I dispositivi di protezione collettiva hanno priorità rispetto a quelli individuali anche per le lavorazioni che espongono il dipendente a rischio di caduta da una quota, salvo che la loro installazione sia incompatibile con lo stato dei luoghi o irrealizzabile per ragioni tecniche.

Nota a Cass. 31 agosto 2020, n. 18137

Sonia Gioia

In materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, ove si debbano svolgere attività in quota, la predisposizione di strumenti di protezione collettiva prima di quelli individuali è obbligatoria, “con l’unico ed esclusivo limite che la realizzazione di tali misure risulti incompatibile con lo stato dei luoghi o impossibile per altre ragioni tecniche, la cui prova in giudizio grava sul datore di lavoro e, per quanto di rispettiva competenza, sui soggetti titolari di posizioni di garanzia”.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (31 agosto 2020, n. 18137, difforme da App. Bologna n. 113/2016) in relazione all’infortunio mortale occorso ad un dipendente precipitato al suolo da un’altezza di dodici metri mentre eseguiva dei lavori sul tetto di un capannone industriale.

La Corte distrettuale, in particolare, aveva ritenuto che l’evento infausto si fosse verificato a causa di una “condotta imprevedibile e azzardata” del lavoratore, consistita nell’essersi sganciato dalla linea di ancoraggio della cintura di sicurezza (mezzo di protezione individuale), escludendo la responsabilità della società datrice per omessa adozione delle misure di protezione collettiva.

Al riguardo, secondo la Cassazione:

  • l’installazione di dispositivi di protezione collettiva, ai sensi dell’art. 15, co. 1, lett. i), D.LGS. 9 aprile 2008, n. 81 (c.d. T.U. “in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”), è prioritaria rispetto all’utilizzo di strumenti di protezione individuale, i quali devono essere impiegati “quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti (…) da mezzi di protezione collettiva”, oltre che mediante il ricorso a “misure tecniche di prevenzione” e a “misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro” (art. 75, D.LGS. n. 81/2008) ;
  • tale criterio “ha carattere diffuso e si estende anche a lavorazioni specifiche”, come quelle che espongono il dipendente al rischio di caduta da una quota [art. 111, co. 1, lett. a), D.LGS. n. 81/2008];
  • con particolare riferimento a quest’ultima tipologia di attività, l’imprenditore, nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro richieda l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, è tenuto ad adottare “misure di sicurezza equivalenti ed efficaci”, fermo restando che, una volta terminata definitivamente o temporaneamente tale lavorazione, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati (art. 111, co. 6, D.LGS. n. 81/2008).

Nel caso di specie, la Corte ha censurato la pronuncia di merito che aveva escluso il carattere assoluto dell’obbligo di precedenza delle misure di protezione collettiva, riconoscendo all’impresa “un margine di apprezzamento legato ad una serie di fattori”, quali l’opportunità di evitare la creazione e la diffusione di rischi ulteriori connessi alla predisposizione delle misure collettive e l’esigenza di contenere costi e tempi, elementi, tuttavia, estranei sia alla formulazione degli artt. 15 e 111, D.LGS. n. 81 cit. che alle ragioni e alle finalità che hanno ispirato la legislazione in materia di sicurezza.

Misure di sicurezza collettiva: prioritarie anche per lavori in quota
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