Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 novembre 2020, n. 26509

Mansioni di autista, Pagamento di differenze retributive per
lavoro straordinario, Dedotto mancato disconoscimento, da parte della società
datrice, dei dischi cronotachigrafi, Accordi Integrativi Aziendali,
Ridefinizione dei c.d. tempi di lavoro, Sistema di forfetizzazione degli
straordinari

 

Fatti di causa

 

La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza n.
495/2014, pubblicata il 2.12.2014, ha rigettato il gravame interposto da M.M.,
B.D., S.K.; S.L., P.P., F.S., A.T. e F.Z., nei confronti della S.p.A. B.T.,
avverso la sentenza del Tribunale di Mantova n. 22/2014, resa in data
11.2.2014, con la quale era stato respinto il ricorso dei predetti lavoratori,
dipendenti della società, con mansioni di autista, diretto ad ottenere il
pagamento di differenze retributive per lavoro straordinario, calcolate secondo
le maggiorazioni stabilite dal CCNL di categoria, detratto quanto allo stesso
titolo percepito in busta paga.

La Corte territoriale, per quanto ancora in questa
sede rileva, confermando il proprio consolidato orientamento nella materia, ha
osservato che <<II compenso per lavoro straordinario è stato calcolato e
retribuito per tutti i lavoratori in base all’apposita disciplina stabilita con
il Contratto Integrativo Aziendale 31.3.2001 (come modificato il 9.11.2002) e
con il Contratto Integrativo Aziendale 18.4.2006, sottoscritti dalle OO.SS. e
dalle RSU e applicati, seconda la espressa volontà contrattuale, a tutto il
personale dipendente della società firmataria >>; che <<gli
appellanti deducono l’erronea interpretazione da parte della sentenza di primo
grado del comma 10 dell’art. 11
del CCNL applicato al rapporto, affermando che gli accordi integrativi
aziendali in questione dovevano essere firmati per adesione dai lavoratori
interessati e che i ricorrenti non solo non vi avevano aderito, ma li avevano
anche contestati>>; che <<la tesi non può essere condivisa, perché
contraria a quanto espressamente previsto nei commi precedenti, nei quali gli
accordi aziendali territoriali e gli accordi aziendali integrativi sono
disciplinati come strumenti per la definizione, anche forfetaria, dei
trattamenti di trasferta e del compenso per il lavoro straordinario. In
particolare, il comma 9, dopo aver chiarito che la forfetizzazione dei
trattamenti di trasferta e dei compensi per lavoro straordinario ha la natura e
l’efficacia di accordo collettivo, afferma espressamente che “gli accordi
collettivi si applicano alla totalità dei lavoratori dipendenti delle aziende
che rientrano nel campo di applicazione degli accordi stessi”. Del resto,
l’efficacia generalizzata risponde alla finalità propria degli accordi
aziendali integrativi stipulati nella specifica materia del lavoro
straordinario prestato dagli autisti addetti a mansioni discontinue: poiché può
risultare oggettivamente difficile definire, caso per caso, ciò che,
nell’ambito delle mansioni discontinue, va considerato prestazione lavorativa,
con tali accordi si facilita la liquidazione del relativo compenso, adottando,
mediante uniformi criteri da applicare alla generalità dei lavoratori, una
liquidazione forfetaria>>.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto
ricorso M.M., S.L., A.T. e F.Z., articolando quattro motivi ulteriormente
illustrati da memoria.

La B.T. S.p.A. ha resistito con controricorso.

La causa, inizialmente fissata all’adunanza camerale
del 5.6.2019, è stata rinviata a nuovo ruolo – e, successivamente, fissata alla
pubblica udienza del 13.11.2019 -, avendo il Collegio ritenuto che non
sussistessero i presupposti per la trattazione della stessa in camera di
consiglio.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si deduce, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la
<<violazione/falsa applicazione degli artt.
115-116 c.p.c.; 2697
c.c.. Decisività dei dischi cronotachigrafi>> ed in particolare, si
lamenta che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere irrilevanti, ai
fini della prova del lavoro straordinario i dischi cronotachigrafi prodotti dai
lavoratori e che la parte datoriale non avrebbe contestato, in quanto, a parere
dei ricorrenti, ciò avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a ritenere che
<<la durata della prestazione che vi si trova riportata va ritenuta
corrispondente al reale ed effettivo orario di lavoro svolto dai prestatori
>.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza
impugnata, in riferimento all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., per <<violazione/falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e 11 del CCNL Trasporti, e si
deduce che la pronunzia impugnata sarebbe <<lacunosa e contraria alla
norma regolante l’interpretazione dei contratti ex art.
1362 c.c., con specifico riferimento a quanto stabilito dall’art. 11 del CCNL Trasporti>>
e che, pertanto, i giudici di appello avrebbero errato nel reputare che non
fosse necessaria la firma di ogni singolo lavoratore per l’adesione agli
Accordi Integrativi Aziendali del 9.11.2002 e del 14.4.2006 in materia di
forfetizzazione del lavoro straordinario e che, dunque, tali Accordi potessero
essere applicati anche ai lavoratori di cui si tratta, nonostante questi ultimi
non li avessero mai sottoscritti per adesione.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.
1321, 1322, 1372 c.c.; 39 Cost.e 112
c.p.c., avendo i giudici di seconda istanza ritenuto erroneamente
applicabili gli Accordi Integrativi Aziendali del 9.11.2002 e del 14.4.2006,
nonostante l’espresso dissenso da parte dei ricorrenti, e senza neppure
considerare che i medesimi Accordi avrebbero introdotto una drastica riduzione
(di oltre il 20%) del trattamento retributivo dei lavoratori.

4. Con il quarto mezzo di impugnazione si deduce, in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
la violazione e falsa applicazione degli artt. 2099
c.c. e 36 Cost., in relazione agli artt. 2107 e 2108 c.c.,
11, 11
-bis e 18 del CCNL Trasporti,
nonché la violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. <<in relazione all’art. 9.5
dell’AIC 14.4.2006>> e si afferma che la sentenza <<andrà cassata
anche se si volesse riconoscere valenza vincolante alle intese endo-aziendali,
in quanto il trattamento comunque applicato dalla società resistente ai
lavoratori ricorrenti risulta lesiva del diritto al trattamento retributivo
proporzionale alla quantità del lavoro prestato>> ed conche volendo riconoscere
efficacia erga omnes agli AIC in questione, comunque i ricorrenti dovevano e
devono essere retribuiti per le differenze esposte in virtù del superamento
palese ed inequivoco delle soglie di forfetizzazione approntate dall’azienda,
come risulta dalla lettura dei dischi cronotachigrafi>>.

4. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare
congiuntamente, perché connessi, ed altresì per primi, per ragioni di logica
pregiudizialità – dato che, all’evidenza, prima di valutare gli effetti del
dedotto mancato disconoscimento, da parte della società datrice, dei dischi
cronotachigrafi, è necessario accertare se siano, o meno, applicabili, nei
confronti dei ricorrenti, gli Accordi Integrativi Aziendali del 9.11.2002 e del
14.4.2006, che hanno ridefinito i c.d. tempi di lavoro, introducendo, tra
l’altro, un sistema di forfetizzazione degli straordinari -, non sono fondati.

Al riguardo, si osserva che la Corte territoriale è
pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi agli ormai
consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del
tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene –
ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att.
c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass.
nn. 12272/2013; 6044/2012; 10353/2004;
17674/2002; 5953/1999) -, secondo cui <<I
contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori
dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti,
con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione
sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo>>. E
ciò, in quanto, come, in più occasioni, sottolineato da questa Suprema Corte,
la tutela di interessi collettivi della comunità di lavoro aziendale e, talora,
la inscindibilità della disciplina che ne risulta, concorrono a giustificare
<<la efficacia soggettiva erga omnes dei contratti collettivi aziendali,
cioè nei confronti di tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti
alle organizzazioni sindacali stipulanti>> (v. tra le altre, Cass. n.
12272/2013, cit.). Pertanto, correttamente, la Corte territoriale ha reputato
che, non risultando neppure dedotto che i ricorrenti fossero iscritti ad una
O.S. diversa da quelle stipulanti, ai medesimi dovessero essere applicati i
contratti integrativi aziendali di cui si tratta, relativamente ai quali
ultimi, peraltro, le censure sollevate con i mezzi di impugnazione all’esame si
limitano a contrapporre una diversa interpretazione delle norme contrattuali,
rispetto a quella posta a fondamento della decisione impugnata, senza indicare
specificamente in quale modo i canoni ermeneutici siano stati violati.

Ciò premesso, attraverso argomentazioni del tutto
corrette dal punto di vista logico-giuridico, ed altresì condivisibili, i
giudici di seconda istanza hanno, appunto, ritenuto che non fosse necessaria la
preventiva adesione agli accordi in questione da parte dei singoli lavoratori,
perché gli stessi avessero efficacia. Ed invero, ai sensi del comma 10 dell’art. 11 del CCNL di categoria,
<<Per l’efficacia di tali accordi si applica agli stessi la seguente
clausola di decadenza: “il lavoratore è tenuto, a pena di decadenza, a
chiedere il pagamento delle differenze di indennità di trasferta e di compenso
per lavoro straordinario che ritenga dovute, derivanti dal presente accordo,
nel termine perentorio di sei mesi dalla data in cui riceve i compensi ai
titoli suddetti”. Gli accordi di cui sopra dovranno essere firmati dai
lavoratori interessata >. Orbene, date le considerazioni svolte in premessa,
non possono essere condivise le doglianze dei ricorrenti – secondo cui il
conferimento di efficacia delle disposizioni in materia di orario di lavoro
contenute in tali accordi, per divenire vincolanti, avrebbero dovuto essere
firmate dai lavoratori -, le quali contrastano anche con quanto espressamente
previsto nei commi precedenti (v., in particolare, il comma 9), che
disciplinano tali accordi come strumenti per la definizione, anche forfetaria,
dei trattamenti di trasferta e del compenso per lavoro straordinario,
sottolineandone la natura e l’efficacia di accordo collettivo e statuendo che
<<si applicano alla totalità dei lavoratori dipendenti delle aziende che
rientrano nel campo di applicazione degli accordi stessi>>.

Da quanto innanzi osservato, discende che
<d’adesione del singolo lavoratore>> debba considerarsi necessaria
solo per l’efficacia della clausola di decadenza prevista dallo stesso comma 10
del citato art. 11 del CCNL di
settore; e, dunque, i lavoratori, certamente vincolati dall’accordo integrativo
aziendale in base all’efficacia generalizzata dello stesso, devono accettare
per iscritto soltanto la clausola che stabilisce un termine di decadenza per
fare valere differenze retributive che derivino dall’accordo e che i lavoratori
ritengano ad essi spettanti (v. pag. 7 della sentenza impugnata).

5. Per le considerazioni in precedenza svolte, ed
altresì perché attiene a doglianze finalizzate ad ottenere un nuovo esame del
merito (tra le varie, Cass. n. 24434/2016), precluso in questa sede, il primo
motivo è inammissibile. Ed invero, alla stregua dei costanti arresti
giurisprudenziali di legittimità (cfr., per tutti, Cass., SS.UU., 15486/2017),
<<La violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. può essere dedotta come vizio di
legittimità solo lamentando che il giudice ha dichiarato espressamente di non
dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base
di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai
poteri officiosi riconosciutigli. A tanto va aggiunto che, in linea di
principio, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per
cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (tra le varie,
Cass. n. 24434/2016), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo
testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il
fatto storico rilevante – come è avvenuto nel caso di specie -, l’omesso esame
di elementi probatori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo (Cass., SS.UU. n. 8053/2014)>>
(peraltro, sulla valenza probatoria dei dischi cronotachigrafi ai fini della
prova del lavoro straordinario, che deve essere sempre supportata da ulteriori
elementi, v., tra le molte, Cass. nn. 24613/209; 6013/2016).

6. Il quarto motivo non è meritevole di
accoglimento, in quanto – premesso che i lavoratori non iscritti alle
Organizzazioni aziendali stipulanti hanno interesse a negare l’efficacia, nei
loro confronti, del contratto aziendale solo laddove le disposizioni in
quest’ultimo contenute risultino di minore favore -, nella fattispecie, i
ricorrenti non hanno addotto elementi delibatori su cui fondare i loro assunti,
né hanno indicato in quali parti gli accordi aziendali deroghino in peius al
CCNL di categoria, essendosi i medesimi <<limitati ad affermare di aver
subito un sensibile calo del trattamento retributivo che, a parità di ore
lavorate, sarebbe del 20%>>. E ciò <<è confermato nell’atto di
appello, ove si sostiene che il carattere peggiorativo sarebbe palese,
altrimenti non si sarebbe nemmeno spiegata la generazione di differenze
retributive così consistenti> (v. pag. 8 della sentenza impugnata>>.

Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso
va rigettato.

7. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono
la soccombenza.

8. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1 -quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate complessivamente
in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura
del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 novembre 2020, n. 26509
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