Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 ottobre 2020, n. 21979

Tributi, IRPEF, Incentivo all’esodo, Trattamento fiscale,
Pronunica di contrasto della norma nazionale con la normativa comunitaria,
Diritto al rimborso delle maggiori ritenute subite, Termine di decadenza,
Decorrenza

 

Fatti di causa

 

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione
della sentenza della CTR della Sardegna, indicata in epigrafe, che ha rigettato
l’appello dell’Ufficio in una controversia relativa all’impugnazione del
diniego di rimborso della metà delle ritenute Irpef, assoggettate alla
trattenuta nel mese di gennaio 2005, in relazione alla cessazione del rapporto
di lavoro nell’anno 2003.

La CTR ha ritenuto tempestiva la domanda di
rimborso, individuando il dies a quo ai fini della decadenza alla data di
pronuncia del giudice Europeo, che ha ritenuto la disciplina fiscale in materia
di incentivo all’esodo in contrasto col principio delle pari opportunità,
ribadito dal diritto comunitario e dalla relativa giurisprudenza.

Il contribuente non ha svolto difese in questa sede.

 

Ragioni della decisione

 

Considerato che con l’unico motivo si denuncia
violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38,
ex art. 360 c.p.c., n. 3, laddove la CTR ha
ancorato la decorrenza dei termine ivi previsto alla data della pronuncia del
giudice comunitario (ossia dal 3 settembre 2005) ricognitiva dell’illegittimità
della norma impositiva interna, di cui al TUIR, art. 19, comma 4 bis.

Il ricorso, seguendo il ragionamento del precedente
rappresentato da Cass. n. 32179 del 2019, che si condivide pienamente e dal
quale non vi è ragione per discostarsi, è fondato e va accolto.

La questione che qui si pone riguarda il se il
termine di decadenza di 48 mesi, previsto dalla normativa tributaria (nella
specie, trattandosi d’imposta sui redditi, dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38),
per il diritto ai rimborso di un’imposta che sia stata dichiarata, in epoca
successiva all’indebito versamento, incompatibile con il diritto comunitario da
una sentenza della Corte di giustizia, decorra comunque – come sostiene
l’Agenzia delle Entrate – dalla data del detto versamento, oppure – come ha
ritenuto il giudice a quo – da quella in cui è intervenuta la pronuncia che ne
ha sancito la non conformità all’ordinamento comunitario, Tale questione è nota
a questa Corte che, dalla pronuncia delle Sezioni
Unite n. 13676 del 2014, ha affermato che: “il termine di decadenza
per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
art. 38, e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in
cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui
l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata
in contrasto con il diritto dell’Unione Europea da una sentenza della Corte di
giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia – come quella
che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale – incontra i limite
dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorché sia maturata una causa di
prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del
principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche”.

Giova ribadire che tale interpretazione ha trovato
conforto nei principi, condivisi dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale e della Corte di giustizia dell’UE, di certezza del diritto e
delle situazioni giuridiche soggettive, cui gli istituti della prescrizione e
della decadenza sono finalizzati ed a cui il Legislatore, nei principio della
ragionevolezza, deve adeguarsi, salvo l’intangibilità dei c.d. rapporti
esauriti.

In materia tributaria, sulla base di tali principi,
si suole escludere l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di
diritto comune, proprio in quanto, per il rimborso di imposte non dovute vige
un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di
decadenza dal relativo diritto, nei termine previsto dalle singole leggi di
imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario.
Secondo l’interpretazione unanime, le norme di riferimento in tale materia,
sono il D.P.R. n. 602 del
1973, art. 38, che, in tema di rimborso delle imposte sui redditi,
stabilisce il dies a quo nella “data dei versamento” o in quella
“in cui la ritenuta è stata operata” nonché il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21,
comma 2, norma residuale e di chiusura del sistema, in virtù de quale “la
domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere
presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui
si è verificato il presupposto per la restituzione”.

Da tali norme, non può dunque prescindersi ogni qual
volta si tratti di stabilire il computo di un termine decadenziale,
ricavandosene un’interpretazione rigorosa che identifica nel giorno del
versamento il dies a quo (come tale non computabile) del termine di decadenza
per l’esercizio del diritto al rimborso dell’importo pagato.

Orbene, anche rispetto al caso in esame, la
giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la decorrenza del
termine vada computata comunque dal giorno successivo al versamento poi
rivelatosi indebito: il fatto che una sentenza della Corte di giustizia
dell’Unione Europea, con effetto retroattivo, abbia dichiarato in contrasto con
una direttiva comunitaria self executing una norma nazionale di agevolazione
fiscale, ampliandone la portata soggettiva, non è sufficiente a mutare le
regole vigenti in materia di decadenza, considerata “la posizione del
soggetto che, in vigenza della norma che lo escludeva dal beneficio, è rimasto
inerte fino all’intervento della sentenza (o anche successivamente), così
trovandosi in tutto o in parte decaduto dal diritto al rimborso”, si trova
in una “situazione…recessiva rispetto al principio della certezza delle
situazioni giuridiche (tanto più cogente in materia di entrate tributarie), che
riceverebbe un grave vulnus, in ragione della sostanziale protrazione a tempo
indeterminato dei rapporti tributari che ne deriverebbe.

Spetta, in definitiva, al solo legislatore, in casi
come quello in esame (così come in quello del sopravvenire di una legge
retroattiva), la valutazione discrezionale, nel rispetto dei principi
costituzionali coinvolti, in ordine all’eventuale introduzione di norme che
prevedano termini e modalità di “riapertura” di rapporti
esauriti” (cfr. Cass. S.U. n. 13676 del 2014;
Cass. n. 18145 del 2019, n. 5320 del 2018, Cass.
n. 3793 del 2016; Cass. n. 14548 del 2019).

Alla stregua di tali consolidati principi, il
ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto (in quanto l’istanza di rimborso è stata
presentata dal contribuente il 24 giugno 2009, oltre il termine di 48 mesi
previsto dal D.P.R. n. 602 del
1973, art. 38, dal momento che la ritenuta Irpef è stata operata nel mese
di gennaio 2005), la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso
introduttivo del contribuente, il quale è decaduto dal diritto a richiedere il
rimborso dell’imposta.

Sussistono giusti motivi, in relazione al contrasto
giurisprudenziale esistente al momento della proposizione del ricorso, per
compensare interamente le spese di giudizio di merito.

Le spese del presente giudizio di legittimità
vengono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna il contribuente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro
1.000,00, oltre spese prenotate a debito.

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