Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 ottobre 2020, n. 23617

Licenziamento verbale, Cancellazione della società dal
Registro delle imprese, Differenze retributive, Condanna dei soci di snc

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 1730 depositata il 24.3.2016, la
Corte d’appello di Roma, a parziale riforma della pronuncia del Tribunale di
Frosinone, ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento verbale intimato a
D.V. in data 13.8.2005 dalla società Al. s.n.c. e, accertata la cancellazione
della società dal registro delle imprese, ha condannato i soci – L.P. e G.P. –
al pagamento del t.f.r. e delle differenze retributive pretese, respingendo la
domanda del lavoratore al pagamento di 15 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto (trattandosi di domanda nuova, svolta solamente in grado di
appello) e di tutte le retribuzioni maturate successivamente al licenziamento
verbale (mancando, nella lettera di impugnazione del licenziamento inviata dal
lavoratore nell’agosto 2005, l’offerta della prestazione lavorativa).

2. propone ricorso il lavoratore affidandosi a due
motivi; L.P. e G.P. resistono con controricorso;

3. la Procura Generale, con atto del 9.6.2020, ha
chiesto la trattazione in pubblica udienza.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia – ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. – violazione degli artt. 345 e 347 cod.proc.civ. e 18, commi 1 e 5, della legge n.
300 del 1970, avendo, la Corte distrettuale, errato nell’escludere inclusa
– nella domanda di inefficacia del licenziamento – la conseguente domanda di
pagamento delle 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, trattandosi di
prestazione alternativa alla reintegrazione, divenuta ineseguibile a seguito di
estinzione della società;

2. con il secondo motivo si denunzia – ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. – violazione degli artt. 1217 cod.civ., 18, comma 4, della legge n. 300
del 1970, 112 cod.proc.civ.,
per aver, la Corte distrettuale, erroneamente interpretato la lettera inviata
dal lavoratore il 16.8.2005 al datore di lavoro (con cui si impugnava il
licenziamento e si chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro) negando
valore di messa in mora e senza prendere in considerazione il rifiuto della
prestazione lavorativa espresso dal datore di lavoro con lettera del 28.9.2005;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile, posto
che la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di
specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente
avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto della domanda
proposta con il ricorso introduttivo del giudizio, fornendo al contempo alla
Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli
atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere,
rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 cod.proc.civ.,
comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod.proc.civ., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio
2014, n. 3224

; Cass. SU 11 aprile 2012, n.
5698; Cass. S.U. 3
novembre 2011, n. 22726);

4. invero, il ricorrente lamenta l’erronea
applicazione dell’art. 18,
comma 5, della legge n. 300 del 1970 (domanda ritenuta nuova dalla Corte
distrettuale) senza consentire il riscontro del contenuto della domanda
giudiziale proposta in primo grado (rilevato che la Corte distrettuale fa
riferimento ad una domanda giudiziale di “ripristino” della
funzionalità del rapporto e di “riammissione” in servizio,
terminologia che evoca la richiesta di applicazione dell’art. 2 della legge n. 604 del 1966
a fronte di un requisito dimensionale dell’impresa al di sotto di quello
previsto dall’art. 18 della
legge n. 300 del 1970);

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per
plurime ragioni; al pari del primo motivo, e dunque con riguardo ai profili di
specificità dei motivi di ricorso, parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno,
trascrivere nel ricorso il contenuto della lettera di impugnazione del
licenziamento del 16.8.2005, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri
per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali;

6. inoltre, lungi dal prospettare a questa Corte un
vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 cod.proc.civ., n. 3,
nella parte in cui il giudice del merito ha accertato l’insussistenza di una
offerta di prestazioni lavorative nella lettera di impugnazione del
licenziamento del 16.8.2005, si induce piuttosto ad invocare una diversa
lettura delle risultanze procedimentali così come accertati e ricostruite dalla
Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto
inammissibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della
scelga di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione,
involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di
merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria
decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una
ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
logicamente non impredicabili), non incontra altro
limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza
processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva;

7. in conclusione, il ricorso è inammissibile e le
spese di lite seguono la soccombenza come previsto dall’art. 91 cod.proc.civ.;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi
professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge
24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1 – bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

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