In caso di trasferimento d’impresa illegittimo ex art. 2112 c.c., il cedente è tenuto ad erogare la retribuzione al lavoratore illegittimamente ceduto.

Nota a Cass.  29 ottobre 2020, n. 23930

Paolo Pizzuti

“In caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 cod. civ., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa” (sul punto, fra le altre, Cass. n. 21158/2019; Cass. n. 17784/2019 e n. 5998/2019). E “dopo la sentenza che ha dichiarato insussistenti i presupposti per il trasferimento del ramo d’azienda, in uno alla messa in mora operata dal lavoratore, vi è l’obbligo dell’impresa (già) cedente di pagare la retribuzione e non di risarcire un danno”.

Lo afferma la Corte di Cassazione (29 ottobre 2020, n. 23930, conforme ad App. Napoli n. 91/2017), la quale chiarisce che:

– l’obbligazione pecuniaria del cedente non va considerata estinta per il pagamento della retribuzione da parte dell’impresa destinataria della cessione. E ciò vale anche nell’ipotesi in cui “il pagamento delle retribuzioni da parte della cessionaria sia stato corrisposto per effetto di definizione conciliativa giudiziale in seguito all’azione intentata dal dipendente per effetto dell’intervenuto licenziamento da parte della cessionaria”;

– il rapporto di lavoro di un lavoratore che, in seguito a trasferimento d’azienda da parte del datore di lavoro cedente, passi alle dipendenze di un cessionario resta “unico ed immutato”, nei suoi elementi oggettivi, soltanto qualora il trasferimento medesimo sia legittimo in quanto basato sui presupposti di cui all’art. 2112 c.c., che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto;

– la continuità e l’unicità del rapporto viene meno se il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (“già, e non più, cessionario”) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare (v. Cass. (ord.) 28 aprile 2020, n. 8262, annotata in questo sito da M.N. BETTINI, Trasferimento d’azienda illegittimo e duplicità di rapporti di lavoro);

– infatti, dal momento che l’unicità del rapporto presuppone la legittimità della vicenda traslativa, in caso di invalidità della stessa, il rapporto con il destinatario della cessione si considera instaurato in via di mero fatto e le sue vicende risolutive non incidono sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente fino alla declaratoria giudiziale, per l’illegittima cessione);

– inoltre, accanto alla prestazione materialmente resa (in favore del soggetto-cessionario con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto), si pone quella resa giuridicamente in favore dell’originario datore (cedente) con il quale il rapporto di lavoro è stato ripristinato seppur de iure (anche se non de facto, in ragione del rifiuto ingiustificato del predetto),

– per tale prestazione spetta al dipendente la retribuzione sia se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (v. Cass. n. 20316/2008 e Cass. n. 24886/2006);

– per cui, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro (cedente) giudizialmente dichiarato tale, il suo rifiuto di riceverla rende giuridicamente equiparabile alla utilizzazione effettiva la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente con il conseguente obbligo di pagare la controprestazione retributiva;

– d’altra parte, “una volta che l’impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi”;

– l’attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale dunque a quella che il lavoratore renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo e si “cumula” a quella dovuta dall’azienda cedente mentre “quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un’attività resa nell’interesse e nell’organizzazione di questi, non va detratta dall’importo della retribuzione cui il cedente è obbligato”.

In tema, v., in questo sito, Cass. 3 luglio 2019, n. 17785, con nota di F. GIROLAMI, Trasferimento illegittimo di ramo d’azienda e diritto del lavoratore alla retribuzione; CGUE 13 giugno 2019, C-317/18, con nota di F. BELMONTE, Trasferimento d’impresa e mantenimento dei diritti dei lavoratori; Cass. 28 febbraio 2019, n. 5987, con nota di M. N. BETTINI, Benefit, trasferimento d’azienda e accordo aziendale; Trib. Torino 24 gennaio 2019, n. 147, con nota di P. PIZZUTI, Passaggio alle dipendenze di un nuovo appaltatore: impugnazione del trasferimento e decadenza.

Trasferimento di azienda illegittimo e retribuzione
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