Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 settembre 2020, n. 19845

Licenziamento per giusta causa, Tardività della contestazione
– Equivalenza all’insussistenza del fatto, Fatto contestato alla lavoratrice,
provato nella sua materialità, Tutela indennitaria

 

Fatti di causa

 

1. Il 3 gennaio 2017 P.I. s.p.a. licenziò per giusta
causa R.M. avendole contestato di aver abbandonato, omettendo di consegnarle,
un notevole quantitativo di missive chiuse da recapitare a privati nella zona
assegnatale quale portalettere.

2. Impugnato il licenziamento il Tribunale,
all’esito della fase sommaria, ne dichiarava l’illegittimità per violazione
dell’art. 7 della legge 30
maggio 1970 n. 300 in relazione alla tardività della contestazione ed
ordinava alla società di reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ai
sensi dell’art. 18 comma 4
della citata legge n. 300 del 1970.

3. Il giudice dell’opposizione, adito dalla società,
confermava il provvedimento reso nella fase sommaria e riteneva che
l’illegittimità della contestazione del fatto, tardivamente eseguita,
equivaleva ad insussistenza del fatto stesso così confermando la tutela
reintegratoria disposta.

4. Al contrario la Corte di appello di Reggio
Calabria, investita del reclamo da parte della società, ha confermato la
tardività della contestazione dell’ addebito ma ha ritenuto di applicare la
tutela indennitaria prevista dal comma 5 dell’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori. Ha poi ritenuto che il fatto contestato alla lavoratrice era
risultato provato nella sua materialità e che si trattava di condotta che
faceva venir meno il vincolo di fiducia che deve sorreggere il rapporto tra
datore di lavoro e lavoratore. Ha escluso che l’inadempimento fosse di lieve
entità evidenziando che, a prescindere dal valore economico della
corrispondenza abbandonata, si trattava di condotta idonea ad arrecare danni
patrimoniali ed all’immagine della Società oltre che danni alle relazioni
interpersonali degli interessati.

5. Per l’effetto, pur confermata la illegittimità
del recesso, in parziale riforma della sentenza del Tribunale ha dichiarato
risolto il rapporto ed ha condannato la Società P.I. al pagamento in favore
della M. di una indennità risarcitoria quantificata in sedici mensilità di
retribuzione, tenuto conto dell’anzianità della lavoratrice e delle dimensioni
dell’impresa. Ha poi disposto che dall’importo spettante fosse detratto quanto
già corrisposto in esecuzione della sentenza del Tribunale e la restituzione
delle somme eccedenti versate e non dovute.

6. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
R.M. con tre motivi ai quali oppone difese P.I. s.p.a.. entrambe le parti hanno
depositato memorie illustrative ai sensi dell’art.
378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

7. Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., è
denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori come modificato dalla legge n.
92 del 2012 in relazione all’art. 12 delle
disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 2119 cod. civ. e all’art. 1 della legge n. 604 del 1966
per violazione dei parametri integrativi della nozione di giusta causa.
Sostiene la ricorrente che il fatto accertato, consistito nel rinvenimento di
due chili di corrispondenza che ricadevano nella zona di distribuzione della
M., le è stato addebitato senza alcuna verifica dell’intenzionalità della
condotta a lei oggettivamente riferita.

8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la
violazione dell’art. 54 comma VI
c.c.n.I. Poste, degli artt. 1362 e ss. cod.
civ. e dell’art. 2729 cod. civ. in
relazione all’art.360 primo comma n. 3 cod.
proc.civ.. Ad avviso della M. la condotta addebitatale non è riconducibile
alla fattispecie prevista dall’art.
54 del c.c.n.I. di settore che richiede un uso illecito, e dunque doloso,
di beni della Società o ad essa affidati che nella specie non è ravvisabile. In
primo luogo “l’abbandono della corrispondenza in strada” contestatole
non è sussumibile nella nozione di “uso illecito” di beni aziendali
prevista dalla norma collettiva e dunque l’operazione interpretativa della
Corte di merito violerebbe i canoni dell’art. 1362
cod.civ.. Inoltre la circostanza che la posta trovata abbandonata
appartenesse all’area di distribuzione della M. non costituiva un elemento di
per sé sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di riscontro, a far
presumere che la condotta fosse a lei riferibile. Infine non è chiarito sulla
base di quali elementi la Corte ha ritenuto accertato un comportamento doloso
della ricorrente.

9. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, è
denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione
all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.
per avere trascurato di considerare la circostanza, pure ripetutamente allegata
in giudizio e mai contestata dalla Società, che sia in sede di audizione ex art. 7 della legge n. 300 del 1970
che alla Polizia Municipale di Reggio Calabria era stato evidenziato che il
pacco di posta era stato rinvenuto in un luogo che era fuori dal suo giro di
consegne. Ad avviso della ricorrente si tratterebbe di circostanza che ha
rilievo decisivo per escludere l’intenzionalità della condotta.

10. Il ricorso non può essere accolto.

10.1. La Corte di merito, in esito ad un esame
complessivo delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio, ha
accertato che l’abbandono della posta non poteva che essere riferito ad una
condotta consapevole della dipendente che era così incorsa in una violazione
delle regole di comportamento talmente grave da ledere irrimediabilmente il
vincolo fiduciario. A tal fine la Corte ha tenuto conto del fatto che solo nel
corso dell’audizione sollecitata nel procedimento disciplinare, e dopo il
rinvenimento della posta abbandonata, la M. aveva dichiarato di essersi
avveduta che dal suo banco era mancato qualche mazzetto di posta pronto per la
consegna. Nel ritenere inattendibile la dichiarazione, resa solo in quella
sede, il giudice di secondo grado ha considerato che l’istruttoria espletata
non aveva confermato che la sparizione della corrispondenza era stata già
verbalmente segnalata prima del suo ritrovamento. Con un ragionamento
presuntivo esente da vizi, ha desunto da tali circostanze che la condotta non
poteva che essere riferita alla lavoratrice la quale, se non ne fosse stata l’autrice,
si sarebbe premurata di segnalare l’anomalia riscontrata anche al fine di
essere tenuta indenne da ogni responsabilità. Va qui ribadito che nella prova
per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e
quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale,
essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello
ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod
plerumque accidit ed il giudice può trarre il suo libero convincimento
dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché
dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza (cfr. Cass.
21/01/2020 n. 1163 e 06/02/2019 n. 3513). Come si è detto tra il fatto noto e
quello ignoto non deve sussistere un legame di assoluta ed esclusiva necessità
causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia conseguenza
ragionevolmente possibile del fatto noto, secondo un criterio di normalità. In
sostanza il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto va
accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una
connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza
possono verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. 31/10/2011 n.
22656 e già Cass. Sez. U 13/11/1996 n. 9961). Di tali principi la Corte
territoriale ha fatto corretta applicazione verificando che la condotta da un
punto di vista oggettivo non poteva che essere riferita alla lavoratrice che
non poteva non averla posta in essere che con un comportamento consapevolmente
in dispregio delle regole di correttezza nell’esecuzione della prestazione.

10.2. E’ infondata la censura con la quale si
denuncia una errata interpretazione da parte della sentenza della disciplina
collettiva richiamata a fondamento dell’addebito disciplinare. La ricorrente
trascura infatti di considerare che il licenziamento risulta essere stato
intimato anche ai sensi dell’art.
80 del c.c.n.I. delle Poste applicabile al caso concreto che consente la
risoluzione del rapporto di lavoro nel caso in cui il comportamento tenuto dal
lavoratore integri una giusta causa ai sensi dell’art.
2119 cod.civ. ovvero sia ravvisabile un giustificato motivo ai sensi delle
vigenti disposizioni di legge. Ciò posto la Corte territoriale ha esattamente
verificato che la condotta accertata per la sua gravità era idonea a scuotere
la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto
pregiudizievole agli scopi aziendali. Conformemente a quanto affermato da
questa Corte in una fattispecie analoga, il giudice di appello ha ritenuto
determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del
lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di
riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento,
denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a
diligenza, buona fede e correttezza (cfr. Cass.
05/07/2019 n. 18195).

10.3. L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile
poiché la circostanza il cui esame si assume essere stato omesso è priva del
carattere di decisività che, alla luce del testo dell’art. 360 primo comma n. 5 applicabile, è
necessario perché si dia ingresso ad una verifica sulla motivazione. In tema di
ricorso per cassazione, integra un vizio deducibile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., come
riformulato dall’art. 54 del d.
l. n. 83 del 2012, conv., con modif., in I. n.
134 del 2012, l’omesso esame di un fatto storico, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a
determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass. 25/06/2018 n. 16703
e Sez. U. 07/04/2014 n. 8053). E’ onere del
ricorrente perciò, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., non
solo indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il
“dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il
“come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti ma anche la sua “decisività”.
Ciò premesso nel caso in esame si tratta di una circostanza, quella del
rinvenimento del pacco di posta abbandonato in un’area diversa da quella di
competenza della ricorrente, che di per sé è privo del carattere di decisività
necessario per poter ritenere ammissibile la censura. Non è neppure allegato
che tale elemento, per le sue caratteristiche, fosse idoneo ( e perciò decisivo
ai fini della soluzione della controversia) ad interrompere quel collegamento
con la lavoratrice che la Corte di merito ha ricostruito attraverso una serie
convergente di indizi i quali non sono smentiti ove pure si tenga conto della
circostanza di fatto tralasciata dal giudice di appello.

11. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso
deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono
liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato
d.P.R., se dovuto.

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