha posto a fondamento della sua decisione
prove insussistenti atteso che prima dell’accordo di confluenza del 2003 non vi
era alcun accordo che prevedesse il riconoscimento delle carte di libera
circolazione.

7. Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza
per avere, in violazione e falsa applicazione degli artt.
112, 115, 416
e 437 cod. proc. civ. ed in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ.,
erroneamente ritenuto che la contestazione contenuta nell’atto di appello della
quantificazione, avallata dalla sentenza di primo grado, del controvalore delle
C.L.C. fosse inammissibile perché non era stata tempestivamente sollevata sin
dal ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo. Sostiene la società che nel
contestare il parametro utilizzato per la quantificazione del valore da
attribuire alle C.L.C., non previsto in alcuna norma di legge o di contratto,
si era posta in discussione l’esistenza stessa del diritto, non tanto la
correttezza dei conteggi sviluppati del ricorso per decreto ingiuntivo, e la
censura doveva essere considerata ammissibile trattandosi di argomentazione che
sollecitava la verifica dell’esistenza di un elemento costitutivo del diritto
reclamato in giudizio. Rileva inoltre che, contrariamente a quanto affermato, i
conteggi erano stati contestati nel ricorso in opposizione ponendosi in rilievo
proprio che in mancanza di una fonte legale o contrattuale di riferimento il
calcolo era stato affidato ad un criterio empirico individuato dal lavoratore e
se ne era sollecitata comunque una verifica anche per il tramite di una
consulenza contabile.; dunque il consulente che li aveva calcolati aveva
utilizzato un criterio empiricamente da lui individuato, ritenuto arbitrario,
del quale si era chiesta una verifica anche a mezzo di ctu di tal che non si
poteva dubitare dell’avvenuta tempestiva contestazione atteso che si era
escluso il riferimento al c.c.n.I., si era denunciato che la quantificazione
era il risultato di una interpretazione soggettiva da parte del consulente del
ricorrente, ed i conteggi erano il frutto di una arbitraria integrazione del
c.c.n.I.

8. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso
denunciano entrambi l’avvenuta violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2099 cod.
civ. e dell’art. 36 Cost. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ..

8.1. Con riferimento alla individuazione del
controvalore economico della Carta deduce che erroneamente la Corte
territoriale aveva confermato la correttezza del parametro, utilizzato dal
primo giudice, del valore di acquisto dall’esterno della carta di libera
circolazione nominativa. Osserva la ricorrente che le due carte devono essere
tenute distinte essendone diversa la causa e la stessa utilità economica. A
conferma del suo assunto rammenta che il prezzo di acquisto della carta da
parte di terzi (nel 1998 pari a £ 12.000.000) era di poco inferiore aiio
stipendio annuo di un dipendente con la qualifica dei ricorrente nello stesso
periodo (£ 12.264.311) con la conseguenza, irragionevole, che per effetto del
computo del beneficio tra le differenze retributive ¡I lavoratore avrebbe nella
sostanza raddoppiato la sua retribuzione. Sottolinea che quando sono stati
introdotti criteri di quantificazione delle C.L.C. (con la legge finanziaria
relativa all’anno 2003 e con il d.m. 12.11.2009)
gli importi fissati per un valore virtuale erano del tutto differenti (€ 130,00
ed € 135,00 annui).

8.2. Inoltre ritiene la società ricorrente che abbia
errato il giudice di appello nel far rientrare le carte di libera circolazione
(C.L.C.) tra le componenti della retribuzione, trascurando di verificarne la
corrispettività e l’obbligatorietà, caratteristiche queste necessarie per
ricondurre l’attribuzione nell’ambito della retribuzione quale disciplinata
dagli artt. 2094 e 2099
cod.civ.. Sostiene infatti che la natura di mera liberalità dell’erogazione
sarebbe confermata dalla circostanza che si tratta di compenso aggiuntivo che
ha causa e natura diversa da quella del contratto di scambio e non è soggetta
alla disciplina della retribuzione al cui versamento si obbliga il datore di
lavoro ex contractu. Evidenzia che la circostanza che il lavoratore non possa
ottenere il rimborso di biglietti non utilizzati né possa scegliere se
usufruire della Carta o chiederne il controvalore economico ne confermerebbe la
natura di mero vantaggio attribuito al lavoratore privo delle caratteristiche
di una componente della retribuzione.

9. il ricorso deve essere accolto per le ragioni che
di seguito si espongono.

9.1. Va rammentato che le Carte di libera
circolazione – originariamente rientranti tra le concessioni di viaggio
disciplinate artt. 1 e 7 della legge 21 novembre 1955 n. 1108 (provvedimento
definitivamente abrogato dal d.l. 25 giugno 2008,
n. 112, convertito con modificazioni dalla I. 6 agosto 2008, n. 133) –
vennero abolite con l’art. 10
comma 15 della legge 28 febbraio 1986 n. 41 successivamente alla
privatizzazione del servizio di trasporto ferroviario. La disposizione
ricordata ha infatti disposto che, a decorrere dal 15 gennaio 1986, tutte le
concessioni gratuite di viaggio, le riduzioni e le agevolazioni tariffarie, per
le quali l’Ente F.S. ha diritto a compensazione ai sensi del regolamento CEE n.
1191/69 relativo agli obblighi di servizio pubblico, sono abolite, fatta
eccezione per le concessioni gratuite di viaggio attualmente in vigore
concernenti gli accompagnatori di persone invalide.

9.2. Per effetto della privatizzazione del servizio
ferroviario con la Legge 17 maggio 1985 n. 210,
infatti, all’allora costituito Ente F.S. fu richiesto di provvedere alle sue
finalità “con criteri di economicità e di efficienza e nel rispetto dei
principi della normativa comunitaria” (v. art. 2 legge cit.) e di gestire
il rapporto con il personale dipendente con criteri privatistici “su base
contrattuale collettiva ed individuale” (v. art. 21 legge cit.).
Conseguentemente, nell’ambito di un generale quadro di delegificazione, ai
sensi dell’art. 14 della
citata legge, la regolamentazione del rapporto di lavoro, con le modalità
previste dall’art. 21, commi
2 e ss., è stata integralmente rimessa alla contrattazione collettiva.

L’assetto giuridico disegnato dalla legge n. 210 del 1985 era incompatibile con le
disposizioni della legge n. 1108 del 1955 che poneva a carico dell’Azienda
delle F.S. oneri di concessione che, nel nuovo regime risultavano incompatibili
con una gestione “economica” del servizio. Di qui l’abolizione delle concessioni
di viaggio come previsto nella ricordata legge n.
41 del 1986.

9.3. Come si è ricordato l’art. 21 della legge n. 210 del 1985
nel demandare alla contrattazione collettiva ed individuale la disciplina del
rapporto si è limitato a mantenere fermo, nelle more della definizione della
disciplina generale del trattamento previdenziale ed assistenziale, quello già
vigente di cui ha trasferito il carico finanziario all’Ente.

9.4. Il diritto al beneficio già in godimento è
stato progressivamente ristretto tanto che con D.M. 15 aprile 1987 è stata
disposta, a partire dal 1° gennaio 1988, la soppressione dell’obbligo di
rilascio delle concessioni di viaggio al personale delle F.S. transitato
all’amministrazione dello Stato e solo per il personale che abbia maturato il
diritto a pensione al momento del passaggio, si è previsto che debba essere
praticato il trattamento relativo a tali concessioni riconosciuto al personale
rimasto in servizio presso l’Ente, ovvero al personale a riposo della soppressa
Azienda autonoma.

9.5. Successivamente, nell’ambito della effettiva
delegificazione della materia, l’art.
69 del C.C.N.L. 1990/1992 ha previsto una nuova disciplina, di carattere
esclusivamente pattizio, da attuare entro il 31 dicembre 1990 in base ad
accordi fra le parti collettive.

A questa disciplina deve ascriversi l’accordo
sindacale 15 maggio 1991 con cui si è convenuto, a decorrere dal 1° gennaio
1992, di rilasciare ai dipendenti in servizio e a riposo una carta di libera
circolazione valida per un numero illimitato di viaggi “finché permane
titolo a godere del beneficio in base alla normativa vigente”.

9.6. Solo con il contratto aziendale del Gruppo FS,
Accordo di confluenza al C.C.N.L. delle attività ferroviarie, del 16 aprile
2003 le c.d. carte di libera circolazione (C.L.C.) hanno trovato una disciplina
compiuta e se ne è previsto il rilascio al personale in servizio ed agli ex
dipendenti a riposo delle Società firmatarie dell’accordo, nel ricorso di una
serie di condizioni, per consentire loro l’accesso per un numero illimitato di
viaggi sui treni delle Società del Gruppo e per l’intera rete ferroviaria.

9.7. Tanto premesso va qui ricordato che questa
Corte si è occupata della computabilità nel trattamento economico del
controvalore delle carte di circolazione nel caso di mobilità del personale
dell’ex azienda F.S. ad altra amministrazione dello Stato e lo ha escluso sul
rilievo che, a prescindere dalla natura retributiva o meno del beneficio
nell’ambito del rapporto con le F.S., si trattava di un vantaggio economico
connesso alle particolari caratteristiche e modalità della prestazione svolta
presso l’ente di provenienza, la cui conservazione, a carico delle F.S. (ora
società per azioni), restava limitata, secondo la disciplina contrattuale
successiva al processo di delegificazione introdotto dalla L. n. 210 del 1985 (art. 69 c.c.n.I. 1990-1992; accordo
sindacale 15 maggio 1991) ai dipendenti che, al momento del trasferimento,
avevano maturato il diritto a pensione (cfr. per tutte Cass. Sez. U. 21/06/2010
n. 14898).

9.8. Orbene nel caso in esame viene in rilievo
proprio la natura da attribuire all’agevolazione concessa dalla società ai suoi
dipendenti, in servizio o in pensione. Occorre verificare in particolare se si
tratta di una erogazione di carattere retributivo che pertanto rientra tra i
compensi spettanti al lavoratore per effetto della fittizia ricostituzione del
rapporto in esito al giudizio che ne ha accertato la natura subordinata
condannando la società al pagamento delle differenze retributive maturate e non
prescritte ovvero se sia classificabile come mera liberalità non computabile.

9.9. Il criterio seguito da questa Corte
nell’individuare la natura retributiva di un benefit è stato individuato nella
riferibilità dello stesso a spese che, se pur indirettamente collegate alla
prestazione lavorativa, sono comunque a carico del lavoratore sicché la
concessione del benefit si risolve, in buona sostanza, in un adeguamento della
retribuzione (cfr. Cass. 24/06/2009 n. 14835, 03/11/2000 n. 14388, 30/07/1993
n. 8512 e 05/07/1991 n. 7646). Ove per contro il benefit costituisca una
reintegrazione di una diminuzione patrimoniale, allorché ad esempio si
riferisce a spese che il lavoratore dovrebbe sopportare nell’esclusivo
interesse del datore di lavoro, allora ha una funzione Sparatoria della lesione
subita (cfr. Cass. n. 14385 del 2009 cit.).

9.10. Le utilità offerte al lavoratore da ricondurre
alla nozione di retribuzione sono quelle che risultano intimamente connesse al
sinallagma genetico e funzionale del rapporto di lavoro di cui costituiscono un
corrispettivo.

Il criterio per ritenere retributiva una erogazione
è dato pertanto dal rapporto sinallagmatico prestazione/contro-prestazione
propria del rapporto di lavoro.

9.11. Non soccorre in tal senso la nozione
onnicomprensiva della retribuzione richiamata dagli artt.
2120 e 2121 cod. civ., quest’ultimo quale
criterio di computo dell’indennità di mancato preavviso prevista dall’art. 2118 cod.civ., richiamati dalla Corte di
appello per avvalorare la computabilità del controvalore delle C.L.C. peraltro
calcolata con un parametro esterno al rapporto di lavoro stesso.

9.12. Per il trattamento di fine rapporto e per il
preavviso infatti il riferimento è comunque al computo di compensi che possono
essere qualificati come retributivi. Ma l’agevolazione di libera circolazione
riconosciuta è ancorata allo status di dipendente, o ex dipendente pensionato
ed è del tutto svincolata dalla natura e dalle modalità della controprestazione
lavorativa. Si tratta di agevolazione che, se rimasta inutilizzata, non è
suscettibile, alla scadenza, di essere tramutata in un controvalore economico
né tanto meno è possibile richiederne la sostituzione con il pagamento di una
somma di danaro.

9.13. Tali caratteristiche, complessivamente
valutate non consentono perciò di far rientrare le C.L.C. tra le componenti
della retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo delle
differenze retributive spettanti per effetto della costituzione ab origine di
un rapporto di lavoro subordinato nel caso di accertata interposizione fittizia
ai sensi della legge 1369 del 1960 che possono
riguardare soli i corrispettivi, pur nel senso ampio scora richiamato della
prestazione resa in favore di un datore di lavoro che ex post è stato accertato
essere tale.

10. All’accoglimento delle censure che investono la
computabilità stessa delle C.L.C. nell’ambito della retribuzione consegue il
venir meno della necessità di esaminare le altre censure mosse alla sentenza
che, per profili differenti, ne presuppongono l’inclusione tra gli elementi da
prendere a riferimento per il calcolo delle differenze retributive azionate con
il decreto ingiuntivo opposto.

11. Per effetto dell’accoglimento del ricorso la
sentenza deve essere cassata e rinviata ad altra Corte di appello, che si
individua in quella di Reggio Calabria, la quale previa revoca del decreto
ingiuntivo opposto scomputerà dalle somme richieste quelle riferibili alle
Carte di libera circolazione.

Alla Corte del rinvio è rimessa inoltre la
regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di
Reggio Calabria che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 settembre 2020, n. 18168
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