Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2020, n. 26272

Verbali di accertamento INPS, Domanda di annullamento,
Difetto di giurisdizione del giudice ordinario, Contratto di associazione in
partecipazione, Indici di qualificazione della tipologia contrattuale,
Mancanza di qualsiasi rendiconto sull’andamento del negozio

 

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n.
846/2014, confermava la sentenza del Tribunale di Sondrio che aveva dichiarato
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di annullamento
dei verbali di accertamento dell’INPS in data 22 ottobre 2007 e rigettato nel
merito l’opposizione alla cartella esattoriale n. 068 2008 03486423 27 proposta
da F.A. s.r.l. e C.L., quale titolare della omonima ditta individuale, per
l’accertamento della infondatezza della pretesa creditoria dell’Istituto
previdenziale.

2. Gli appellanti avevano chiesto che fossero
annullati e dichiarati inefficaci i tre verbali di accertamento ispettivo con
cui erano stati qualificati di lavoro subordinato: a) i rapporti di
associazione in partecipazione e di collaborazione a progetto instaurati tra la
s.r.l. F.A. e le lavoratrici di cui al verbale ispettivo (V.A., F.B., V.B.,
P.E. e S.S.); b) il rapporto di associazione in partecipazione tra la società
F.A. e C.L., da cui era conseguita la riconducibilità alla prima del contratto
di lavoro sottoscritto dalla C. con la lavoratrice R.M..

3. La s.r.l. F. aveva sostenuto di essersi avvalsa
della collaborazione delle lavoratrici di cui al verbale ispettivo, affidando a
ciascuna la supervisione delle gestione di alcuni punti vendita in vari piccoli
comuni della Valtellina per rilanciarne l’attività in vista dell’eventuale
assunzione della gestione diretta da parte delle interessate e che nulla poteva
esserle imputato quanto alla lavoratrice assunta direttamente dalla impresa
individuale della C., che esercitava attività di rivendita di edicola e con la
quale la stessa società aveva stipulato un contratto per l’annessione al negozio
dell’ulteriore attività commerciale di vendita al dettaglio di prodotti
alimentari.

4. La Corte di appello, premesso che la domanda di
annullamento dei verbali ispettivi era autonoma rispetto a quella di
accertamento dell’infondatezza della pretesa creditoria dell’INPS e che
correttamente era stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario
riguardo a quest’ultima, sulla quale occorreva pronunciare, confermava
l’accertamento del primo giudice, osservando: a) quanto al contratto di
associazione in partecipazione sottoscritto tra le due parti appellanti, che
non ricorrevano gli indici di qualificazione di tale tipo contrattuale, tenuto
conto della mancata partecipazione della C. tanto agli utili che alle perdite,
della percezione da parte della stessa di una retribuzione mensile per la
gestione del negozio di alimentari e della mancanza di qualsiasi rendiconto
sull’andamento del negozio; b) quanto alla posizione della lavoratrice M.,
assunta dalla C. quale commessa a tempo parziale presso il negozio di alimentari
della F.A. s.r.l., che il rapporto de quo doveva essere ricondotto all’azienda
appellante; c) quanto alla posizione della lavoratrice A., per la quale era
stato adottato lo schema contrattuale dell’associazione in partecipazione, che
le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro (pagamento della
retribuzione a cadenze fisse, direttive impartite dallo stesso associante,
mancanza degli elementi tipici della associazione in partecipazione) erano
riconducibili alla subordinazione; d) quanto alla posizione delle sorelle B.,
assunte come collaboratrici nel 2003, come lavoratrici subordinate per pochi
giorni nel 2004 e poi con contratto di collaborazione a progetto, che, a
prescindere dalla forma contrattuale di volta in volta adottata, le stesse
avevano sempre svolto mansioni di commesse e di impiegate amministrative,
curando lo svolgimento di tutte le attività richieste nel negozio, compresa la
pulizia e la piccola manutenzione, la gestione dei rapporti con la clientela ed
i fornitori, la sistemazione e la prezzatura dei prodotti, l’attività di cassa,
ecc.; d) quanto alla posizione delle lavoratrici E. e S., il contratto ex art. 61 d.lgs. 276 del 2003 con
cui erano state assunte era privo di progetto, limitandosi a descrivere
l’attività di organizzazione e gestione del punto vendita, di riqualificazione
e rilancio dello stesso, integrante l’attività di impresa, senza alcuna
indicazione né dei risultati né dei tempi di realizzazione dei compiti demandati
alla collaboratrice, né indicazione di un obiettivo, e conseguentemente era da
escludersi la genuinità del progetto, da cui l’operatività della conversione ex
lege in rapporto di lavoro subordinato, ai sensi dell’art. 69 dello stesso
decreto.

5. Per la cassazione di tale sentenza F.A. s.r.l. e
C.L. hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi. L’INPS ha resistito con
controricorso.

 

Considerato che

 

6. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 444 cod. proc. civ., 17 legge n. 124 del 2004 e legge n. 88 del 1989. Si assume che “gli
odierni ricorrenti hanno espletato, avverso i vE.li in questione, le procedure
amministrative previste dall’art.
17 della legge 124/2004 per quanto riguarda i verbali sub lett. a) e c) ed
alla legge 88/89 per quanto concerne il verbale
sub lettera b)”, soggiungendo che “non si comprende per quale ragione
il giudice ordinario difetterebbe di giurisdizione.”.

7. Con il secondo e il terzo motivo si denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e
segg. cod. civ. e artt. 2549 e segg. cod. civ.
(secondo motivo), degli artt. 2094 e segg. cod.
civ. e artt. 61 e segg. d.lgs.
n. 276 del 2003 (terzo motivo), nonché omesso esame di fatti decisivi per
il giudizio (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.).
Segnatamente, il secondo motivo censura la sentenza nella parte in cui ha
ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società F.
a r.l. e L. C. e, di conseguenza, tra la società F. e la lavoratrice M.. Il
terzo motivo censura la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto genuini i
contratti di associazione in partecipazione e i contratti di lavoro a progetto
stipulati tra la società F. e le altre lavoratrici di cui ai vE.li di
accertamento ispettivo. Si sostiene che i giudici di primo e di secondo grado
avrebbero accreditato la ricostruzione degli ispettori dell’INPS sulla base
delle dichiarazioni raccolte in forma riassuntiva e senza contraddittorio
durante l’ispezione, in contrasto con le risultanze delle prove orali e
documentali raccolte nel giudizio di primo grado.

8. Con il quarto motivo ci si duole della
“omessa valutazione, da parte del Tribunale, delle risultanze emerse in
occasione di precedenti verifiche della G.d.F. e della D.P.L.” e omesso
esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione
tra le parti (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.).
Si assume che l’esito di precedenti accertamenti nei confronti della F. da
parte della Guardia di Finanza e della Direzione territoriale del lavoro era
stato favorevole alla parte ricorrente, non essendo stata sollevata alcuna
censura in ordine alla validità dei contratti in questione.

9. Il ricorso è inammissibile.

10. Quanto al primo motivo, va osservato che
l’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento dà luogo ad un
giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto
previdenziale obbligatorio e, segnatamente, al rapporto contributivo, per cui
correttamente la Corte di appello ha svolto l’accertamento che le era richiesto
in ragione della natura dell’azione proposta. Secondo la giurisprudenza di
questa Corte, la notifica della cartella esattoriale per contributi
previdenziali determina la sopravvenuta carenza di interesse ad agire nel
giudizio di impugnazione dell’accertamento ispettivo che sia stato promosso
dopo l’iscrizione a ruolo, perché l’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46
del 1999 prevede uno specifico mezzo dell’impugnazione a ruolo, da
azionarsi entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di
pagamento, con il quale vengono devolute in giudizio tutte le questioni aventi
ad oggetto la fondatezza della pretesa, sia quelle relative alla regolarità del
titolo che quelle attinenti al merito, sicché nessun risultato utile il
ricorrente potrebbe più conseguire in virtù dell’autonoma azione di
accertamento negativo proposta in relazione all’accertamento ispettivo (Cass. n. 6753 del 2020).

11. Anche il secondo e il terzo motivo sono
inammissibili.

12. Innanzitutto, parte ricorrente, sotto
l’apparente veste dell’error in iudicando, tende a contestare la ricostruzione
della vicenda accreditata dalla sentenza impugnata. Va ribadito in questa sede
che il vizio di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di 195 del
2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di
sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una
ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione,
alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

13. Quanto alla denuncia di omesso esame di fatti
decisivi ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ., non è stato chiarito innanzitutto quali sarebbero i fatti
decisivi omessi, tenuto conto che la Corte di appello ha distintamente e
compiutamente esaminato ognuna delle posizioni lavorative oggetto dei verbali
di accertamento, nonché le censure che erano state svolte da parte appellante,
fornendo una ragionevole lettura interpretativa alla luce delle risultanze
istruttorie. Nel contestare tale soluzione, parte ricorrente denuncia un’errata
valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una alternativa
ricostruzione dei fatti, con l’inammissibile intento di sollecitare una
valutazione delle risultanze processuali, diversa da quella accolta dal giudice
del merito.

14. Secondo costante giurisprudenza di legittimità,
il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e
della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di
merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti
del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando
così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n.
27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).

15. La sentenza ha dato conto, puntualmente, delle
ragioni poste a base del decisum; la motivazione non è assente o meramente
apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento
fattuale appaiono manifestamente illogici o contraddittori.

16. Né l’omesso esame di elementi istruttori
integra, di per sé, vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (Cass n. 19881 del 2014).

17. Anche il quarto motivo è inammissibile. Non è
stato chiarito se e in quali termini la questione, che si assume introdotta nel
giudizio di opposizione e di cui il primo giudice avrebbe omesso l’esame,
sarebbe stata riproposta al giudice di appello, che nella sentenza non vi fa
cenno. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di
inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio d’appello, non
essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove
o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non
si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 907 del 2018).

18. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile,
con condanna dei ricorrenti in solido, al pagamento, in favore dell’Inps, delle
spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in
dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella
misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

19. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, ai
sensi dell’art. 13, comma 1-
quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13,
se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna le
parti ricorrenti in solido al pagamento delle spese, che liquida in euro
8.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese
generali e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2020, n. 26272
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