Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 dicembre 2020, n. 29891

Tributi, IRPEF, Redditi di lavoro dipendente, Stock option
– Disciplina applicabile, Art. 51,
co. 2, lett. g-bis) T.U.I.R., Modifiche introdotte dal D.L. n. 262 del 2006

 

Rilevato che

 

G.V., dipendente della società A. S.p.a., nel 2004
riceveva diritti di opzione per l’acquisto di azioni della società
lussemburghese A.I. 1 S.A., controllante l’A. S.p.a., ad un prezzo di euro
74.375,0, pari al valore delle azioni al momento dell’offerta.

Nel corso del 2005, G.V. procedeva alla
rivalutazione e in data 15.12.2006 esercitava il diritto di opzione, vendendo
contestualmente le azioni ottenute ad un prezzo complessivo di euro 432.284,40,
importo che la società datrice di lavoro, ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. g-bis, d.lgs.
22/12/1986 n. 917 (di seguito, t.u.i.r.), nella formulazione vigente a
seguito delle modifiche da ultimo introdotte dal d.l.
03/10/2006, n. 262, convertito in I. n.
24/11/2006 n. 286, assoggettava, per il periodo d’imposta 2006, alla
ritenuta Irpef calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita delle azioni
ed il valore delle azioni al momento della assegnazione dei diritti di opzione
nel 2004, imputando tale incremento di valore a redditi da lavoro dipendente.

Il contribuente, ritenendo che, in assenza di
disciplina transitoria, dovesse farsi applicazione del principio generale di
cui all’art. 3, comma 1, secondo
periodo, della I. 27/07/2000, n. 212, secondo cui relativamente ai tributi
periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle
disposizioni che lo prevedono, con conseguente applicabilità del diverso regime
agevolato delle cd. “stock option” vigente al momento dell’assegnazione
dei diritti di opzione nel 2004, nel gennaio 2010 presentò istanza di rimborso
all’Agenzia delle Entrate, chiedendo, in via principale, il rimborso della
maggiore somma pari alla differenza tra l’IRPEF pagata sul differenziale
“prezzo di vendita- prezzo di esercizio delle opzioni” e l’imposta
sostitutiva del 12,50% applicabile sulla plusvalenza determinata dalla
differenza tra il prezzo di vendita delle azioni ed il prezzo di esercizio
delle opzioni, aumentato del valore fiscalmente riconosciuto derivante dalla
rivalutazione effettuata nel 2005. Formatosi il silenzio-rifiuto sull’istanza
di rimborso, il contribuente impugnò il silenzio-rifiuto ed ottenne ragione
dalla Commissione tributaria provinciale di Torino.

Interposto appello principale dall’Agenzia delle
entrate, la Commissione Tributaria Regionale (di seguito CTR), con la sentenza
n. 41/05/2012, depositata il 23/07/2012, respingeva l’appello dell’Ufficio e
accoglieva quello incidentale del contribuente, condannando l’Agenzia delle
entrate al rimborso.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per
cassazione affidato a due motivi, cui resiste il contribuente mediante
controricorso che ha, altresì, presentato memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ.

 

Rilevato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle
entrate denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, secondo periodo,
della I. 27/07/2000, n. 212 in relazione all’art. 51, comma 2, lett. g-bis e 2 bis
t.u.i.r., nella formulazione ratione tempore applicabile. Assume la
ricorrente che la sentenza impugnata è errata in diritto, nella parte in cui ha
applicato alla fattispecie la disciplina di cui all’art. 51, comma 2, lett. g-bis) t.u.i.r.,
nel testo anteriore alle modifiche succedutesi nel 2006.

2. Col secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle
entrate deduce la violazione di legge (art. 81, comma 1, lett c) e c bis)
t.u.i.r., art. 5 I. 448 del 2001)
nella parte in cui la Commissione regionale ha ritenuto che la stock option può
generare plusvalenza ed tenuto conto del valore fiscalmente riconosciuto
derivante dalla rivalutazione del valore dei diritti di opzione con perizia
asseverata di stima effettuata dal contribuente.

3. Il primo motivo di ricorso è fondato e va
accolto.

3.1. La questione attiene alla disciplina
applicabile al plusvalore determinato dalla differenza tra il prezzo di vendita
delle azioni ed il prezzo di esercizio dei diritti di opzione al momento della
loro attribuzione, anche in considerazione del mutamento del quadro normativo
di riferimento.

3.2. La norma di riferimento è l’art. 51, comma 2, lett. g-bis t.u.i.r.
che, nel caso, e cioè al momento dell’offerta dei diritti di opzione dalla
società al dipendente sulle azioni di propria controllante (avvenuta, nel caso
in esame, nel 2004), escludeva dalla formazione del reddito di lavoro
dipendente l’incremento di valore delle azioni generatosi fra il momento di
attribuzione dei diritti di opzione ed il momento di esercizio degli stessi,
per cui l’incremento di valore era imponibile solo al momento successivo della
vendita delle azioni ottenute mediante l’esercizio del diritto di opzione,
scontando la tassazione prevista del 12,50% per capital gains, e l’accesso al
regime agevolativo era subordinato all’esistenza di due condizioni, ossia: a)
che l’ammontare corrisposto dal beneficiario per l’esercizio dell’opzione fosse
“almeno pari” al valore delle azioni al momento dell’offerta; b) che
le partecipazioni possedute dal beneficiario non rappresentassero una
percentuale dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria o di
partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento.

3.3. Nel corso del 2006 la disciplina è stata
oggetto di diversi interventi di modifica e, da ultimo, è stata modificata dal d.l. 03/10/2006, n. 262, convertito in I. 24/11/2006, n. 286, che, nell’innesto
modificativo dell’originaria disposizione ha mantenuto le due condizioni di
accesso alla disciplina agevolativa previste nell’originario regime, ma ha, nel
contempo, introdotto ulteriori tre condizioni: 1) il mantenimento, nei cinque
anni successivi alla data di assegnazione, di un investimento delle azioni
ricevute almeno pari alla differenza tra il valore normale delle azioni al
momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal beneficiario; 2)
l’esercitabilità dell’opzione “non prima” che siano scaduti tre anni
dalla sua attribuzione; 3) la quotazione delle azioni oggetto delle stock
option quando l’opzione diviene esercitabile.

4. Tenuto conto del cambiamento del quadro normativo
di riferimento, la giurisprudenza di questa Corte ha recentemente affermato,
con intento nomofilattico, i seguenti principi diritto, cui s’intende dare
seguito (da Sez. 5, Sentenza, n. 6118, del
01/03/2019, Rv. 653037-02, recepita, in continuità, da Sez. 5, Sentenza, n. 24269 del 20/09/2019 e da Sez. 5, Ordinanza n. 17695 del 02/07/2019, Rv.
654704-01):

a) «In tema di determinazione del reddito
imponibile, l’art. 5 della I. n. 448
del 2001 – cui rinvia l’art.
11-quaterdecies, comma 4, del d.l. n. 203 del 2005, conv., con modif., in I. n. 248 del 2005 – nel consentire al
contribuente la rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni
(qualificate e non qualificate), previo versamento di un’imposta sostitutiva
sulla rivalutazione, disciplina le plusvalenze e minusvalenze derivanti, in
caso di cessione a titolo oneroso, da redditi diversi di natura finanziaria di
cui all’art. 81 (ora 67) del d.P.R. n. 917 del 1986,
con la conseguenza che non è applicabile alle cd. “stock options”
correlate all’imposizione di plusvalenze imputabili a redditi di lavoro dipendente».

b) «In tema di determinazione del reddito da lavoro
dipendente, la disposizione agevolativa che esclude l’imputazione della
plusvalenza per le cd. “stock options” ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. g-bis), del
d.P.R. n. 917 del 1986, nella formulazione introdotta dal d.l. n. 262 del 2006, conv. in I. n. 286 del 2006, non soggiace all’applicazione
dell’art. 3, comma 1, della I. n.
212 del 2000, relativo ai soli tributi periodici destinati a durare nel
tempo, avendo la novella inciso meramente sulle condizioni al verificarsi delle
quali può trovare applicazione l’imposta sostitutiva, avente natura istantanea,
sicché detta disciplina non contrasta con i principi dell’affidamento e di
certezza giuridica, dovendosi escludere che al momento dell’offerta del diritto
di opzione il contribuente potesse avere certezza che il valore delle azioni si
sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare affidamento
sull’immutabilità delle previsioni agevolative».

5. Tali principi hanno perimetrato, in maniera
chiara ed inequivocabile, la disciplina di tassazione applicabile alle stock
options assegnate a lavoratori dipendenti dal datore di lavoro, continuando il
solco della giurisprudenza precedente che, a sua volta, aveva non solo
evidenziato la necessità di distinguere i due momenti della assegnazione del
diritto di opzione (quello di esercizio dello stesso e, dunque, quello
dell’effettiva assegnazione dei rispettivi titoli), ma aveva già ritenuto – sul
presupposto che le azioni entrano a far parte del patrimonio del dipendente
solo nel momento in cui l’opzione venga esercitata o ceduta – che la disciplina
applicabile andasse individuata in quella vigente al momento di tale esercizio,
indipendentemente dal momento in cui fosse stata offerta l’opzione (cfr. Sez.
5, Ordinanza, 12/04/2017, n. 9465; Sez. 5, ordinanza 20/06/2018, n. 16227; Sez. 5, 17/07/2018, n. 18917; con riferimento
alla disciplina vigente in epoca anteriore alle modifiche intervenute nel 2006,
cfr. Sez. 5, 03/06/2015, n. 11413; e, da ultimo, Sez.
5 , Ordinanza n. 17695 del 02/07/2019, Rv. 654704-01).

6. Nel caso in esame è pacifico che al momento
dell’assegnazione (ovvero dell’esercizio del diritto di opzione e del
trasferimento di titolarità di azioni), cioè alla data del 15 dicembre 2006,
era già in vigore (dal 3 ottobre 2006) il d.l. n.
262 del 2006, che aveva aggiunto alle due originarie condizioni per fruire
della tassazione agevolata del 12,50% del capital gain, le ulteriori tre
condizioni sopra indicate, queste ultime pacificamente non ricorrenti nel caso
di specie.

6.1. In considerazione dei principi esposti, e
segnatamente del principio di diritto riportato sub b), la decisione impugnata
risulta erronea nella parte in cui, recependo la tesi del contribuente, ha
ritenuto che l’efficacia della norma sopravvenuta era da considerarsi differita
all’anno successivo di imposta per effetto della norma generale di cui all’art. 3, comma 1, secondo periodo
della I. n. 212 del 2000, non derogata da disposizione espressa. Viceversa,
la disciplina applicabile alle stock option è quella vigente alla data
dell’esercizio del diritto di opzione e non quella della loro attribuzione, senza
che ciò violi il principio del legittimo affidamento del contribuente, poiché
questi, al momento dell’offerta, non ha certezza del futuro incremento delle
azioni e della immutabilità della disciplina agevolativa.

7. I principi di diritto sopra riportati superano
anche le tesi difensive del controricorrente riferite ad una presunta
violazione del divieto di retroattività della norma tributaria, poiché
l’operazione alla quale consegue la tassazione non va individuata
nell’attribuzione gratuita del diritto di opzione, che non è soggetta ad
imposizione tributaria, ma nell’effettivo esercizio del diritto di opzione
mediante l’acquisto delle azioni, che costituisce il presupposto
dell’imposizione commisurata proprio sul prezzo delle azioni, e che è rimesso alla
libera scelta del beneficiario, il quale può o meno esercitarlo secondo le
modalità ed i tempi che riterrà opportuni, alla stregua delle proprie
insindacabili valutazioni (cfr. Sez. 5, Ordinanza,
12/04/2017, n. 9465).

8. Né i suddetti principi pongono problemi di
compatibilità con i principi del legittimo affidamento e della certezza del
diritto anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale di riferimento
(cfr., Sez. U. 19/06/2018, n. 16157), dovendosi escludere che al momento
dell’offerta del diritto di opzione il contribuente potesse avere certezza che
il valore delle azioni si sarebbe incrementato e potesse, di conseguenza, fare
affidamento sull’immutabilità della disciplina agevolativa.

9. Anche il secondo mezzo, col quale l’Agenzia delle
entrate deduce la violazione di legge (art. 81, comma 1, lett c) e c bis)
t.u.i.r., art. 5 I. 448 del 2001)
nella parte in cui la Commissione regionale ha ritenuto che la stock option può
generare plusvalenza, è fondato.

9.1. Va escluso – in relazione al principio di
diritto sopra riportato sub a) – che debba tenersi conto della rivalutazione
effettuata dal contribuente nel 2005, in quanto si verte in ipotesi di
tassazione ordinaria di redditi da lavoro dipendente, mentre la rivalutazione
in questione (art. 81 t.u.i.r.),
ha rilievo ai fini del trattamento impositivo sulle plusvalenze in tema di
redditi diversi. Ciò impediva al contribuente di poter far valere il pagamento
dell’imposta sostitutiva.

9.2. Priva di pregio è anche l’argomentazione
difensiva del controricorrente riguardo al rischio di assoggettamento a doppia
imposizione, in violazione del divieto di cui all’art. 163 t.u.i.r., considerato che
il contribuente potrà agire comunque per il rimborso del pagamento dell’imposta
sostitutiva.

10. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza
impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo
del contribuente, dovendosi dichiarare la legittimità del silenzio-rifiuto
formatosi sull’istanza di rimborso del contribuente.

11. Il recente consolidarsi del succitato indirizzo
interpretativo giustifica la compensazione tra le parti delle spese dei giudizi
di merito. Le spese del presente giudizio si pongono a carico del
controricorrente e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa tra le parti delle spese dei giudizi di
merito.

Condanna il controricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate in
complessivi euro 5.600,0, oltre spese prenotate a debito.

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