Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 ottobre 2020, n. 28728

Appalto, Lesioni personali, Risarcimento del danno,
Sospensione condizionale della pena, Valutazione della capacità patrimoniale e
reddituale del condannato

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di Appello di Venezia, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere per
intervenuta prescrizione relativamente al reato di cui agli artt. 90, comma 9, lett. a), e 157, comma 1, lett. b), d.lgs. n.
81 del 2008 (capo b) ed ha, invece, confermato la condanna nei confronti di
G.O. per il reato di cui all’art. 590, commi 1 e 2,
cod.pen., riducendo la pena, in conseguenza della dichiarata estinzione
della contravvenzione, a mesi 7 di reclusione, con sospensione condizionale
subordinata al pagamento della provvisionale di euro 120.000,00 a favore delle
parti civili (capo a, per avere in data 6 ottobre 2012, nella qualità di
committente, cagionato lesioni personali a M.P., caduto dal tetto dei capannone
di sua proprietà, oggetto di interventi di manutenzione, ove era salito senza
alcuna precauzione, con colpa consistente nell’aver commissionato l’incarico di
riparazione senza alcuna verifica della idoneità tecnico professionale
dell’impresa appaltatrice di M.J., di cui pure è stata accertata la penale
responsabilità).

2. Avverso tale sentenza ha tempestivamente proposto
ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l’imputato G.O. che ha
dedotto: 1) la mancanza di motivazione in ordine alla sollevata questione di
legittimità costituzionale dell’art. 165 cod.pen.,
per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte
in cui consente di subordinare la sospensione condizionale della pena al
pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o di
provvisionale, in queste modo realizzando una disparità di trattamento tra
soggetti che dispongono di somme liquide e soggetti che non ne dispongono; 2)
l’erronea applicazione della legge penale, avendo la Corte veneta omesso di
valutare che il ricorrente ha controllato l’iscrizione alla Camera di commercio
dell’imprenditore incaricato; 3) l’omessa motivazione in ordine alla capacità
economica del ricorrente e alla possibilità concreta, da parte sua, di
sopportare l’onere del risarcimento del danno, cui è subordinata la
provvisionale.

3. Le parti civili hanno depositato in data Io
aprile 2020 memoria in cui hanno chiesto rigettarsi il ricorso e
successivamente le loro conclusioni scritte.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso non può essere accolto.

2. Il primo ed il terzo motivo, concernenti la
subordinazione della sospensione condizionale della pena detentiva al pagamento
della provvisionale, possono essere esaminati congiuntamente.

In primo luogo va ricordato che la Corte
costituzionale ha già dichiarato non fondata, con la sentenza n. 49 del 1975,
la questione di legittimità costituzionale dell’art.
165 cod.pen., nella parte in cui consente al giudice di subordinare
sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, osservando che
la facoltà del giudice di concedere il beneficio de quo subordinatamente
all’effettiva riparazione del danno cagionato dal reato non contrasta con l’art. 3 Cost., poiché risponde ad una apprezzabile
esigenza di politica legislativa tendente ad eliminare le conseguenze dannose
degli illeciti penali ed a garantire che il comportamento del reo, dopo la
condanna, si adegui a quel processo di ravvedimento che costituisce lo scopo
precipuo dell’istituto stesso della sospensione condizionale della pena. La
Consulta ha, peraltro, precisato che l’art. 165
cod.pen. riconosce al giudice il potere di subordinare o meno
all’adempimento dell’obbligo di risarcimento la sospensione della pena a
seguito della valutazione della capacità patrimoniale e reddituale del
condannato, proprio per evitare che si realizzi in concreto un trattamento di
sfavore a carico del reo in funzione della sua situazione economica. Da tali
premesse deriva che la prima censura è manifestamente infondata.

Va, poi, evidenziato che nella giurisprudenza di
legittimità si sono formati difformi orientamenti in ordine alla necessaria
valutazione delle capacità economiche dell’imputato. Secondo una prima
posizione, in tema di sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il beneficio
venga subordinato all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, il giudice della
cognizione non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni
economiche dell’imputato, atteso che la verifica dell’eventuale impossibilità
di adempiere del condannato rientra nella competenza del giudice
dell’esecuzione (Sez. 4, n. 4626 del 08/11/2019 ud.- dep. 04/02/2020, Rv.
278290 – 01; v. anche Sez. 5, n. 15800 del 17/11/2015, dep. 15/04/2016, Rv.
266690 nella cui motivazione la Corte ha chiarito che tale principio è utile al
fine di impedire che l’accertamento venga svolto due volte, dal momento che in
sede di esecuzione è comunque consentito al reo dimostrare l’eventuale modifica
peggiorativa della sua situazione economica). Secondo altra impostazione, invece,
il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle
condizioni economiche dell’imputato, deve tuttavia effettuare un motivato
apprezzamento di esse se dagli atti emergano elementi che consentano di
dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali
elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione (tra
le tante, Sez. 5, n. 11299 del 09/12/2019 ud.-dep. 03/04/2020, Rv. 278799 – 01,
che, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la decisione del
giudice di merito che, senza operare una effettiva verifica della capacità
economica del condannato, aveva subordinato al pagamento di una provvisionale
la concessione del beneficio della sospensione della pena, nonostante risultasse
dagli atti che il destinatario del provvedimento era stato dichiarato fallita
in proprio dopo la sentenza di condanna di primo grado e spogliato dei suoi
beni, venduti all’asta). Più recentemente Sez. 5 n. 40041 del 18/06/2019 ud. –
dep. 30/09/2019, Rv. 277604 – 01, ha affermato che il giudice che intenda
subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al
risarcimento del danno (nella specie, al pagamento della provvisionale
stabilita) ha l’obbligo di valutare le reali condizioni economiche del
condannato in ogni caso e, ancor di più, quando vi sia un accenno di prova
dell’incapacità di questo di sopportare l’onere del pagamento risarcitorio – in
motivazione, la Corte ha altresì evidenziato come l’obbligo in questione sia
coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e con la funzione rieducativa della
pena prevista dall’art. 27 Cost.

Ad ogni modo, nel caso di specie, il giudice di
appello ha espressamente valutato, in modo positivo, le condizioni economiche
dell’imputato, con una motivazione sufficiente e non illogica, fondata sulla
titolarità da parte di Olivieri di una quota del capannone oggetto dei lavori,
sicché anche la terza censura risulta manifestamente infondata.

3. Non merita accoglimento neppure la seconda
doglianza, con cui si denuncia l’erronea applicazione della legge penale,
avendo l’imputato, prima di affidare l’incarico, controllato l’iscrizione
dell’appaltatore nel registro delle imprese. In proposito deve osservarsi che,
in materia di infortuni sul lavoro, in caso di lavori svolti in esecuzione di
un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando
non si ingerisce nella loro esecuzione, è, comunque, obbligato a verificare
l’idoneità tecnico – professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi
prescelti in relazione ai lavori affidati (Sez. 4, n. 37761 del 20/03/2019 ud.
– dep. 12/09/2019, Rv. 277008 – 01). Il rispetto di tale obbligo non può
ridursi al controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle
imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo, ma esige la
verifica, da parte del committente, della struttura organizzativa dell’impresa
incaricata e della sua adeguatezza rispetto alla pericolosità dell’opera
commissionata – in particolare, in caso di lavori in quota, il committente deve
assicurarsi dell’effettiva disponibilità, da parte dell’appaltatore, dei
necessari dispositivi di sicurezza (v., per tutte, Sez. 3, n. 35185 del
26/04/2016 ud.- dep. 22/08/2016, Rv. 267744 – 01, in materia di infortuni sul
lavoro, il committente ha l’obbligo di verificare l’idoneità
tecnicoprofessionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in
relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati – fattispecie, relativa
alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della
copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per
il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una
situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben
sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa,
che gli consentisse di lavorare in sicurezza). Nel caso in esame, l’art. 90, comma 9, lett. a, del
d.lgs. n. 81 del 2008 è stato, pertanto, correttamente applicato dai
giudici di merito. Difatti, nella sentenza impugnata si legge che “nella
scelta della ditta da incaricare di un lavoro particolarmente pericoloso
l’imputato ha individuato un artigiano, privo di specifiche competenze tecniche
in ordine al lavoro in concreto da svolgere, relativo alla riparazione di
lastre in eternit, dopo averlo incaricato inizialmente della diversa attività
di ricerca di una perdita d’acqua nel bagno, a conferma della totale assenza di
una valutazione del rischio della specifica attività richiesta e della mancanza
dei relativi presidi anti-infortunistici e della mancata valutazione circa la
necessità di incaricare del lavoro una ditta specializzata”.

4.In conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali
e, non sussistendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria in favore
della Cassa delle Ammende, che si reputa equo liquidare in euro duemila, oltre
alla refusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, come
liquidate in sentenza.

Per completezza deve precisarsi che, secondo
l’orientamento prevalente, nel giudizio per cassazione l’imputato non è tenuto
al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile, che, dopo
avere depositato una memoria, non sia intervenuta nella discussione in pubblica
udienza (Sez. 5 n. 29481 del 07/05/2018 ud, – dep. 27/06/2018, Rv. 273332 –
01).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila
in favore della Cassa delle ammende.

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