Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 ottobre 2020, n. 22074

Licenziamento disciplinare, Operazioni di vendita con
applicazione dello sconto, Alcun vantaggio personale, Concetto di
“autonomia operativa” richiamato nella declaratoria del livello contrattuale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n.
487/2018, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il reclamo
principale proposto da P.P. s.p.a. e dichiarava inammissibile il reclamo
incidentale proposto da B.N.A., il quale aveva impugnato il licenziamento
intimatogli il 20 gennaio 2016 dalla società datrice di lavoro.

2. La Corte di appello evidenziava che, alla luce
delle risultanze istruttorie, i fatti di cui all’addebito disciplinare solo in
parte erano risultati comprovati in giudizio: il B., in qualità di gerente del
punto vendita di Sottomarina di Chioggia, aveva venduto, in tre diverse
occasioni nel dicembre 2015, ad un importante cliente, alcune bottiglie di
spumante ad un prezzo inferiore a quello di vendita al pubblico; contrariamente
a quanto addebitato dalla società datrice di lavoro, gli sconti non erano stati
applicati a favore di un conoscente del B., bensì in favore di un cliente
storico della società reclamante, la Z. s.r.l. di Chioggia, società che ogni
anno nel periodo natalizio era solita effettuare acquisti presso il
supermercato per i regali d’uso aziendale. Riteneva, al pari del giudice
dell’opposizione e del giudice della fase sommaria, che praticare uno sconto ad
un cliente importante della società, il quale aveva in precedenza fatto
acquisti rilevanti presso il medesimo punto di vendita (precisamente aveva
acquistato carte-regalo per diverse migliaia di euro, per di più rimaste
inutilizzate), rientrasse nei poteri del ricorrente, inquadrato nel primo
livello contrattuale, e fosse un’operazione compiuta nell’esclusivo interesse
del datore di lavoro.

Osservava che era pacifico in giudizio che, dalle
operazioni di vendita con applicazione dello sconto, il B. non avesse riportato
alcun vantaggio personale né lo avesse procurato ad un proprio conoscente, come
invece contestato nella lettera di addebito; che era altresì pacifico che il
ricorrente non avesse in alcun modo occultato la propria condotta, avendo
registrato correttamente tutte le operazioni contabili oggetto della
contestazione disciplinare.

Rilevava infine che dall’istruttoria era pure emerso
che, dopo la vendita del 18 dicembre 2015, l’operato del B. era stato
ratificato dal dirigente, che aveva autorizzato l’applicazione dei minori prezzi
di vendita dello spumante in questione.

Concludeva che il licenziamento era illegittimo per
insussistenza del fatto illecito, con conseguente diritto del lavoratore ad
essere reintegrato nel posto di lavoro, in applicazione a tutela di cui al
quarto comma dell’art. 18,
legge n. 300 del 1970, come novellato dalla legge
n. 92 del 2012.

3. Per la cassazione di tale sentenza P.P. s.p.a. ha
proposto ricorso affidato ad un motivo. B.N.A. ha resistito con controricorso..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con unico motivo di ricorso si denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 100 C.C.N.L. terziario
(commercio) per insussistenza del potere del dipendente inquadrato nel primo
livello contrattuale di praticare sconti alla clientela, ancorché si tratti di
clientela abituale e in presenza di particolari condizioni di interesse per
l’azienda. La società ricorrente sostiene che il concetto di “autonomia
operativa” richiamato nella declaratoria del primo livello contrattuale
non può comprendere decisioni che appartengono al dirigente. Sostiene che il
ricorrente aveva il compito di verificare che i prodotti venissero venduti nel
rispetto dei prezzi di vendita determinati dall’azienda, in quanto, trattandosi
di società di notevoli dimensioni con numerosi punti vendita dislocati sul
territorio, la politica dei prezzi viene gestita centralmente, a livello
dirigenziale, essendo necessario un elevato grado di autonomia decisionale.

2. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

3. La declaratoria dell’art. 100 CCNL di settore indica
che appartengono al primo livello i lavoratori “con funzioni ad alto
contenuto professionale, anche con responsabilità di direzione esecutiva, che
sovraintendono alle unità produttive… con carattere di iniziativa e di
autonomia operativa nell’ambito della responsabilità ad essi delegate”. In
ordine all’interpretazione di tale declaratoria contrattuale, su cui si
incentra unicamente il ricorso, va osservato che parte ricorrente non ha in
alcun modo chiarito perché sarebbe errata l’interpretazione offerta dalla Corte
di appello secondo cui la condotta, nei termini in cui era stata ricostruita in
istruttoria, non esulava dai poteri di autonomia e di iniziativa operativa
propri del livello di inquadramento posseduto dal B.. Il ricorso si limita ad
opporre, in modo del tutto generico, che il concetto di autonomia decisionale
proprio della suddetta declaratoria non consentirebbe di includervi iniziative
del genere di quelle assunte dal B., omette del tutto di argomentare in base a
quali elementi di interpretazione letterale o sistematica sarebbe errata la
diversa interpretazione offerta dalla Corte di appello.

3.1. Sebbene il novellato art.
360, primo comma n. 3 cod. proc. civ. abbia equiparato, sotto il profilo
processuale, alle norme di legge i contratti e gli accordi collettivi nazionali
di lavoro, parte ricorrente è tenuta comunque ad esplicitare specificamente i
motivi (art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)
della propria impugnazione al fine di evidenziare gli errori d’interpretazione
che si assumono commessi (da ultimo, cfr. Cass. 10564 del 2019). Ne deriva che
non è formulata in modo idoneo la deduzione di errori di diritto individuati
per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente
violate, in assenza di una valida critica dell’interpretazione della
declaratoria contrattuale da parte del giudice di merito, operata mediante
specifiche e puntuali contestazioni e non attraverso la mera contrapposizione
dei propri assunti difensivi agli argomenti desumibili dalla motivazione della
sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016).

4. A tale preliminare considerazione, va aggiunto
che la questione posta con l’unico motivo di ricorso non ha neppure carattere
decisivo, poiché non è solo sulla base dell’interpretazione della qualifica di
inquadramento e dei poteri attribuiti contrattualmente al B. che la Corte di
appello ha valutato l’illegittimità del licenziamento.

4.1. La questione della delimitazione dei poteri di
iniziativa riconosciuti al personale inquadrato nel primo livello contrattuale
è questione che la società appellante aveva addotto per contestare la sentenza
di primo grado, per cui la Corte di appello ha affrontato tale argomento,
disattendendolo, senza con ciò escludere (ma anzi condividendo espressamente) quanto
argomentato dal primo giudice per ritenere l’insussistenza del fatto ascritto.
La sentenza ha osservato che P.P. aveva ricondotto, nella lettera di
contestazione, i fatti ascritti al B. all’art. 225 CCNL, che riguarda la
“grave violazione dei doveri di cui all’art. 220”, il quale a sua
volta contempla l’obbligo di osservare scrupolosamente i doveri di ufficio, di
tenere una condotta conforme ai doveri civici, di conservare diligentemente le
merci ed i materiali e di cooperare alla prosperità dell’impresa. La Corte,
condividendo il giudizio già espresso dal primo giudice, ha ritenuto che, alla
luce dei fatti come ricostruiti in giudizio, ridimensionati rispetto alla
originaria contestazione, la condotta effettivamente tenuta dal B., non solo
non corrispondeva in termini concreti a quelli ascritti, ma non era neppure
assibilabile alla fattispecie di illecito ipotizzata dalla parte datoriale o ad
altre ipotesi contrattualmente tipizzate di licenziamento, né era comunque
idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

4.2. Un altro elemento pure evidenziato dalla Corte
di appello, su cui la sentenza impugnata si fonda e che non ha formato oggetto
di alcuna censura nel ricorso per cassazione, al pari del precedente argomento,
è costituito dalla ratifica che, per una delle operazioni compiute dal B., era
pervenuta ex post dal dirigente, ad attestare che la società aveva ritenuto non
lesivo per gli interessi dell’azienda il comportamento posto in essere dal
ricorrente, e ciò ove pure avesse ritenuto l’iniziativa esulante dai poteri
attribuiti al B.. All’evidenza, l’avere ratificato tale operato è comportamento
che collide con l’assunto della giusta causa del licenziamento.

5. Tale complessivo giudizio è quello che sorregge,
nella sua globalità, l’insussistenza del fatto ascritto, in quanto il fatto
addebitato non era risultato comprovato nei termini materiali di cui alla
contestazione e al licenziamento disciplinare, né integrava alcuna delle
ipotesi ascritte da parte datoriale e neppure poteva ledere in modo
irreparabile il vincolo fiduciario.

6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di
parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi
professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del
compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55,
da distrarsi in favore del procuratore antistatario avv. L.G..

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi
dell’art. 13, comma 1 -quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13
(v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro
5.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da
distrarsi in favore del procuratore antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R.
n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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