Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2020, n. 18330

Contratti a tempo determinato, Illegittimità del termine,
Ripetizione di indebito del lavoratore, Somme percepite e non gli importi
lordi che non sono mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente,
Possibilità di richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle
imposte sui redditi, sia per il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta
che per il datore di lavoro

 

Rilevato che

 

La Corte d’appello di Roma, in sede di rinvio dalla
Corte di Cassazione, per quanto in questa sede interessa, confermava la
sentenza di primo grado che aveva accertato l’illegittimità del termine apposto
ai contratti a tempo determinato intercorsi tra le ricorrenti e P.I. s.p.a. e,
in applicazione dell’art. 32 I.
2010 n. 183, determinava l’indennità nella misura di 5 mensilità per
ciascuna lavoratrice, stabilendo la decorrenza degli interessi ex art. 429 c.p.c. dalla sentenza e condannando le
lavoratrici a restituire quanto versato in eccesso al lordo delle ritenute
fiscali;

avverso la sentenza propongono ricorso per
cassazione le lavoratrici sulla base di tre motivi;

P.I. s.p.a. resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata notificata
alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio;

 

Considerato che

 

Con il primo motivo le ricorrenti, deducendo
violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in
relazione all’art. 32 c. 5 I. n.
183/10 con riferimento e contrasto con la normativa comunitaria (UE 1999/70 e carta europea dei diritti dell’uomo,
pongono il problema della applicabilità nel caso il esame dell’art. 32 I. n. 183/2010, essendo
stato avanzato alla Corte di Lussemburgo il problema della conformità alla
disciplina comunitaria dell’interpretazione data alla suddetta norma dalla
Corte di Cassazione;

con il secondo motivo le ricorrenti deducono
violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione
all’art. 10 c. 1 lett. D-Bis del DPR
917/86, all’art. 38 del
DPR 602/73 e agli artt. 23 e 64 DPR 600/73 in primis, oltre che
agli artt. 12 e 14
preleggi e all’art. 2033 c.c., osservando
che la ripetizione di indebito del lavoratore non può che avere ad oggetto le
somme da quest’ultimo percepite e non gli importi lordi che non sono mai
entrati nella sfera patrimoniale del dipendente;

con il terzo motivo deducono violazione dell’art. 360 c. 3 c.p.c. in relazione all’art. 429 terzo comma c.p.c., osservando che, sia
applicabile oppur no alla fattispecie l’art. 429
c.p.c., in ogni caso interessi e rivalutazione dovrebbero decorrere data
della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola
appositiva del termine e non dalla sentenza di rinvio;

il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., sotto il profilo della
esposizione sommaria dei fatti di causa e della comprensibilità e specificità
della censura, non essendo possibile evincere con sufficiente certezza
contenuto della medesima;

il secondo motivo è manifestamente fondato alla luce
degli orientamenti di questa Corte (ex plurimis 31655 del 6/12/2018), cui il
collegio intende dare continuità, in forza dei quali: a) in tema di rimborso
delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 38 DPR n. 602/1973, sono
legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle
somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice
tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. ‘sostituto di
imposta’) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd.
’sostituito’) (si veda Cass. 29 luglio 2015 n.
16105 ed i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti); b) il datore di
lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del
lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo,
restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute
fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr. Cass. 20 luglio
2018, n. 19459; Cass. 29 gennaio 2018, n. 2135;
Cass. 24 maggio 2018 n. 12933, Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464; in tali termini
anche Consiglio di Stato, Sez. 6, 2 marzo 2009 n. 1164 con riguardo al rapporto
di pubblico impiego);

il terzo motivo è manifestamente fondato alla luce
del principio in forza del quale «L’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della I. n. 183
del 2010, pur avendo funzione risarcitoria, rientra tra i crediti di
lavoro, e su di essa, ai sensi dell’art. 429, comma
3, c.p.c., spettano la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dalla
data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola
appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato, indipendentemente
dall’epoca di entrata in vigore della legge, posto che il comma 7 del citato art. 32 ne ha
sancito l’applicabilità anche ai giudizi pendenti. (Cass.
n. 5953 del 12/03/2018)»;

conseguentemente, in accoglimento dei primi due
motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata per il
prosieguo alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che provvederà
in conformità ai principi di diritto enunciati e alla regolamentazione delle
spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso,
accoglie il secondo e il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per
le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa
composizione.

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