Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2020, n. 29672

Licenziamento per superamento del periodo di comporto,
Periodo di protrazione dell’assenza oltre il comporto, Sussistenza di un caso
“particolarmente grave”, Condizioni per l’ulteriore periodo di
comporto-aspettativa, Condizioni sanitarie temporaneamente esistenti in quel
frangente

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Roma, accogliendo il
gravame proposto da M.T., ha annullato il licenziamento intimato al medesimo
dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per superamento del periodo di
comporto.

Oggetto del contendere è il periodo di protrazione
dell’assenza oltre il comporto che, su domanda del lavoratore, discende, ai
sensi dell’art. 47 del CCNL,
dalla sussistenza di un caso “particolarmente grave”, tale da
consentire il permanere del rapporto, pur se medio tempore senza retribuzione.

La Corte di merito, ritenendo che la predetta regola
operasse obiettivamente, alla sola condizione della domanda del lavoratore, ha
assunto la propria decisione sulla base di c.t.u., con la quale è stata
accertata la qualificazione di particolare gravità richiesta.

2. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha
proposto ricorso per cassazione con m motivi, resistito da controricorso del
Toscano, che ha anche depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del CCNL del proprio
comparto, nonché dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 61, 416 e 421 c.p.c., sostenendo che la Corte, dopo aver
condiviso l’affermazione del Tribunale secondo cui per la concessione
dell’ulteriore periodo di comporto-aspettativa dovesse ricorrere il presupposto
del «caso particolarmente grave», aveva affidato l’accertamento di quest’ultima
condizione unicamente alle valutazioni del c.t.u. e ciò a prescindere dal fatto
che il lavoratore sarebbe stato tenuto a provare la propria temporanea
inabilità con la trasmissione della relativa certificazione medica.

Il secondo motivo afferma la nullità della sentenza
ai sensi dell’art. 132 c.p.c. per la portata
apparente della motivazione addotta, in quanto priva di disamina rispetto alla
portata della norma collettiva di riferimento, di cui non erano stati chiariti
gli interessi tutelati, né che cosa si intendesse per “casi
particolarmente gravi”. Anche la scelta della Corte di merito di aderire
alle conclusioni del proprio ausiliario – aggiungeva la ricorrente – era
errata, avendo il giudice inadeguatamente ritenuto che una patologia osteoarticolare
di minimo impegno funzionale avesse integrato il richiesto requisito di
gravità.

Infine, con il terzo motivo è addotta violazione
dell’art. 47 del CCNL e degli artt. 6 e 15 d.p.r. 461/2001, rimarcando
la Presidenza del Consiglio come essa si fosse legittimamente rimessa alle
valutazioni dei competenti organi amministrativi e come, per un verso, a fronte
di un giudizio di idoneità, non vi erano margini per concedere un ulteriore
periodo di comporto e comunque, se anche tale giudizio non fosse pervenuto, il
beneficio non avrebbe potuto essere concesso al lavoratore, avendo egli
trasmesso certificazioni prive dell’indicazione della patologia sofferta.

2. I motivi, per la loro connessione, vanno
esaminati congiuntamente.

3. La Corte territoriale ha posto a fondamento della
propria decisione l’assunto secondo cui l’art. 47 del C.C.N.L. comparto
Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse da interpretare nel senso che,
superato il periodo di comporto, l’ulteriore periodo di comporto-aspettativa,
se richiesto dal lavoratore avesse quale «condizione unica ed essenziale»,
destinata ad operare «oggettivamente», il rientrare dell’ipotesi di specie in
uno dei «casi particolarmente gravi».

I motivi addotti, pur menzionando la violazione e
falsa applicazione (primo e terzo motivo) dell’art. 47, lo fanno sotto profili
diversi, mentre non è messa in discussione l’assenza di discrezionalità della
P.A. che si desume dalla lettura della norma quale è stata data dalia Corte di
merito, la quale va dunque posta a base, come tale, della decisione.

3.1 E’ poi da escludere che la sentenza possa dirsi
(secondo motivo di ricorso) munita di motivazione soltanto apparente, in quanto
sulla menzionata base contrattuale, la Corte ha linearmente ritenuto, aderendo
alle conclusioni del c.t.u. da essa nominato, la ricorrenza dell’unico elemento
sanitario richiesto, così esaurendo la disamina della fattispecie quale da essa
delineata.

3.2 Comunque, non è giustificato neppure l’assunto
della ricorrente, di cui ancora al primo e terzo motivo di ricorso, in ordine
al fatto che l’assenza di diagnosi nei certificati trasmessi dal lavoratore
abbia un qualche rilievo.

Ciò non solo perché la stessa P.A. ha mostrato di
non tenerne conto, dando corso agli accertamenti necessari al fine di
verificare le condizioni di salute, ma anche e soprattutto perché l’art. 47, al co. 3, prevede
espressamente che il datore di lavoro proceda, prima di concedere il beneficio,
all’accertamento dell’eventuale assoluta e permanente inidoneità fisica a
svolgere il lavoro, sicché è evidente che in tale unitario contesto accertativo
va verificata, a prescindere anche dalla certificazione esposta, la ricorrenza
effettiva anche delle sole condizioni per l’ulteriore periodo di comporto-aspettativa.

E’ del resto altrettanto chiara, per rispondere ad
alcuni passaggi sempre del terzo motivo di ricorso, la diversità tra i due
diversi presupposti medico legali delle “condizioni particolarmente
gravi”, quale situazione transeunte, e dell’inidoneità al servizio, che
attiene alla stessa possibilità futura della ripresa del lavoro. Sicché non si
può equivocare tra l’idoneità al servizio attestata dalla Commissione
amministrativa di verifica e la gravità delle condizioni di quel momento
storico accertate dal c.t.u. e la Presidenza non può sostenere che, stante
l’idoneità al servizio, mancassero i presupposti per la concessione di un
comporto-aspettativa che dipende solo dalle condizioni sanitarie
temporaneamente esistenti in quel frangente.

4. Inammissibili, perché riguardanti un giudizio di
fatto in sé estraneo al giudizio di legittimità, sono poi le critiche alla
c.t.u. (contenute nel secondo motivo), per avere concluso nel senso della
ricorrenza della richiesta gravità, pur a fronte di una patologia osteo
articolare.

D’altra parte, si tratta anche di critiche
assolutamente generiche, svolte senza neppure trascrivere il contenuto della
relazione peritale.

5. Il ricorso va dunque integralmente disatteso, con
regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre
spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2020, n. 29672
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