Il conferimento dei mezzi da parte del committente ad un appaltatore che utilizzi personale assunto da un subappaltatore costituisce un’ipotesi interposizione vietata di manodopera, con la conseguenza che i lavoratori sono da ritenersi a tutti gli effetti alle dipendenze della società appaltante. 

Nota a Cass. (ord.) 10 novembre 2020, n. 25220

Sonia Gioia

Il divieto di intermediazione ed interposizione di manodopera è finalizzato ad evitare che la dissociazione tra colui che assume le maestranze e l’effettivo beneficiario delle prestazioni di lavoro “si risolva in un ostacolo al diritto del lavoratore di pretendere il più vantaggioso trattamento che gli sarebbe spettato se assunto direttamente da tale beneficiario”.

Esso, perciò, ha carattere generale e riguarda l’appalto, il subappalto e qualsiasi altra forma di intermediazione e interposizione ove le prestazioni di lavoro siano rese in favore di un soggetto diverso da colui che assume e retribuisce i prestatori, chiunque esso sia (appaltatore, subappaltatore, società cooperativa).

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord. 10 novembre 2020, n. 25220, difforme da App. L’Aquila n. 983/2015) in relazione al caso di un lavoratore, dipendente di una cooperativa, subappaltatrice di servizi di logistica, che chiedeva l’accertamento di un’illecita interposizione di manodopera e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società committente (Il Sole 24 Ore s.p.a.), in quanto effettiva beneficiaria della prestazione lavorativa.

In merito, la Cassazione ha ribadito che l’appalto di mere prestazioni di lavoro – vietato ai sensi dell’art. 1, L. n. 1369/1960, applicabile ratione temporis ora espressamente abrogata dall’art. 85, co.1, lett. c, D.LGS. 10 settembre 2003, n. 276 – costituisce una “fattispecie complessa” caratterizzata dalla presenza di un primo rapporto intercorrente tra colui che conferisce l’incarico ed usufruisce in concreto delle prestazioni di lavoro (c.d. appaltante, committente, interponente) e colui che riceve l’incarico e retribuisce il lavoratore (c.d. appaltatore, intermediario o interposto) e di un secondo rapporto fra l’intermediario ed il prestatore.

In particolare, l’appalto illecito di manodopera si configura sia in presenza degli elementi presuntivi indicati dall’art. 1, co. 3 L. n. 1369/1960, e, cioè, nel momento in cui l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature messe a disposizione dal committente, che quando “il soggetto interposto manchi di gestione di impresa a proprio rischio e di una autonoma organizzazione, da verificare con riguardo alle prestazioni in concreto affidate” (Cass. n. 5087/1998).

La configurabilità della fattispecie vietata, invece, è esclusa laddove le opere e i servizi siano svolti con “organizzazione e gestione propria dell’appaltatore” (art. 3, L. n. 1369 cit.) che, nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature specializzate da parte del committente, apporti un contributo non “marginale o accessorio” ma “rilevante” mediante il conferimento di capitale, diverso da quello impiegato per sostenere il costo del lavoro, e di beni immateriali, compreso il know how, che abbiano “rilievo preminente nell’economia dell’appalto” (Cass. n. 16488/2009).

Tali parametri, elaborati dalla giurisprudenza con riguardo alla L. n. 1369/1960, risultano ancora attuali. Il vigente art. 29, co. 1, D.LGS. 10 settembre 2003, n. 276, infatti, prevede che l’appalto (lecito) si distingue dalla somministrazione di manodopera “per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”, che può risultare, in relazione alle peculiarità dell’opera o del servizio dedotto in contratto, “dall’esercizio del potere direttivo e organizzativo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”.

Nel caso di specie, considerato che l’azienda committente aveva messo a disposizione dell’appaltatore l’attrezzatura necessaria (nello specifico, un macchinario da imballaggio “altamente specializzato”) cui, poi, era stato adibito il personale fornito dalla società cooperativa, in forza di un contratto di subappalto, la Cassazione ha ritenuto integrata la fattispecie vietata dall’art. 1, co. 3, L. n. 1369 cit. (applicabile ratione temporis), imputando i rapporti di impiego in capo all’impresa appaltante, beneficiaria delle prestazioni lavorative.  Ciò, in quanto la presunzione di appalto vietato di manodopera “non è esclusa nell’ipotesi in cui i beni appartengano al committente e l’appaltatore fornisca il personale non direttamente, ma mediante subappalto dato ad altra impresa”.

 

Interposizione illecita di manodopera in caso di subappalto
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