Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 settembre 2020, n. 19084

Personale enti pubblici, Ordinanza di custodia cautelare,
Sospensione dal servizio e riammissione, Procedimento disciplinare avente ad
oggetto i fatti oggetto del processo penale, Licenziamento per giusta causa,
Dirigente non soggetto alle comuni sanzioni disciplinari conservative, Non
sussiste, Perimetro sanzionatorio del recesso per giusta causa

Rilevato

1. che M.C. già dipendente dell’Inadel, poi,
dell’Inpdap, e, infine dell’Inps, a seguito di ordinanza di custodia cautelare
e successivo promovimento di due giudizi penali, fu dapprima sospeso dal
servizio e poi riammesso con decorrenza 1 agosto 1996; con lettera del 14 marzo
1997 il M. esercitò la facoltà di recesso prevista dalle norme contrattuali
all’epoca vigenti;

2. che all’esito della definizione dei giudizi
penali il M. richiese all’Istituto di ricostruirgli la carriera e di pagargli
tutti gli emolumenti non percepiti durante il periodo di sospensione dalle
funzioni, ma l’Inpdap attivò nei suoi confronti un procedimento disciplinare
avente ad oggetto i fatti oggetto del processo penale e con determinazione del
30 gennaio 2002 lo licenziò per giusta causa con decorrenza dal 2 febbraio
2003;

3. che il M., deducendo l’illegittimità del
comportamento dell’Istituto, convenne in giudizio quest’ultimo innanzi al
Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro per chiedere, previa
dichiarazione dell’invalidità del licenziamento, la condanna della controparte
al riconoscimento degli avanzamenti di qualifica ed al pagamento di quanto
dovuto a titolo di retribuzione, TFR e di danni;

4. che le Sezioni Unite di questa Corte con la
sentenza 19 aprile 2010 n. 9223 dichiararono il difetto di giurisdizione del
giudice ordinario sulle domande proposte dal M. il quale riassunse il giudizio
innanzi al TAR del Lazio, il quale, con la sentenza del 17 novembre 2015 n.
12993 respinse le domande;

5. che il Consiglio di Stato, con la sentenza 28
novembre 2018 n. 6761 ha rigettato l’appello proposto dal M. avverso la
sentenza del TAR, sulla scorta delle argomentazioni motivazionali che seguono:

6. tra il CCNL dell 1 11.10.1996, riservato ai
professionisti, e quello del 6.7.1995, relativo a tutto il personale INADEL,
non sussisteva, ai fini della disciplina del procedimento disciplinare, il
rapporto di antinomia ravvisato dalla parte appellante, perché l’art. 27, comma
5, del CCNL dell’11.10.1996 dispone che “il dirigente non è soggetto alle
comuni sanzioni disciplinari conservative”, laddove quella applicata con
il provvedimento di licenziamento impugnato ha evidentemente carattere e
finalità estintiva;

7. per i profili procedimentali doveva aversi
riguardo, ai fini della individuazione della disciplina contrattuale vigente al
tempo dell’esercizio del potere disciplinare e non a quella vigente al tempo di
commissione dei fatti addebitati (è stata richiamata la sentenza di questa Corte sez. lav. 7 giugno 2016 n. 11627);

8. il perimetro sanzionatorio del recesso per giusta
causa non è circoscritto alle ipotesi di “mala gestio” del dirigente,
come preteso dall’appellante, ma ricomprende tutti i comportamenti idonei ad
integrare l’alterazione del rapporto di fiducia dell’Amministrazione con il
dipendente in possesso della qualifica dirigenziale, quali sono deducibili a
fondamento dell’attivazione del potere disciplinare tipico, pertanto era
infondata la pretesa dell’appellante di dimostrare la non sanzionabilità del
comportamento ascrittogli facendo leva sulla doverosa applicazione della
disciplina contrattuale pertinente in relazione alla qualifica posseduta;

9. era infondata la tesi dell’appellante secondo cui
la cessazione del rapporto di servizio conseguente alle dimissioni
dell’appellante, facendo venir meno la posizione di supremazia speciale
dell’Amministrazione, precludeva l’esercizio del potere disciplinare, perché,
per consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo
“l’Amministrazione non solo ha il potere, ma in aggiunta ha il dovere di
avviare o riprendere il procedimento disciplinare una volta concluso il
procedimento penale nei casi in cui vi sia l’interesse giuridicamente
qualificato della Amministrazione, e, in particolare, nei casi in cui come
nella fattispecie in esame, occorra definire aspetti patrimoniali che siano
rimasti sospesi e indefiniti in attesa della conclusione del procedimento
penale anche in relazione a precedenti periodi di sospensione dal
servizio”;

10. era, in conseguenza, infondato anche il motivo
di appello inteso a ravvisare tratti di sviamento di potere nel provvedimento
impugnato, in quanto questo, alla luce della citata giurisprudenza, risultava
correttamente finalizzato a regolare i profili patrimoniali ancora da definire
con il dipendente, in quanto concernenti il pregresso periodo di sospensione
dal servizio, quali erano stati portati all’attenzione della stessa
Amministrazione con la lettera dell’interessato dell’11.7.2011;

11. era infondata la censura con la quale il
lavoratore aveva sostenuto che il potere disciplinare era stato tardivamente
esercitato, atteso che doveva aversi riguardo, ai fini della decorrenza del
termine (di 90 o 180 giorni), alla data di irrevocabilità della sentenza di
proscioglimento, nella specie verificatasi il 30 ottobre 2000, perché la
sentenza della Corte di Appello di Roma del 22 gennaio 2000, con la quale i
reati ascritti all’appellante erano stati riqualificati come corruzione
impropria, con il suo conseguente proscioglimento per intervenuta prescrizione,
era stata impugnata dal suddetto limitatamente ai capi G ed H, relativi ai
reati commessi nella qualità di amministratore comunale (il gravame, peraltro,
era stato dichiarato inammissibile con la sentenza della Corte di Cassazione n.
32938 del 7.6.2001), mentre la medesima sentenza di proscioglimento doveva
ritenersi passata in giudicato, nonostante il ricorso in Cassazione,
relativamente ai reati al suddetto contestati nella qualità di dirigente
dell’Inadel;

12. la complessità della fattispecie processuale,
caratterizzata dalla molteplicità delle imputazioni e delle impugnazioni
rivolte avverso la sentenza di secondo grado, non rendeva facilmente
intellegibile all’Amministrazione, nella veste di titolare del potere
disciplinare, la cognizione del giudicato (parziale) eventualmente formatosi, né
una più puntuale conoscenza dello stesso avrebbe potuto essere acquisita
mediante l’avviso di deposito ex art. 584 c.p.p.,
indipendentemente dalla precisa conoscenza del contenuto integrale dei ricorsi
di legittimità proposti dalle parti;

13. era irrilevante il fatto che l’Amministrazione,
quale parte civile, avesse partecipato ai giudizi di merito ed a quello di
legittimità, tenuto conto della duplicità dei ruoli che l’Ente pubblico assume,
quale parte del processo e titolare del potere disciplinare e del fatto che non
risultava dimostrato che le informazioni acquisite dal suo difensore in ordine
all’oggetto del giudizio pendente dinanzi alla Cassazione, sulla scorta dei
ricorsi proposti dalle parti, erano state tempestivamente trasferite all’organo
titolare dell’azione disciplinare;

14. era infondato il motivo di appello correlato al
mancato espletamento da parte dell’Amministrazione di attività istruttoria in
quanto non era stato allegato alcun elemento probatorio a dimostrazione della
dedotta non esaustività degli accertamenti svolti in sede penale;

15. era infondato anche il motivo di appello
concernente la mancata attivazione del procedimento disciplinare una volta che
l’Amministrazione era venuta a conoscenza delle infrazioni addebitate al
dipendente, perché alla data della sospensione cautelare obbligatoria
dell’appellante le disposizioni invocate (l’art. 28, comma 8, CCNL del 6 luglio
1995) non erano temporalmente applicabili, come del resto sostenuto dallo
stesso appellante in altra parte dell’appello, perché la loro estensione al
personale dirigenziale era stata prevista solo dall’art. 40 CCNL del 13 marzo
1999;

16. che avverso la sentenza del Consiglio di Stato
Carmelo M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo,
illustrato da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso
l’Inps;

17. che il ricorso era stato avviato alla
trattazione in camera di consiglio per l’Adunanza del 17.3.2020, sulla base
delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., il quale ha chiesto che si
dichiari l’inammissibilità del ricorso perché : a) si era formato giudicato
interno in quanto il percorso argomentativo della sentenza del Consiglio di
Stato è sovrapponibile alla pronuncia di primo grado del TAR sicchè se
l’eccesso di potere di potere giurisdizionale è stato commesso dal giudice
amministrativo tanto si è verificato già con la pronuncia di primo grado che
non era stata appellata sul punto dinanzi al Consiglio di Stato con la
conseguenza che non può più prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una
questione giurisdizionale all’esito del secondo grado del giudizio; b) non è
configurabile un eccesso di potere giurisdizionale da parte del giudice
amministrativo perché il Consiglio di Stato non ha applicato una norma
inesistente ma si è limitato all’interpretazione del quadro normativo;

18. che successivamente alla soppressione
dell’Adunanza Camerale del 17.3.2020, disposta dal Primo Presidente con
provvedimento in data 10.3.2020 ai sensi dell’art. 1 c. 1 del d.l. 8 marzo 2020 n.
11, il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di Consiglio per
l’odierna Adunanza Camerale;

 

Considerato

 

19. che il ricorrente con l’unico motivo di ricorso
denuncia “Eccesso di potere giurisdizionale per travalicamento dei limiti
esterni della giurisdizione. Difetto assoluto di giurisdizione del giudice
amministrativo rispetto al legislatore. Ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. comma 8 e art. 362 c. p.c., comma 1 Cpc e 110 D.LGS. n. 194
del 2010. Eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata
al legislatore (Cass. Sezioni Unite Civili sentenza n. 8311 del
25.3.2019)”;

20. che il ricorrente:

21. imputa al Consiglio di Stato di non avere
applicato le norme esistenti in punto di decadenza del potere disciplinare
(art. 97 c. 3 del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 10 c. 3, “Norma
transitoria” della I. n. 97 del 2001,
artt. 585 Ric. 2019 n. 17474 sez. SU – ud. 21-07-2020 -6- e 154 cod.proc.pen.) 
ma una norma inesistente “che prevede la irrevocabilità della
sentenza in funzione di conoscenza effettiva e della notificazione della
sentenza alla parte piuttosto che al difensore”, norma che il giudice
amministrativo aveva creato mediante l’esercizio di un’attività di produzione
normativa;

22. asserisce che le disposizioni in materia di
decadenza del potere disciplinare sono chiare ed univoche e non richiedevano e
non richiedono alcuna attività interpretativa da parte del Consiglio di Stato,
il quale non aveva alcuna necessità di ricercare la “voluntas legis
applicabile al caso concreto” desumibile sia dal tenore letterale che
dalla “ratio” e dal “coordinamento sistematico”;

23. invoca la sentenza della Corte Costituzionale n.
374 del 13-25 luglio 1995 e la sentenza n. 8311 del 2019 delle Sezioni Unite di
questa Corte per asserire che nell’ordinamento non esiste alcuna norma che
addossa al lavoratore l’onere di far conoscere alla Amministrazione la sentenza
di proscioglimento divenuta irrevocabile e di provare la data in cui “le
informazioni acquisite dal suo difensore in ordine all’oggetto del giudizio
pendente dinanzi alla Cassazione” sono pervenute all’organo della P.A.
competente in materia disciplinare;

24. conclude per la declaratoria del difetto di
giurisdizione e per  l’annullamento della
sentenza impugnata per difetto assoluto di giurisdizione per invasione e/o
sconfinamento nella sfera riservata al potere legislativo dello Stato e domanda
l’adozione di “ogni conseguente e necessaria statuizione;  in via preliminare

25. che va disattesa l’eccezione di improcedibilità
del ricorso formulata dal controricorrente per violazione degli oneri di cui
all’art. 369 cod.proc.civ. sul rilievo che
dalla lettura del ricorso non si evincerebbe quali “atti e documenti come
da separato indice” siano stati prodotti, se sia stata depositata copia
autentica della sentenza impugnata e se sia stata richiesta al Consiglio di
Stato la trasmissione del fascicolo di ufficio; ciò perché insieme al ricorso
risultano depositati l’indice degli atti e dei documenti allegati al ricorso,
l’istanza al Consiglio di Stato di trasmissione del fascicolo di ufficio, copia
della decisione impugnata;

26. che, d’altra parte, la mancata richiesta di
trasmissione, da parte del ricorrente, del fascicolo d’ufficio del giudice
“a quo” non comporta l’improcedibilità del ricorso per Cassazione
qualora, come nella specie, l’esame di tale fascicolo non sia necessario per la
risoluzione delle questioni prospettate con l’impugnazione (Cass. Sez. Un., 24
marzo 2017; Cass. Sez. Un., 21 settembre 2006 n.
20504);

27. che nella fattispecie in esame l’unico atto
rilevante ai fini del decidere, atteso il tenore delle censure, è solo la
sentenza impugnata, redatta in formato elettronico e firmata digitalmente, la
cui conformità all’originale non è stata disconosciuta dal controricorrente
(Cass. Sez. Un. 25 marzo 2019 n. 8312, pg 42 p. n. 3);

28. che è infondata anche l’eccezione di
inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente con riguardo all’art. 360 bis cod.proc.civ.; ciò perché le
situazioni di inammissibilità indicate nell’art.
360 bis, primo comma cod. proc. civ. non integrano nuovi motivi di ricorso
accanto a quelli previsti dall’art. 360, primo
comma cod. proc. civ. posto che sono state configurate dal legislatore come
strumenti utili alla specifica funzione di “filtro”, dei ricorsi per
cassazione di agevole soluzione, sicché sarebbe contraddittorio trarne la
conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi denunciabili (Cass. 13
agosto 2019 n. 21393; Cass. 29 ottobre 2012 n.
18551; Cass. 8 aprile 2016 n.6905);

29. che, in particolare, quanto all’ipotesi di cui
al n. 1 dell’art. 360-bis cod. proc. civ., che
viene qui in considerazione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato
che la funzione di filtro dell’ipotesi di inammissibilità prevista dalla
disposizione consiste nell’esonerare la Corte dall’esprimere compiutamente la
sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una
più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (Cass. Sez. Un. 21
marzo 2017);

30. che nella fattispecie in esame le censure
formulate, a prescindere dalla loro ammissibilità e/o fondatezza, su cui si
dirà di seguito, mettono in discussione la corretta applicazione alla
fattispecie dedotta in giudizio dei principi di diritto già affermati da questa
Corte in tema di eccesso di potere giurisdizionale per travalicamento dei
limiti esterni della giurisdizione e di difetto assoluto di giurisdizione;

31. che l’eccezione di giudicato interno formulata
dal controricorrente va esaminata unitamente alla richiesta formulata nelle
conclusioni scritte dal P.M. di declaratoria di inammissibilità per formazione
giudicato interno sulla  giurisdizione;

32. che queste Sezioni Unite hanno affermato di
recente (Cass. Sez.Un. 13 maggio 2020, n. 13436, Cass. Sez.Un. 3 maggio 2020 n.
8846; Cass. Sez.Un. 9 aprile 2020 n. 7764; Cass. Sez.Un. 6 marzo 2020 n. 6462;
Cass. Sez.Un. 5 aprile 2019 n. 9680; Cass. Sez.Un. 11 gennaio 2019 n. 543;
Cass. Sez.Un. 16 gennaio 2019 n. 1034) che per potersi configurare il giudicato
anche implicito “è necessaria l’esistenza, nella sentenza di primo grado,
di un capo autonomo sulla giurisdizione impugnabile, ma non impugnato in
appello”; tale situazione non sussiste in relazione ad una sentenza
“che sia, astrattamente, affetta da vizio di eccesso di potere
giurisdizionale”, perché all’interno del plesso giurisdizionale tanto
della Corte dei Conti come del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere che si
sia determinato, in ipotesi, nel giudizio di primo grado dovrà essere corretto
con l’esperimento delle relative impugnazioni, con la conseguenza che la parte
lesa da tale eccesso di potere non è interessata a dolersene con un apposito
motivo, posto che essa è tenuta semplicemente a proporre l’appello;

33. che è stato precisato che “l’interesse a
coinvolgere le Sezioni Unite potrà sorgere esclusivamente rispetto alla
sentenza d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del relativo
plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un vulnus
all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri,
dell’amministrazione e del legislatore”;

34. che sulla scorta dei principi innanzi
richiamati, ai quali va data continuità, deve essere nella specie esclusa, in
relazione all’eccesso di potere giurisdizionale, la configurabilità di un
giudicato interno che precluda l’impugnazione della sentenza in esame davanti a
queste Sezioni Unite;

35. che ciò non esclude che la inammissibilità del
ricorso possa essere predicato per le ragioni di seguito indicate;

36. che queste Sezioni Unite hanno affermato
reiteratamente che l’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione
per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di
difetto assoluto di  giurisdizione (che
si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella
sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero,
al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa
formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale ) o di difetto
relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i
c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia
attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale,
ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici);

37. che è stato precisato, in coerenza con la
nozione posta da Corte Cost. 5 dicembre 2018 n. 6, che siffatto vizio non è
configurabile in relazione a vizi che non investano la sussistenza e i limiti
esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici
speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le
più recenti, Cass., Sez. Un., 10 settembre 2019 n. 22569; Cass., Sez. Un., 6
luglio 2019 n. 18079; Cass., Sez. Un., 20 marzo 2019 n. 7926);

38. che tanto vale quale che sia la gravità della
violazione, anche ove essa attinga alla soglia del c.d. stravolgimento delle
norme di riferimento, sostanziali o processuali, applicate (Corte cost., sent.
5 dicembre 2018 n. 6, cit.), con la precisazione che il controllo del limite
esterno della giurisdizione, che l’art. 111, ottavo
comma, Cost., affida alla Corte di cassazione, non include il sindacato
sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di
comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per
contrasto con il diritto dell’Unione europea, salva l’ipotesi,
“estrema”, in cui l’errore si sia tradotto in una interpretazione delle
norme europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di
Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale
dinanzi al giudice amministrativo (Cass., Sez. Un.,10 maggio 2019 n. 12586,
Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2015 n. 2242);

39. che ai principi affermati nelle sentenze sopra
richiamate va data continuità perché il Collegio condivide le argomentazioni
esposte in tali sentenze, da intendersi qui richiamate ex artt. 132 c. 2 n. 4 cod.proc.civ. e 118 disp. att. cod.proc.civ., dovendo ribadirsi in
questa sede, in assenza di 
prospettazioni nel ricorso e nella memoria che inducano a disattendere i
principi innanzi richiamati, che la mancata o inesatta applicazione di una
norma di legge da parte del giudice amministrativo integra al più un
“error in iudicando” ma non dà luogo alla creazione di una norma
inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere
legislativo (Cass., Sez. U. 5 novembre 2019 n. 31754; Cass. Sez. Un. 27 giugno
2018 n. 16974);

40. che nel caso in esame l’assunto del ricorrente,
secondo il quale il giudice amministrativo avrebbe invaso la sfera di
attribuzioni proprie del legislatore, creando una norma di nuovo conio laddove
nessuna corrispondente disposizioni di legge sussisterebbe, non trova alcun
riscontro nella motivazione della sentenza impugnata;

41. che il Consiglio di Stato, ricostruito il quadro
normativo di fonte legale e contrattuale, per respingere il ricorso proposto
dal M. ha individuato ( cfr. punti da 6 a 15 di questa sentenza) le norme di
legge e della negoziazione collettiva ritenute applicabili “ratione
temporis” alla fattispecie dedotta in giudizio, applicazione che include
l’attività interpretativa delle norme stesse, e non ha “creato”
alcuna norma ma si è limitato a svolgere un’attività di interpretazione
normativa, che rappresenta il “proprium” della funzione
giurisdizionale e potrebbe dare luogo, eventualmente, ad un “error in
iudicando”, ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione
speciale (Cass. Sez. U. n. 9151/2018, Cass. Sez. U. n., 11380/2016, Cass. Sez.
U. n.27341/2014, Cass. Sez. U. n.22784/2012);

42. che il ricorso è, in conclusione, inammissibile:

43. che le spese del giudizio di cassazione,
liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

44. che va dato atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi
del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 1, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità in favore controricorrente, liquidate €
4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per
rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 settembre 2020, n. 19084
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