Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 dicembre 2020, n. 29596

Rapporto di lavoro, Trasferimento, Comprovate ragioni
tecniche, organizzative e produttive, Natura vessatoria del comportamento
datoriale, Mobbing, Accertamento

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 10 maggio 2016, la Corte
d’appello di Bologna ha confermato la decisione del Tribunale di Parma che
aveva respinto la domanda avanzata da G.P. nei confronti di M.M. e della
Cooperativa E.S.C., volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del
trasferimento disposto dalla società nonché della natura vessatoria del
comportamento datoriale allegato.

1.1. Il giudice di secondo grado ha ritenuto
corretta la motivazione del Tribunale e legittimo il trasferimento in ordine
alla sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ed
ha escluso, altresì, la configurabilità del lamentato mobbing.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
G.P., affidandolo a tre motivi.

2.1. Resistono, con controricorso, la Cooperativa
E.S.C. e M.M..

 

Considerato in diritto

 

l. Con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 112 e 437 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame del
motivo d’appello relativo alla mancata applicazione della norma di cui all’art. 33 comma V L. n. 104 del
1992.

1.1. Con il secondo motivo si censura la decisione
impugnata per violazione e falsa applicazione dell ‘art.
2103 cod. civ..

1.2. Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti con
riguardo alle condotte vessatorie asseritamente subite.

2. Il primo motivo è infondato e, pertanto, non può
essere accolto.

Parte ricorrente deduce, al riguardo, di aver
allegato ab origine sin dal proprio atto introduttivo la sussistenza di un
obbligo di assistenza, a lei facente capo, nei confronti della madre, e di aver
poi specificato la domanda, ai sensi della legge n.
104 del 1992, nelle note conclusive.

Giova premettere, al riguardo, che il Supremo
Collegio ha affermato che la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno
o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e
“causa petendi”), sempre che la domanda cosi modificata risulti
comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che,
perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della
controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (SU n. 12310 del
15/06/2015).

Orbene, tale principio, dettato dalle Sezioni Unite,
deve, tuttavia, essere rapportato alla specificità del diritto del lavoro là
dove l’unica modifica della domanda consentita è quella che integra una
“emendatici libelli”: non v’è dubbio infatti, che, ricorrendo gravi
motivi e previa autorizzazione del giudice, le parti possano modificare ex art. 420 c.p.c. domande, eccezioni e conclusioni
già formulate, ma deve escludersi che possano, altresì, proporre domande nuove
per “causa petendi” o “petitum”, neppure con il consenso
della controparte – esplicito, mediante l’espressa accettazione del
contraddittorio, ovvero implicito nella difesa nel merito – (cfr., ex plurimis,
Cass. n. 6728 del 08/03/2019).

Nel caso di specie, correttamente la Corte d’appello
ha reputato la domanda inerente l’applicazione del disposto di cui all’art. 33 L. n. 104 del 1992
come attinente ad una diversa “causa petendi”, per l’inserimento di
un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di
decisione, atteso che l’obbligo di assistenza era stato allegato solo con
riguardo all’aggravamento della situazione della ricorrente in esito al
trasferimento e soltanto nelle note conclusive era stata invocata la tutela
privilegiata in esame (si veda, sul punto, Cass.
n. 24480 del 01/10/2019).

La stessa parte ricorrente, infatti, riferisce di
aver dedotto sin dal principio le proprie difficoltà connesse agli impegni
assistenziali, ma, nel far ciò, evidenzia essa stessa come si trattasse di
argomentazione addotta ad colorandum dovendo escludersi, in base alla piana
lettura del ricorso introduttivo, che quella normativa fosse stata invocata
come nucleo della tutela sin dall’inizio.

Non v’è dubbio, infatti, che parte ricorrente
avrebbe potuto fondare la propria difesa sull’ obbligo protettivo in questione
senza invocare la relativa normativa in applicazione del principio iura novit
curia : nondimeno, ciò non esclude che i fatti posti a fondamento di quella
domanda avrebbero dovuto essere chiaramente indicati sin dal principio come ubi
consistam della tutela invocata, mentre, nel caso di specie, l’unica violazione
dedotta è quella riconducibile al disposto dell’art.
2103 cod. civ..

3. Va rilevato, in merito, che, per costante
giurisprudenza di legittimità, il trasferimento del lavoratore da una sede
dell’azienda ad un’altra presuppone, ai sensi dell’art.
2103 c.c. nella formulazione “ratione temporis” applicabile, la
sussistenza delle comprovate esigenze produttive che rappresentano l’unico
elemento da valutarsi come determinante la legittimità del trasferimento.

In particolare, nel caso di specie, in assenza di
qualsivoglia elemento di segno contrario, il giudice d’appello ha correttamente
verificato la sussistenza di un motivo tecnico organizzativo – produttivo la
cui configurabilità legittima l’esercizio del relativo potere datoriale,
consistente nel vuoto di organico determinato dalle dimissioni rassegnate dalla
collega C. che peraltro rivestiva un ruolo rilevante quale responsabile del
punto vendita di Modesano, punto vendita rimasto, quindi, sguarnito.

Ritiene il Collegio che correttamente entrambi i
giudici di merito abbiano provveduto ad accertare il nesso di causalità fra il
venir meno della attività lavorativa nella sede considerata della C. ed il
trasferimento e, quindi, l’effettività della ristrutturazione organizzativa,
essendo le scelte aziendali insindacabili in virtù della libertà di iniziativa
imprenditoriale garantita dall’art. 41 Cost..

Tenuto conto del rispetto del disposto di cui all’art. 2103 cod. civ. nella motivazione del giudice
di merito, ogni diversa valutazione in questa sede si tradurrebbe in un nuovo
sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità.

3. Quanto al dedotto omesso esame di un fatto
decisivo con riferimento all’allegato mobbing, va preliminarmente rilevato che
il procedimento soggiace, ratione temporis, alla nuova formulazione dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ. in base
alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze
di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme (sul punto, fra le tante,
Cass. n. 29222 del 12/11/2019).

D’altro canto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 co. 1,
lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di
legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”
richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed
individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della
Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note
ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile
contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono
nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4),
c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del
prescritto requisito di validità ( fra le altre, Cass. n. 23940 del 2017): tale
ipotesi non ricorre nel caso di specie.

In ogni caso, sul punto del preteso mobbing, oltre a
non aver riportato nulla della domanda originaria, in spregio del disposto di
cui all’art. 366 cod. proc. civ., lo stesso
motivo di ricorso appare del tutto generico ed inidoneo a consentire un esame
in sede di legittimità che non si traduca in una inammissibile rivisitazione
del merito.

4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso deve essere respinto.

Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per ciascun ricorso, a norma
dell’art. 1 – bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 (ndr
comma 1 – bis dell’ articolo 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002), se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che
liquida in complessivi euro 5.250,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 – bis dello stesso articolo 13),
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 dicembre 2020, n. 29596
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: