Giurisprudenza – TRIBUNALE DI BOLOGNA – Ordinanza 31 dicembre 2020

Riders, Piattaforma digitale, Natura discriminatoria delle
condizioni di accesso alle sessioni di lavoro, Parametri di elaborazione del
ranking c.d. reputazionale, Priorità di scelta delle sessioni di lavoro,
Causa che ha dato luogo al mancato rispetto della sessione prenotata

 

Con ricorso proposto, in data 16.12.2019, ai sensi
dell’art. 5, 2° co D. Lgs. 9 luglio
2003 n. 216, la Federazione Italiana Lavoratori dei Trasporti – Filt Cgil
di Bologna, la Filcams Cgil di Bologna e la Nidil Cgil Bologna convenivano in
giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna in funzione di giudice del lavoro, la
società D. I. S.R.L., per l’accertamento della natura discriminatoria delle
condizioni di accesso alle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale
della convenuta.

In particolare le ricorrenti, premesso di essere
associazioni sindacali territoriali di categoria, maggiormente rappresentative,
con sede in Bologna, operanti rispettivamente nel settore dei trasporti e
logistica, della ristorazione e servizi e nell’ambito dei rapporti di lavoro
atipici, di avere iscritti nel territorio nazionale e svolgere da decenni una
significativa attività sindacale, di aderire alla Confederazione Generale
Italiana del Lavoro, associazione sindacale confederale maggiormente
rappresentativa componente del CNEL e firmataria della Carta dei diritti dei
riders di Bologna e di avere tra i propri iscritti lavoratori che svolgono
attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano con l’ausilio
di biciclette o ciclomotori tramite piattaforme digitali, esponevano:

– che D.I. s.r.l. è una azienda multinazionale
operante in I. dal 2015 nel settore delle consegne del cibo a domicilio che si
avvale per lo svolgimento delle proprie attività di un modello organizzativo
basato su una rete di riders, qualificati dalla società come parasubordinati;

– che la distribuzione del lavoro tra i riders
avviene attraverso una piattaforma digitale che provvede, tramite un complesso
sistema di pianificazione, alla distribuzione e gestione dei flussi di lavoro
tra coloro che si sono resi preventivamente disponibili prenotando sessioni di
lavoro;

– che dette sessioni di lavoro sono costituite da
fasce orarie (cd “slots”), che sono rese disponibili ai riders dalla
piattaforma digitale entro il limite del fabbisogno dalla stessa pianificato;

– che al fine di svolgere la propria attività i
riders devono installare sul proprio smarthphone un software (c.d. “app”)
fornito dalla società, che genera un profilo personalizzato tramite il quale
gli stessi possono registrarsi e accedere alla piattaforma digitale della
convenuta, mediante un sistema selettivo di prenotazione delle sessioni di lavoro;

– che il sistema di prenotazione delle sezioni di
lavoro è basato su un punteggio, attribuito dall’algoritmo a ciascun rider ed
elaborato su due parametri: affidabilità e partecipazione;

– che ciascun rider viene quindi periodicamente
profilato tramite “statistiche” elaborate dalla società che valutano il tasso
di rispetto delle ultime 14 giornate di sessioni di lavoro dallo stesso
prenotate e non cancellate nel termine di 24 ore previsto dal regolamento di
D.;

– che il rider, una volta prenotata una sessione di
lavoro correlata ad una determinata zona di consegna, ove non cancelli la
prenotazione nelle 24 ore antecedenti, è tenuto obbligatoriamente a recarsi
all’interno del perimetro della zona di lavoro prenotata al fine di connettersi
(id est “loggarsi”) entro un lasso temporale massimo di 15 minuti, giacché in
caso contrario la mancata connessione entro tale termine determina una perdita
di punteggio;

– che, secondo le condizioni di impiego rese
pubbliche da D., qualsiasi “cancellazione”, ovvero annullamento della
prenotazione della sessione con un preavviso inferiore alle 24 ore determina
per il rider una penalizzazione delle sue statistiche;

– che detto sistema di prenotazione delle fasce di
lavoro per priorità in ragione delle statistiche assegnate al rider è stato
introdotto dalla convenuta come misura organizzativa in coincidenza con le
prime iniziative di astensione dal lavoro attuate dai riders autorganizzati
negli anni 2017/2018;

– che l’algoritmo, imponendo il rispetto della
sessione di lavoro prenotata e la connessione entro 15 minuti dall’inizio della
sessione nella zona di lavoro, di fatto penalizza l’adesione del rider a forme
di autotutela collettiva e, in particolare, ad astensioni totali dal lavoro
coincidenti con la sessione prenotata;

– che tale penalizzazione deriva dal fatto che il
sistema di prenotazione settimanale consente ai riders con maggior punteggio di
prenotare con priorità le sessioni di lavoro (i turni o slots) che man mano si
saturano divenendo non disponibili per i riders con minore priorità;

– che, in particolare, tutti i riders iscritti nella
piattaforma ricevono ogni domenica pomeriggio una notifica sul proprio
smartphone che li informa, in ragione del ranking posseduto, della fascia
oraria in cui potranno prenotare, a decorrere dal lunedì successivo, le
sessioni di lavoro per la settimana entrante;

– che le fasce orarie di prenotazione si suddividono
in tre blocchi: alla prima fascia delle 11:00, il cui accesso è consentito ai
riders con ranking reputazionale migliore, segue la seconda fascia e la terza
fascia, rispettivamente alle 15,00 e alle 17:00, attribuite a riders con
ranking reputazionale inferiore;

– che pertanto le sessioni disponibili si riducono
man mano nel tempo cosicché i riders che possono prenotare solo nelle fasce
successive (15,00 e 17,00) alla prima (11,00) hanno sempre più ridotte
occasioni di lavoro.

Su tali premesse, le OOSS ricorrenti lamentavano che
l’algoritmo della società convenuta, nel sanzionare con perdita di punteggio i
riders che non rispettavano le sessioni di lavoro, penalizzava, quindi, tutte
le forme lecite di astensione dal lavoro in quanto determinava la retrocessione
nella fascia di prenotazione limitando le future occasioni di lavoro.

Proseguivano esponendo che i due parametri punivano,
quindi, il rider che non provvedeva a “loggarsi” recandosi nell’area di
consegna durante le sue sessioni di attività per aver aderito ad iniziative di
autotutela collettiva coincidenti con il suo turno ovvero nelle ulteriori
ipotesi in cui l’astensione dalla sessione dipendeva da altre cause legittime
(malattia, esigenze legate ad un figlio minore ecc.).

Concludevano pertanto chiedendo:

“1. – Accertare e dichiarare il carattere
discriminatorio delle condizioni di accesso alle sessioni di lavoro tramite la
piattaforma digitale della convenuta e in particolare dei parametri di
elaborazione del ranking c.d. reputazionale che incidono sulla priorità di
scelta delle sessioni di lavoro senza considerare la causa che ha dato luogo al
mancato rispetto della sessione prenotata per i motivi di cui al ricorso.

2. – Accertare e dichiarare, anche ai sensi delle
direttive comunitarie, il carattere discriminatorio della condotta e della
prassi aziendale di D.I. s.r.l. descritte nel presente atto.

3. – Ordinare a D.I. s.r.l. ai sensi dell’art. 28, 5 co. del d.lgs 1 settembre
2011 n. 150 l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni
ovvero delle prassi che ostacolano l’esercizio dei diritti dei soggetti lesi
conformemente al ricorso, sentite le organizzazioni sindacali ricorrenti ed in
ogni caso:

4. – Ordinare alla convenuta di modificare le
condizioni di accesso alle sessioni di lavoro e comunque di prenotazione delle
stesse ed in particolare i parametri di elaborazione del ranking reputazionale
che assicurano la priorità nella scelta delle sessioni di lavoro attraverso
l’adozione di modifiche al sistema che impediscano gli effetti discriminatori
sul diritto di sciopero, sullo stato di malattia legata handicap e condizioni
familiari indicati nel ricorso.

5. – Ordinare di divulgare l’emanando provvedimento
nelle condizioni di contratto e nell’area “domande frequenti” contenute nella
piattaforma e comunque disporre che venga comunicato il provvedimento tramite
informative indirizzate a tutti i riders registrati che prestano attività in
Italia.

6. – Ordinare alla convenuta la pubblicazione a
proprie spese del provvedimento richiesto su almeno cinque quotidiani nazionali
con il formato piena pagina o altro di giustizia e, in ogni caso, la sua
pubblicazione per un periodo ritenuto congruo sulla pagina iniziale del sito
della società.

4. – Condannare D. I. s.r.l. in favore delle
organizzazioni sindacali ricorrenti al risarcimento del danno non patrimoniale
causato dalla descritta condotta discriminatoria, in misura adeguata,
proporzionata e dissuasiva da determinarsi in via equitativa.

5. – Disporre in ogni caso ogni opportuno
provvedimento al fine di rimuovere gli effetti della dichiarata condotta
discriminatoria”.

Il tutto con vittoria di spese.

Si costituiva in giudizio la D. I. srl eccependo, in
via preliminare, la carenza di legittimazione ad agire delle OOSS ricorrenti;
nel merito, contestando la fondatezza, in fatto e in diritto, del ricorso. In
particolare la resistente esponeva:

– che il sistema di prenotazione («SSB») delle
sessioni era una opzione per il rider e non la condizione «di accesso alle
sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale», giacché il rider ben
poteva accedere al sistema e ricevere proposte anche senza utilizzare il
sistema di prenotazione descritto in ricorso;

– che la consegna (o meno) anche di un solo ordine
non era l’obbligazione del rider assunta con la firma del contratto, contratto
che non prevedeva né l’obbligo di rendere servizi né quello, corrispettivo, di
essa società di proporne;

– che la cancellazione delle prenotazioni,
addirittura fino all’inizio della sessione, non aveva alcun impatto sulle
statistiche del rider;

– che, diversamente da quanto dedotto da
controparte, l’«algoritmo della società convenuta, denominato Frank» era
totalmente estraneo al sistema di prenotazione opzionale delle sessioni,
essendo Frank un algoritmo di assegnazione, che nulla aveva a che fare con le
statistiche;

– che il rider poteva astenersi dal lavoro sempre,
non esistendo ipotesi in cui il sistema penalizzava chi si astiene, e che il
sistema permetteva ai rider di gestire in autonomia il proprio tempo per
esigenze di vita e di attività (anche sindacale).

Concludeva pertanto chiedendo il rigetto del
ricorso, spese rifuse.

La causa veniva istruita con l’escussione degli
informatori indotti dalle parti.

All’esito del deposito telematico di note conclusive
scritte, all’udienza del 27.11.2020 il giudice, udite le parti, riservava la
decisione.

1. Deve preliminarmente darsi atto che, nelle note
conclusive autorizzate depositate in data 10.11.2020, D. I. srl ha allegato che
“Il sistema (opzionale) di prenotazione per cui è causa («SSB» con accessi
scaglionati nel tempo secondo i parametri più volte ricordati) non esiste più.
Dal 2 novembre 2020 l’accesso differenziato alle fasce di prenotazione del
lunedì in base alle statistiche dei rider non avviene né può avvenire: le
prenotazioni stesse scompaiono e le statistiche non hanno più alcun impatto sull’accesso
alle prenotazioni che, se presenti, sono sempre accessibili a qualsiasi rider
nel medesimo modo a prescindere da qualunque parametro”, producendo, a supporto
del proprio assunto, il comunicato pubblicato sul sito della piattaforma
rivolto a tutti i rider ove, fra le altre cose, si legge: “a partire
dall’accesso al Calendario del 2 novembre, le statistiche non avranno più alcun
impatto. (…) Le tue statistiche non avranno alcun effetto e non
influenzeranno l’orario in cui puoi accedere al Calendario” (doc. 11 res.).

La società resistente ha quindi chiesto pronunciarsi
la cessazione della materia del contendere, sul rilievo che “il sistema che
controparte chiede di dichiarare discriminatorio, infatti, non esiste più e,
pertanto, i provvedimenti richiesti da parte ricorrente non sarebbero più di
alcuna utilità”.

Sul punto tuttavia si osserva che, diversamente da
quanto vorrebbe parte resistente, la circostanza dedotta, consistente nella
rimozione del sistema delle prenotazioni (SSB) con accessi scaglionati nel
tempo, non integra un’ipotesi di sopravvenuta integrale cessazione della
materia del contendere.

Ciò in quanto l’azione esperita dalle OOSS
ricorrenti è volta ad ottenere non solo la condanna della società resistente a
modificare il predetto meccanismo di accesso alle sessioni di lavoro, ma anche,
ancor prima, ad accertare il carattere discriminatorio del meccanismo stesso,
nonché a risarcire il danno conseguenziale.

Pertanto, sia la domanda di accertamento sia quella
risarcitoria non appaiono in alcun modo superate dai fatti sopravvenuti in
corso di causa, che possono incidere unicamente sull’interesse a coltivare le
domande inibitorie originariamente introdotte dalle parti ricorrenti.

D’altro canto, com’è noto, la cessazione della
materia del contendere va dichiarata, anche d’ufficio, in ogni caso in cui
risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra
le parti sul diritto sostanziale dedotto e che conseguentemente non vi è più la
necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto (cfr. Cass.
n.2267 del 19/03/1990; Cass. n.12844 del 03/09/2003; Cass. n.4505 del
28/03/2001; Cass. n.1442 del 16/03/1981). Ne consegue che “Non può essere
dichiarata la cessazione della materia del contendere quando il riconoscimento
che il convenuto abbia fatto della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio
dall’attore sia subordinato all’accertamento di un diverso assetto dei rapporti
tra le medesime parti, sia pure con riguardo ad un distinto periodo di tempo,
dovendo in tal caso il giudice, anche se ritenga che tale ultimo accertamento
sia estraneo a quanto forma oggetto della causa, pronunciare sul merito della
domanda dell’attore” (Cass. n.10553 del 09/10/1995); ovvero quando una
delle parti abbia “… dato atto che successivamente all’introduzione
della lite si sono verificati fatti astrattamente idonei a privarla di
interesse alla prosecuzione del giudizio, quando nelle rispettive conclusioni
ciascuno dei litiganti abbia insistito nelle rispettive originarie richieste
così dimostrando il proprio interesse alla decisione della controversia”
(Cass. n.622 del 22/01/1997; Cass. n.6395 del 01/04/2004; Cass. n.27460 del
22/12/2006); o ancora quando, pur essendo sopravvenuta nel corso del processo
una situazione astrattamente idonea ad eliminare completamente la posizione di
contrasto fra le parti in causa, facendo venir meno la necessità della
decisione, persista comunque l’interesse di una di esse ad un accertamento
giudiziale del diritto azionato (Cass. n.14144 del 16/12/1999) o sussista
comunque opposizione di una delle parti (Cass. n.1950 del 10/02/2003). In
definitiva “La cessazione della materia del contendere presuppone che le
parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione
sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi
in tal senso. In mancanza di tale accordo, l’allegazione di un fatto
sopravvenuto, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del
contendere da una sola parte, dev’essere valutata dal giudice” (Cass.
n.16150 del 08/07/2010).

Ebbene, nel caso di specie non risulta né è stato
dedotto che D. abbia modificato le proprie condizioni di accesso alle sessioni
di lavoro allo scopo di rimuovere la previa condotta asseritamente discriminatoria,
ossia che abbia riconosciuto anche solo per fatti concludenti la fondatezza
delle pretese di controparte; al contrario, la società ha espressamente e
reiteratamente contestato, anche in sede di note conclusive autorizzate e di
discussione, la fondatezza del ricorso.

Dal canto suo, parte ricorrente ha negato
recisamente che la materia del contendere sia cessata, insistendo nelle proprie
originarie conclusioni.

Non può pertanto essere dichiarata la cessazione
della materia del contendere, permanendo il contrasto tra le parti sulla natura
discriminatoria della condotta per cui è causa, di tal che deve pervenirsi ad
una pronuncia sul punto.

2. Ciò premesso, nulla quaestio sulla applicabilità
della normativa antidiscriminatoria invocata dalle OOSS ricorrenti anche ai
riders.

Sul punto infatti anzitutto si osserva che l’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015, come novellato dal decreto legge 3 settembre 2019, n. 101,
convertito, con modificazioni, nella legge 2
novembre 2019, n. 128, dispone che “A far data dal 1° gennaio 2016, si
applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di
collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente
personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal
committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche
qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante
piattaforme anche digitali”.

La Suprema Corte, nel recente arresto n. 1663/2020, ha chiarito che, con la
norma sopra citata – nel testo previgente, applicabile ratione temporis alla
fattispecie portata all’attenzione della Corte – il legislatore ha inteso, in
una ottica sia di prevenzione sia “rimediale”, selezionare “taluni
elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi
delle tutele previste per i lavoratori” e “in ogni caso ha, poi, stabilito che
quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla
continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore
comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente
e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro
subordinato” . La Cassazione ha inoltre osservato che si tratta “di una scelta
di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione
di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l’approccio generale della
riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di
“debolezza” economica, operanti in una “zona grigia” tra
autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela
omogenea” aggiungendo che l’intento protettivo del legislatore appare
confermato dalla novella del 2019, “la quale va certamente nel senso di rendere
più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo
la sufficienza – per l’applicabilità della norma – di prestazioni
“prevalentemente” e non più “esclusivamente” personali,
menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e,
quanto all’elemento della “etero-organizzazione”, eliminando le parole
“anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così mostrando
chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale
nozione”.

Pertanto, alla luce della recente evoluzione
legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders, non pare oggi
potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a
prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro,
l’intera disciplina della subordinazione e, in particolare, per quanto qui
interessa, la disciplina a tutela del lavoratore da ogni forma di
discriminazione nell’accesso al lavoro.

Ogni ulteriore approfondimento sul punto e sulla
vexata quaestio della qualificazione del rapporto di lavoro tra riders e
piattaforma in termini di subordinazione o autonomia, appare del tutto
superfluo ove si consideri poi che, per quanto qui interessa, esiste una
specifica norma di legge, e cioè art.
47 quinquies d.lgs 81/15, introdotto dal DL 3
settembre 2019, n. 101 convertito con modificazioni dalla L. 2 novembre 2019, n. 128, che espressamente
dispone, al comma 1, che “Ai lavoratori di cui all’articolo 47-bis”, ossia a “i
lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui,
in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera
a), del codice della strada, di cui al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali”,
“si applicano la disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà
e dignità del lavoratore previste per i lavoratori subordinati, ivi compreso
l’accesso alla piattaforma”.

Inoltre, anche il D.lgs.
n. 216/03, recante le disposizioni relative all’attuazione della parità di
trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni
personali, dagli handicap, dall’età e dall’orientamento sessuale, per quanto
concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, prevede espressamente che la
disciplina antiscriminatoria si applica “a tutte le persone sia nel settore
pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le
forme previste dall’articolo 4,
con specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all’occupazione e al
lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le
condizioni di assunzione”.

Quanto poi alla possibilità di includere
nell’espressione “convinzioni personali”, di cui all’art. 1 D. Lgs.n.216/2003, la discriminazione
per motivi sindacali, si richiama la recente pronuncia della Suprema Corte n.
1/2020 che ha affermato i seguenti principi: “Accedendosi ad una
interpretazione delle norme coerente con la ratio della norma comunitaria letta
alla luce dei principi fondamentali del Trattato, nel caso specifico può
senz’altro ritenersi che la direttiva 2000/78/CE,
tutelando le convinzioni personali avverso le discriminazioni, abbia dato
ingresso nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento (seppure nel
solo ambito della regolazione dei rapporti di lavoro) della libertà ideologica
il cui ampio contenuto materiale può essere stabilito anche facendo riferimento
all’art. 6 del TUE e, quindi,
alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infatti, se il legislatore
comunitario avesse voluto comprendere nelle convinzioni personali solo quelle
assimilabili al carattere religioso, non avrebbe avuto alcun bisogno di
differenziare le ipotesi di discriminazione per motivi religiosi da quelle per
convinzioni per motivi diversi. Il contenuto dell’espressione “convinzioni
personali” richiamato dall’art.
4 d.lgs. 216/03 non può perciò che essere interpretato nel contesto del
sistema normativo speciale in cui è inserito, restando del tutto irrilevante
che in altri testi normativi l’espressione “convinzioni personali”
possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o sindacali.
Sicuramente l’affiliazione sindacale rappresenta la professione pragmatica di
una ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici
motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente qualificato
a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in quanto
oggetto di possibili atti discriminatori vietati. 9.5. Nella giurisprudenza di
questa Corte non si rinvengono precedenti specifici, tuttavia in alcune
pronunce di legittimità, sia pure in fattispecie aventi diverso oggetto,
incidenter tantum, l’espressione convinzioni personali è stata qualificata come
professione di un’ideologia di altra natura rispetto a quella religiosa (in tal
senso Cass. 10179/04 e, da ultimo, Cass. 3821/2011,
che definisce la discriminazione per convinzioni personali come quella fondata
su ragioni di appartenenza ad un determinato credo ideologico). 9.6. Pertanto,
nell’ambito della categoria generale delle convinzioni personali, caratterizzata
dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica estesa alla sfera
dei rapporti sociali, può essere ricompresa, diversamente da quanto sostiene la
società, anche la discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente
divieto di atti o comportamenti idonei a realizzare una diversità di
trattamento o un pregiudizio in ragione dell’affiliazione o della
partecipazione del lavoratore ad attività sindacali.”.

Sulla scorta del citato arresto, da cui questo
giudice non ha motivo di discostarsi, non può dubitarsi della piena
sussumibilità della discriminazione per motivi sindacali nell’ambito di
operatività della normativa antidiscriminatoria invocata dalle sigle
ricorrenti.

3. Sempre in via preliminare deve essere ora
esaminata l’eccezione della società resistente, di difetto di legittimazione
attiva di Filt Cgil Bologna, Filcams Cgil Bologna e Nidil Cgil Bologna.

Sul punto anzitutto si osserva che ricorrenti
fondano la propria legittimazione attiva sulla norma dell’art. 5, co. 2, d.lgs. 216/2003, che
così dispone: “I soggetti di cui al comma 1 sono altresì legittimati ad agire
nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo
diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione”; laddove al comma 1
il medesimo articolo stabilisce che “Le organizzazioni sindacali, le
associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse
leso, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privata
autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai sensi dell’articolo 4, in nome e per conto o a
sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o
giuridica cui è riferibile il comportamento o l’atto discriminatorio”.

L’art. 5,
comma 2, del d. Igs. 216/2003 prevede quindi l’azione delle organizzazioni
sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del
diritto o dell’interesse leso qualora si intenda far valere una discriminazione
collettiva a danno di un gruppo di lavoratori identificati dall’appartenenza
sindacale e, dunque, non individuati nominativamente in modo diretto e
immediato quali persone lese dalla discriminazione (cfr. Cass. 20.7. 2018 n.
19443).

Peraltro, l’attuale formulazione dell’art. 5 deriva dalle modifiche ad
esso apportate prima dall’art. 2,
d.lgs. 256/2004 e successivamente dall’art. 8-septies, d.l. 59/2008
che, rispetto alla normativa previgente, hanno ampliato l’area dei soggetti
legittimati ad agire ex art. 4,
d.lgs. 216/2003. In particolare, in precedenza, la legittimazione attiva
era prevista esclusivamente a favore delle rappresentanze locali delle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Attualmente, invece, la medesima legittimazione attiva spetta alle
organizzazioni sindacali, alle associazioni ed alle organizzazioni sindacali
“rappresentative del diritto o dell’interesse leso”.

Quanto a tale ultima nozione, giova richiamare i
principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nella recente pronuncia
n. 20 luglio 2018, n.19443, ove si legge: “Sulla base della direttiva n. 2000/78/CE, come pure della legge
nazionale, non tutte le associazioni possono agire per conto altrui oppure
vantare una posizione giuridica soggettiva propria: ma soltanto quelle in capo
alle quali, sotto il primo profilo, sussista un potere delegato dal titolare
del diritto soggettivo, o, sotto il secondo profilo, sia riconoscibile un
“interesse legittimo a garantire che le disposizioni della presente direttiva
siano rispettate” o, ai sensi della terminologia interna, siano
“rappresentative del diritto o dell’interesse leso”. La tutela, predisposta
dalla direttiva e dal provvedimento di attuazione, contro le condotte
discriminatorie sul lavoro appartiene dunque al soggetto che le subisca e non
alla collettività, non ponendosi come interesse diffuso, onde il primo è
l’unico legittimato a farla valere, alla stregua delle regole generali.

Tuttavia, nel caso in cui la discriminazione risulti
attuata verso un’intera categoria di soggetti coinvolti fra quelle cui la
disciplina intende offrire tutela, che non sia possibile nominatim individuare
dunque verso una ‘collettività’ – subentra l’autonoma fattispecie legittimante
ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 216
del 2003. In tal modo la norma, dopo aver contemplato, al primo comma, la
figura ordinaria della delega conferita all’associazione perché rappresenti in
giudizio l’interesse di un soggetto determinato, ha attribuito ad essa, nel
secondo comma, la rappresentanza ex lege per conto di una collettività
indeterminata, postulandone la natura esponenziale degli interessi contro la
discriminazione, in tale fattispecie rivolta ad una pluralità di soggetti
aventi analoghe caratteristiche.

Il legislatore non ha prescelto di individuare con
chiarezza inequivoca – ad esempio, mediante l’iscrizione in un registro o albo
o elenco – le associazioni rappresentative di dati interessi, sulla base di
precisi requisiti: come, invece, ha fatto in altri settori, legittimando
all’azione o all’intervento a tutela di interessi collettivi solo le
associazioni iscritte in apposito albo (cfr. elenco ex art. 5 d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215,
di attuazione della direttiva 2000/43/CE, con
riguardo alla discriminazione a causa della razza; art. 52, comma 1, lett. a), d.P.R.
31 agosto 1999, n. 394, in tema di registro delle associazioni, degli enti
e degli altri organismi privati che svolgono le attività a favore degli
stranieri immigrati; artt. 137 e
139 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, in merito al quale
Cass., sez. un., 16 novembre 2016, n. 23304, ha negato all’associazione di
consumatori priva del requisito dell’iscrizione nell’elenco ministeriale la
legittimazione attiva) oppure formalmente individuate dalla pubblica
amministrazione (v., in materia di danno ambientale, gli artt. 13 e 18 della
legge 8 luglio 1986, n. 349, Istituzione del Ministero dell’ambiente, secondo
cui le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti
in almeno cinque regioni, individuate con decreto del Ministro dell’ambiente,
possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di
giurisdizione amministrativa).

Nell’ipotesi di associazione privata, occorre, in
generale, distinguere il caso in cui l’associazione agisca facendo valere un
diritto altrui in forza di una delega dell’interessato, dal caso in cui operi
quale portatrice di un interesse collettivo che alla stessa faccia direttamente
capo, quale c.d. ente esponenziale, non costituente ex ante una posizione
soggettiva in capo ai singoli, ma nato come posizione sostanziale direttamente
e solo in capo all’ente, dunque sorta di “derivazione” dell’interesse diffuso,
per sua natura adespota.

L’esigenza di un interesse qualificato risponde a
criteri di selezione razionale dei soggetti che possano far valere un diritto
in giudizio, per evitare l’espansione eccessiva dei legittimati, pur quando il
fine primario sia propriamente altro, rispetto a quello di farsi portatori di
un interesse prima diffuso. (…)

Mancando, nella specie, un sicuro criterio formale
di attribuzione della legittimazione attiva, essa va individuata volta per
volta.

L’art. 5,
comma 2, d.lgs. n. 216 del 2003 prevede una doppia indagine, richiedendo di
accertare: a) l’impossibilità di individuare il soggetto o i soggetti
singolarmente discriminati; b) la rappresentatività dell’associazione rispetto
all’interesse collettivo in questione.

Una volta operato il duplice accertamento, ne deriva
la titolarità ex lege della legittimazione ad agire (…).

Il requisito sub a) postula che la discriminazione,
in quanto in violazione della parità di trattamento sul lavoro, abbia colpito
una categoria indeterminata di soggetti, rientrante nel disposto dell’art. 2 d.lgs. n. 216 del 2003.

Il requisito sub b) va verificato sulla base
dell’esame dello  statuto associativo, il
quale dovrà univocamente contemplare la tutela dell’interesse collettivo
assunto a scopo dell’ente, che di esso si ponga quale esponenziale: deve,
dunque, trattarsi di un interesse proprio dell’associazione, perché in
connessione immediata con il fine statutario, cosicché la produzione degli
effetti del comportamento controverso si risolva in una lesione diretta dello
scopo istituzionale dell’ente, il quale contempli e persegua un fine ed un
interesse, assunti nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e
azione, come tale oggetto di un diritto dell’ente stesso.”

I principi sopra affermati dalla Suprema Corte
trovano conferma anche nella recente decisione della Grand Chambre della Corte di Giustizia del 23 aprile 2020 C- 507/18,
citata anche da parte ricorrente, la quale, al paragrafo 60, afferma: “Ai sensi
dell’articolo 9, paragrafo
2, della direttiva 2000/78, gli Stati membri riconoscono alle associazioni,
organizzazioni e altre persone giuridiche che, conformemente ai criteri
stabiliti dalle rispettive legislazioni nazionali, abbiano un legittimo
interesse a garantire che le disposizioni di tale direttiva siano rispettate,
il diritto di avviare, in via giurisdizionale o amministrativa, per conto o a
sostegno di una persona che si ritenga lesa e con il suo consenso, una
procedura finalizzata all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva
suddetta”.

In tale ottica, di conseguenza, al fine di affermare
la sussistenza della legittimazione attiva in capo all’ente ricorrente, la
Corte di Giustizia ritiene che sia sufficiente che l’organo giudicante accerti
che tali associazioni abbiano un legittimo interesse a garantire che le
disposizioni della direttiva n. 2000/78/CE
siano rispettate.

Ebbene, venendo al caso di specie, occorre rilevare
che le OOSS ricorrenti, come dalle stesse allegato, nei rispettivi statuti si
propongono, in generale, lo scopo di contrastare ogni forma di discriminazione
nelle condizioni di lavoro e assicurare la rappresentanza ad ogni forma
contrattuale di lavoro

In particolare, nello Statuto Filt Cgil si legge cha
detto ente: “Promuove la lotta contro ogni forma di discriminazione, la libera
associazione e l’autotutela solidale e collettiva delle lavoratrici e dei
lavoratori dipendenti o eterodiretti, di quelli occupati in forme cooperative e
autogestite, degli autonomi non imprenditori e senza dipendenti, dei
disoccupati”. (doc. 2 ric.).

Inoltre, trattandosi di organizzazioni sindacali, è
in re ipsa la titolarità di un interesse proprio ad agire giudizialmente a
tutela del diritto di sciopero, tipica espressione dell’attività sindacale, da
ogni forma di discriminazione diretta e indiretta conseguente all’esercizio di
tale diritto.

Le organizzazioni sindacali, espressamente indicate
tra i soggetti legittimati dall’art.
5 co. 2, rientrano quindi sicuramente tra quei soggetti collettivi che
operano sul territorio nazionale a difesa dell’effettività del principio di non
discriminazione e che, appunto, si prefiggono di spiegare la loro azione
(quantomeno) con riferimento ad uno dei fattori possibile fonte di
discriminazione, individuato nella partecipazione ad azioni sindacali.

Sussiste poi l’ulteriore presupposto richiesto dalla
norma invocato in quanto la asserita discriminazione, in violazione della
parità di trattamento sul lavoro, colpirebbe una categoria indeterminata di
soggetti, ossia tutti i rider partecipanti o intenzionati a partecipare a forme
di astensione collettiva dal lavoro.

Non paiono invece cogliere nel segno le censure
della società resistente, secondo cui le OOSS ricorrenti “avrebbero dovuto
dimostrare l’esistenza di rider iscritti alle loro organizzazioni e darne prova
(ad es. a mezzo delle deleghe o delle iscrizioni)” e ciò non hanno fatto. Ed
invero, la giurisprudenza sia nazionale sia comunitaria sopra richiamata
afferma che, al fine di ritenere sussistente la legittimazione attiva degli
enti esponenziali, non è necessario che i soggetti portatori degli interessi
lesi siano effettivamente parte delle associazioni che agiscono in giudizio,
purché queste ultime abbiano come scopo precipuo quello di tutelare
giudizialmente proprio tali interessi.

Neppure occorre a tal fine che parte ricorrente
alleghi casi concreti di discriminazione relativi a soggetti specifici, anche
perché l’autonoma fattispecie di legittimazione attiva prevista dal comma 2
dell’art. 5 è applicabile
proprio quando è impossibile individuare in maniera diretta e specifica il
soggetto o i soggetti portatori dell’interesse leso.

Deve pertanto ritenersi sussistente la
legittimazione attiva delle OOSS ricorrenti.

4. Venendo quindi al merito, va premesso che la
nozione di discriminazione sia diretta che indiretta è stabilita dall’art. 2 del D. Lgs. 216/2003, che
definisce la prima come riferita alle ipotesi in cui “per religione, per
convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una
persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe
trattata un’altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento
ai casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un
patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che
professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone
portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento
sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre
persone”.

E’ stato osservato che, mentre nel caso di
discriminazione diretta è la condotta, il comportamento tenuto, che determina
la disparità di trattamento, nel caso di discriminazione indiretta la disparità
vietata è l’effetto di un atto, di un patto di una disposizione di una prassi
in sé legittima; di un comportamento che è corretto in astratto e che, in
quanto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti di un soggetto con
particolari caratteristiche, che costituiscono il fattore di rischio della
discriminazione, determina invece una situazione di disparità che l’ordinamento
sanziona (Cass.  25/07/2019, n. 20204).
Allo stesso modo, la Corte EDU ha affermato che «una differenza di trattamento
può consistere nell’effetto sproporzionatamente pregiudizievole di una politica
o di una misura generale che, se pur formulata in termini neutri, produce una
discriminazione nei confronti di un determinato gruppo» (Cedu, sentenza 13
novembre 2007, D.H. e a. c. Repubblica ceca [GC] (n. 57325/00), punto 184;
Cedu, sentenza 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia (n. 33401/02), punto 183. Cedu,
sentenza 20 giugno 2006, Zarb Adami c. Malta (n. 17209/02), punto 80).

E’ stato altresì chiarito che la discriminazione
opera obiettivamente ovvero in ragione dei mero rilievo del trattamento
deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla
categoria protetta, e a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro
(cfr Cass. 5 aprile 2016 n. 6575).

Inoltre, il d.lgs.
216/03, nel definire la discriminazione diretta (“una persona è trattata
meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una
situazione analoga”) introduce sia una comparazione attuale, che una meramente
ipotetica. Come chiarito dalla Corte di Giustizia, «l’esistenza di una
discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2,
lettera a), della direttiva 2000/78 non presuppone che sia identificabile
un denunciante che asserisca di essere stato vittima di tale discriminazione»
(così, par. 36 causa C-81/12 Associatia Accept, nonché par. 23 causa C-54/07).
Ciò significa che è atta ad integrare discriminazione anche una condotta che,
solo sul piano astratto, impedisce o rende maggiormente difficoltoso l’accesso
all’occupazione, come nei casi analoghi sottoposti all’esame della Corte di
Giustizia (causa C-81/12 Associatia Accept, nonché causa C-54/07).

Va poi rammentato, in punto di distribuzione
dell’onere della prova, che ai sensi dell’art. 28, co.4, del D. Lgs 150 del
2011, nelle controversie in materia di discriminazione, fra cui quelle di cui
all’articolo 4 del decreto
legislativo 9 luglio 2003, n. 216, “Quando il ricorrente fornisce elementi
di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può
presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al
convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione.” Ne
discende che nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio l’attore ha soltanto
l’onere di fornire elementi di fatto, anche di carattere statistico, idonei a
far presumere l’esistenza di una discriminazione: qualora il dato statistico
fornito dal ricorrente indichi una condizione di svantaggio per un gruppo di
lavoratori, è onere del datore di lavoro dimostrare che le scelte sono state
invece effettuate secondo criteri oggettivi e non discriminatori.

Quanto all’agevolazione probatoria in favore del
soggetto che lamenta la discriminazione è stato evidenziato (cfr. Cass. 27.9.2018 n. 23338, Cass. 12.10.2018 n.
25543) che le direttive in materia (n. 2000/78,
così come le nn. 2006/54 e 2000/43), come interpretate della Corte di
Giustizia, ed i decreti legislativi di recepimento impongono l’introduzione di
un meccanismo di agevolazione probatoria o alleggerimento del carico probatorio
gravante sull’attore “prevedendo che questi alleghi e dimostri circostanze
di fatto dalle quali possa desumersi per inferenza che la discriminazione abbia
avuto luogo, per far scattare l’onere per il datore di lavoro di dimostrare
l’insussistenza della discriminazione” (cfr. Cass.
n. 14206 del 2013, in materia di discriminazione di genere). Ciò consente
di ritenere, quindi, che, nel regime speciale applicabile nei giudizi antidiscriminatori,
si configuri un’inversione, seppure parziale, dell’onere probatorio.

Tanto premesso e venendo al caso che occupa, ritiene
il giudicante che siano emersi elementi sufficienti a far presumere, sia pure
nei limiti della sommaria cognitio che caratterizza il presente procedimento,
la discriminatorietà del sistema di accesso alle fasce di prenotazione delle
sessioni di lavoro adottato da D..

Giova anzitutto ricostruire brevemente detto
sistema, sulla scorta delle allegazioni delle parti e dalle testimonianze
assunte, che appaiono su molti aspetti sostanzialmente concordi. Il rapporto
tra ciascun rider e la piattaforma inizia con la conclusione di un contratto
(vedasi contratto-tipo, doc. 2 res.), che deve essere restituito sottoscritto
alla società resistente via e-mail.

Il predetto contratto-tipo, per quanto qui
interessa, alla clausola 3.4 così recita: “D. fornisce un servizio flessibile
di prenotazione self-service (“SSB”) che può essere liberamente usato per
loggarsi o per prenotare sessioni in cui il Rider vuole ricevere Proposte di
Servizio. La prenotazione tramite lo strumento SSB è interamente opzionale, ma
ove usata e confermata, al Rider sarà garantito l’accesso per ricevere proposte
di Servizio nelle sessioni prenotate. La disponibilità durante le sessioni
prenotate, se non cancellate in anticipo dal rider, e l’attività durante
momenti di particolare traffico potranno essere elemento di preferenza per la
prenotazione di sessioni successive” (sottolineatura dell’estensore).

Una volta sottoscritto il contratto quadro, il rider
riceve delle credenziali (log-in e password) per accedere all’applicazione
(app) scaricata sul proprio smartphone. Ogni volta che è disponibile a ricevere
ordini, il rider accede alla app, inserendo le proprie credenziali; quando il
rider è “loggato” nella app, può decidere liberamente se accettare o rifiutare
qualunque proposta di servizi (così punto 3.5 del contratto – doc. 2 res). Per
ricevere proposte di servizio, il rider ha – rectius, aveva prima del 2
novembre u.s. – due canali alternativi: può prenotare le sessioni in anticipo,
utilizzando il “servizio flessibile di prenotazione self-service”, anche
denominato “SSB” (self-service booking), di cui all’estratto del contratto
sopra riportato; oppure può loggarsi in tempo reale con il sistema denominato
“free log-in”. Il sistema di prenotazione «SSB» (Self-Service Booking), sul
quale si appuntano le censure delle OOSS ricorrenti, prevede la possibilità per
i riders, ogni lunedì, di accedere al Calendario della settimana successiva e
“prenotare” le sessioni di lavoro (cd slot) in cui intendono ricevere proposte
di servizi.

Nell’effettuare la prenotazione, il rider può
scegliere, tra quelli disponili, gli slot orari e l’area o le aree in cui
effettuare la sua opera di consegna (la piattaforma suddivide discrezionalmente
il territorio nazionale in zone di lavoro, che talvolta coincidono con il
perimetro del Comune di riferimento, talvolta no, ben potendosi ripartire il
perimetro comunale in più aree, come avviene ad esempio nel caso delle grandi
città, che sono divise in più di una zona). Com’è pacifico, i rider non hanno
accesso al Calendario delle prenotazioni tutti nello stesso momento, bensì in
tre orari diversi: a partire dalle ore 11:00 del lunedì, a partire dalle ore
15:00 oppure a partire dalle ore 17:00 dello stesso giorno.

La possibilità per il rider di accedere al sistema
di prenotazione SSB in uno piuttosto che nell’altro orario dipende da due
“indici” di prenotazione, di cui vi è sintetica indicazione anche nel contratto
tipo predisposto da D.: trattasi dell’indice di affidabilità e di quello di
partecipazione nei picchi.

Secondo quanto allegato anche dalla resistente
(vedasi pag.12 della comparsa), i valori dei due indici sono determinati,
rispettivamente:

– dal numero delle occasioni in cui il rider, pur
avendo prenotato una sessione, non ha partecipato, dove «partecipare» significa
loggarsi entro i primi 15 minuti dall’inizio della sessione (indice di
affidabilità);

– dal numero di volte in cui ci si rende disponibili
per gli orari (dalle ore 20 alle ore 22 dal venerdì alla domenica) più
rilevanti per il consumo di cibo a domicilio (indice di partecipazione nei
picchi).

I valori dei due indici di cui sopra determinano le
“statistiche” di ogni rider, ossia una sorta di “punteggio” (che le OOSS
definiscono “ranking reputazionale”) funzionale alla possibilità di accedere al
sistema di prenotazione SSB collocandosi in una delle tre diverse fasce di
accesso alle prenotazioni.

In particolare, a partire dalle ore 11,00 accede al
calendario il 15% dei riders che ha le statistiche migliori; a partire dalle
ore 15.00 accede il 25 % dei riders che ha le statistiche progressivamente
inferiori; alle 17.00 accedono tutti gli altri riders (vedasi, sul punto,
deposizione del teste M.M.).

Com’è pacifico tra le parti, le sessioni di lavoro
(slot) disponibili per le prenotazioni si riducono progressivamente nel tempo,
nel senso che i riders che accedono ad ore 11.00 del lunedì hanno a
disposizione tutte le sessioni libere della settimana successiva, che via via
prenotano, occupandole; i riders che accedono dalle 15.00 hanno a disposizione
le sessioni di lavoro non prenotate dai riders che hanno avuto accesso dalle
ore 11.00, ed infine i riders che accedono dalle ore 17.00 hanno a disposizione
solo gli slot lasciati liberi dai colleghi che hanno avuto accesso alle ore
11.00 e alle ore 15.00.

E’ pertanto evidente che i riders che hanno accesso
al sistema SSB solo nelle fasce orarie (15,00 e 17,00) successive alla prima
(11,00) hanno sempre più ridotte occasioni di lavoro.

Tanto emerge dalle pagine dello stesso sito
ufficiale della resistente, ove si legge che ” se fai parte di un gruppo
prioritario, avrai una possibilità maggiore di ottenere una conferma sulle tue
richieste settimanali” e “se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una
possibilità maggiore di ricevere una notifica prima degli altri riders” (doc.
13 ric.).

La rilevanza per il rider, in termini di potenziali
occasioni di lavoro, dell’inserimento nella prima, piuttosto che nella seconda
o nella terza fascia è stata peraltro concordemente confermata dai testi
escussi.

In particolare, l’informatore indotto da parte
ricorrente P.A., sotto l’impegno di rito, sul punto ha riferito: “per avere
accesso agli slot ci sono tre fasce: la prima alle 11 del mattino del lunedì”,
che ha più slot disponibili; poi c’è la fascia delle 15 del lunedì che vede
disponibili tutti gli slot che residuano dopo le scelte delle 11; e infine c’è
l’ultima fascia delle 17 che vede disponibili i posti residui dopo le scelte
delle 11 e quelle delle 15, praticamente si è fortunati se si fanno 2 ore. Io
attualmente sono nella fascia delle 17, ma sono stato anche in prima e in
seconda fascia. Posso dire che, mediamente, secondo la mia esperienza, in prima
fascia si possono prenotare anche 40 ore, in seconda tra le 13 e le 17 ore e in
terza fascia si possono prendere una o due ore. Mi è anche capitato, trovandomi
in terza fascia, di non riuscire a prenotare nessuno slot. Quando ero in
seconda fascia riuscivo sempre a trovare qualcosa, almeno sabato sera a
domenica sera. In prima fascia si trova quasi tutta la settimana, ovviamente
conviene scegliere immediatamente dopo le 11″.

Anche il teste indotto dalla società resistente, M.
M., sul punto ha dichiarato: “Far parte della prima fascia è incentivante,
perché si ha accesso prima alle prenotazioni quindi si hanno più possibilità di
scelta degli slot.”

Così tratteggiato il sistema di accesso alle
prenotazioni, si osserva che i sindacati ricorrenti ne lamentano la natura
discriminatoria con riguardo allo specifico profilo dell’accesso al lavoro, sul
rilievo che dette condizioni di impiego di fatto impediscono “la legittima
condotta del rider volta aderire ad una iniziativa sindacale di sciopero in
quanto lo espongono inesorabilmente alla perdita di occasioni di lavoro future,
emarginandolo nella scelta dei turni”.

In particolare, le OOSS deducono che la valutazione
della affidabilità del rider “in stretta correlazione con le priorità nella
scelta delle sessioni di lavoro, inibisce il diritto di sciopero in quanto,
ogni eventuale partecipazione ad “azioni collettive” – a fortiori se
intervenute nelle sessioni di maggiore interesse per l’azienda (venerdì, sabato
e domenica) – produce per il “worker” una drastica riduzione del suo punteggio
che si ripercuote sulle possibili future occasioni di lavoro facendolo
retrocedere nelle fasce di priorità”.

L’assunto ha trovato adeguato riscontro nella
documentazione in atti e nell’istruttoria svolta.

E’ pacifico, infatti, ed è stato confermato dai
testi che la mancata partecipazione del rider alla sessione prenotata – e non
previamente cancellata – incide negativamente sulle statistiche del rider e in
particolare sul parametro della affidabilità.

Ed invero, è la stessa società convenuta a riferire
che il rider può cancellare liberamente la sessione prenotata fino al momento
del suo inizio e può “non loggarsi fino a 14 minuti e 59 secondi dopo l’inizio
della sessione” senza che ciò impatti negativamente sulle sue statistiche, con ciò
implicitamente ma chiaramente ammettendo che, al contrario, il mancato log-in
oltre i 15 minuti dall’inizio della sessione prenotata incide negativamente sul
parametro della affidabilità.

In questo senso anche le concordi dichiarazioni dei
testi (teste M.: “Il log in ai fini delle statistiche può essere effettuato in
qualunque momento entro i primi 15 minuti dello slot. Se il rider che ha
prenotato effettua il log in dopo i primi 15 minuti, ai fini della statistica
risulta una sessione non partecipata. Quindi incide in senso peggiorativo
sull’indice della affidabilità”; teste P.: “Anche se uno non si riesce a
connettersi entro i primi 15 minuti dell’ora, questo comporta una perdita di
affidabilità”) e la produzione documentale estratta dal sito web della convenuta
(vedasi ad esempio doc. 9 ric., ove si legge: “Una sessione viene conteggiata
solo se fai il log in entro 15 minuti dal suo inizio. Se inizi con più di 15
minuti di ritardo potrai comunque effettuare le consegne ma la sessione verrà
contata come non lavorata nel calcolo dell’affidabilità”; doc. 12 ric. ove è
chiarito al rider: “per avere una affidabilità sempre al 100% ricordati di
svolgere le sessioni prenotate effettuando il log in nei primi 15 minuti della
sessione”). E’ parimenti pacifico ed è emerso dall’istruttoria che, per
“loggarsi”, il rider debba necessariamente trovarsi all’interno dell’area
geografica (zona di lavoro) in relazione alla quale ha prenotato la sessione.

Ciò premesso, appare provato che l’adesione ad una
iniziativa di astensione collettiva dal lavoro è idonea a pregiudicare le
statistiche del rider, giacché il rider che aderisce ad uno sciopero,
astenendosi dall’attività lavorativa – ciò in cui consiste il comportamento
materiale definibile come sciopero – e dunque non partecipando ad una sessione
prenotata, verrà  inevitabilmente a
subire una diminuzione del suo punteggio sotto il profilo della affidabilità,
ed eventualmente anche sotto il profilo della partecipazione, laddove la sessione
prenotata si collochi nella fascia oraria 20.00-22.00 del fine settimana.

Né può darsi rilievo, come invece vorrebbe la
società resistente, al fatto che il rider che sia malato o voglia astenersi dal
lavoro pur avendo prenotato una sessione possa “loggarsi e non consegnare
neanche un ordine”.

Ciò in quanto, come già si è detto, per loggarsi il
rider deve necessariamente recarsi all’interno della zona di lavoro ove ha
prenotato una sessione, in quanto la app ne rileva la posizione geografica
grazie ad un sistema di geolocalizzazione.

Dunque per evitare la penalizzazione delle proprie
statistiche, il rider che voglia scioperare dovrebbe comunque recarsi
all’interno della zona di lavoro entro i primi 15 minuti dall’inizio della
sessione prenotata, cioè in sostanza dovrebbe necessariamente presentarsi sul
luogo di lavoro, il che appare incompatibile con l’esercizio del diritto di
sciopero che consiste invece nella totale astensione dall’attività lavorativa
(e a maggior ragione con l’eventuale stato di malattia o con la necessità di
assistere un figlio minore malato, che normalmente presuppongono
l’impossibilità di allontanarsi dal proprio domicilio).

Del pari, sembra pregiudicare le statistiche del
rider, e dunque le sue future occasioni di lavoro, anche la cd “late
cancellation”, ossia la cancellazione della sessione prenotata con preavviso
inferiore a quello (di 24 ore prima dell’inizio della sessione) richiesto dal
regolamento di D.. La questione, sulla quale si sono ampiamente soffermate le
difese delle parti, rappresenta uno dei pochi fatti di causa oggetto di
contestazione.

Ed invero, i sindacati ricorrenti hanno dedotto che
qualsiasi “cancellazione”, ovvero annullamento della prenotazione della
sessione con un preavviso inferiore alle 24 ore, determinerebbe per il rider un
peggioramento delle sue statistiche; la circostanza è stata invece negata da D.
I. srl che, nel costituirsi in giudizio, ha espressamente escluso che la
cancellazione delle prenotazioni, addirittura fino all’inizio della sessione,
abbia alcun impatto sulle statistiche.

Sul punto anzitutto si osserva che la mancata
allegazione e prova, da parte della società resistente, del concreto meccanismo
di funzionamento dell’algoritmo che elabora le statistiche dei rider preclude
in radice una più approfondita disamina della questione. Ed invero, in corso di
causa la società – sulla quale evidentemente gravava l’onere della relativa
prova, se non altro sulla base del generale principio di vicinanza della stessa
– non ha mai chiarito quali specifici criteri di calcolo vengano adottati per determinare
le statistiche di ciascuna rider, né tali specifici criteri vengono
pubblicizzati sulla piattaforma, laddove si rinviene unicamente un generico
riferimento agli ormai noti parametri della affidabilità e partecipazione. In
ogni caso, l’assunto difensivo di D., secondo cui la cancellazione tardiva,
quantomeno in Italia, non produrrebbe alcuna conseguenza sulle statistiche,
pare smentito dalla stessa documentazione proveniente dalla società.

Ed invero, già il contratto-tipo depositato da D.
(doc. 2 res.) alla citata clausola 3.4, prevede che la disponibilità durante le
sessioni prenotate, “se non cancellate in anticipo”, potrà costituire elemento
di preferenza per la prenotazione di sessioni successive, così dando espresso
rilievo alle necessità di procedere alla eventuale cancellazione anticipata
rispetto all’inizio della sessione.

Inoltre, nelle pagine del sito internet della
resistente, si legge in più punti che “puoi cancellare una prenotazione in
qualsiasi momento prima dell’inizio della sessione prenotata. Le sessioni
cancellate non incidono sull’affidabilità, ma se cancelli una prenotazione con
meno di 24 ore di anticipo quel giorno verrà considerato nei 14 giorni lavorati
per il calcolo delle statistiche” (doc. 16 ric., allegato alle note difensive
del 16.6.2020), dal che si evince che la cancellazione tardiva della sessione
prenotata non è priva di conseguenze sul calcolo delle statistiche stesse.

Sempre il sito di D., nelle pagine recanti maggiori
informazioni, ricorda ai rider che “prenotare una sessione e non partecipare
avrà un impatto negativo sulle statistiche. Inoltre se cancellerai una
prenotazione con meno di 24 ore di anticipo la giornata rientrerà nel calcolo
dei 14 giorni lavorati e potrebbe causare un abbassamento delle tue statistiche”
(doc. 3 allegato alle note difensive di parte ricorrente).

L’incidenza, quanto meno in termini di possibilità,
della cancellazione tardiva sulle statistiche del rider è stata poi confermata
dal teste di parte ricorrente P. che sul tema ha riferito: “La cancellazione
della sessione  prenotata fatta almeno 24
ore prima non penalizza; fatta invece a meno di 24 ore penalizza, lo so perché
per questo motivo a luglio sono passato dall’86 all’81% di affidabilità e questo
mi ha passato dalla seconda alla terza fascia, anche perché erano sessioni del
week end e quindi la cancellazione tardiva ha inciso negativamente anche sul
parametro della partecipazione alle ore di alta intensità”.

La circostanza è stata confermata, seppure con molte
cautele, anche dal teste M. il quale, dopo aver inizialmente dichiarato che “ai
fini della statistica, non fa alcuna differenza se il rider cancella oltre 24
ore prima dell’inizio della sessione prenotata, tra le 24 ore e l’inizio e
entro i primi 15 minuti dall’inizio: in tutti i casi, la cancellazione non
impatta sull’indice della affidabilità in alcun modo”, ha poi precisato che
“per la affidabilità le 24 ore non hanno nessun impatto, quello su cui hanno
impatto è che se il rider non cancella almeno 24 ore prima, quel giorno viene
inserito nei 14 giorni che contribuiscono al calcolo delle statistiche”, per
poi concludere che “è possibile, ma a mio avviso, non frequente che la
cancellazione tardiva impatti sulle statistiche, ma non sotto il profilo della
affidabilità, bensì sotto quello della partecipazione”.

Alla luce del quadro istruttorio come sopra esposto,
pertanto, deve ritenersi provato che, diversamente da quanto sostenuto dalla
convenuta, anche la cd “late cancellation” possa penalizzare le statistiche del
rider, se non sotto il profilo della affidabilità, almeno sotto quello della
partecipazione.

Ne discende logicamente che il rider che aderisca ad
uno sciopero, e dunque non cancelli almeno 24 ore prima del suo inizio la
sessione prenotata, può quindi subire un trattamento discriminatorio, giacché
rischia di veder peggiorare le sue statistiche e di perdere la posizione
eventualmente ricoperta nel gruppo prioritario, con i relativi vantaggi.

Né può sostenersi che il rider – allo scopo di
evitare gli effetti pregiudizievoli della adesione allo sciopero – possa/debba
semplicemente cancellare anticipatamente la sessione prenotata, perché così
facendo metterebbe la piattaforma in condizioni di sostituirlo, annullando ogni
effetto pratico della iniziativa di astensione collettiva e vanificando il
diritto di sciopero costituzionalmente garantito anche ai lavoratori autonomi
parasubordinati.

D’altro canto, la giurisprudenza ha ritenuto
legittimo lo sciopero improvviso, cioè senza preavviso (Corte Cost. 62/124; Cass. 23552/2004), e ciò vale vieppiù nella
fattispecie, in cui il preavviso, come si è detto, consentirebbe al datore di
lavoro di sostituire agevolmente i rider scioperanti, elidendo o comunque
minimizzando quel danno economico che è connaturale alla funzione di autotutela
coattiva propria dello sciopero stesso.

Le medesime considerazioni possono essere svolte in
relazione alle ulteriori ipotesi di mancata partecipazione alla sessione
prenotata o di cancellazione tardiva della stessa per le altre cause legittime
ipotizzate in ricorso (malattia, handicap, esigenze legate alla cure di figli
minori, ecc.): in tutti questi casi il rider vede penalizzate le sue
statistiche indipendentemente dalla giustificazione della sua condotta e ciò
per la semplice motivazione, espressamente riconosciuta da D., che la
piattaforma non conosce e non vuole conoscere i motivi per cui il rider
cancella la sua prenotazione o non partecipa ad una sessione prenotata e non
cancellata. Ma è proprio in questa “incoscienza” (come definita da D.) e
“cecità” (come definita dalle parti ricorrenti) del programma di elaborazione
delle statistiche di ciascun rider che alberga la potenzialità discriminatoria
dello stesso.

Perché il considerare irrilevanti i motivi della
mancata partecipazione alla sessione prenotata o della cancellazione tardiva
della stessa, sulla base della natura asseritamente autonoma dei lavoratori,
implica necessariamente riservare lo stesso trattamento a situazioni diverse,
ed è in questo che consiste tipicamente la discriminazione indiretta.

Il sistema di profilazione dei rider adottato dalla
piattaforma D., basato sui due parametri della affidabilità e della
partecipazione, nel trattare nello stesso modo chi non partecipa alla sessione
prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando (o
perché è malato, è portatore di un handicap, o assiste un soggetto portatore di
handicap o un minore malato, ecc.) in concreto discrimina quest’ultimo,
eventualmente emarginandolo dal gruppo prioritario e dunque riducendo
significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro.

La conclusione trova conforto nella deposizione
delle teste S.S., dirigente sindacale di una delle sigle ricorrenti, la quale
ha riferito delle difficoltà incontrate nell’indizione degli scioperi nel
settore in quanto i riders sono restii a partecipare a tali forme di protesta
perché detta partecipazione pregiudica le loro future occasioni di lavoro (“la
mia organizzazione sindacale ha tra i suoi iscritti dei riders, all’interno
dell’organizzazione e direttamente con i riders che abbiamo incontrato negli
ultimi anni è stata oggetto di numerose discussioni la tematica delle
statistiche. Sono state riferite delle criticità ogni qual volta noi come OOSS
abbiamo proposto ai lavoratori, come modalità di protesta, quella dello
sciopero: in quelle occasioni i riders ci hanno rappresentato che scioperare
avrebbe comportato non solo la perdita della retribuzione per quella giornata,
ma anche una forte penalizzazione nella attività lavorativa futura. Mi è stato
spiegato che la problematica nasceva da quello che loro chiamano ranking
reputazionale e dal sistema che c’è dietro. Questa forte penalizzazione ci è
stata riferita anche rispetto a casi diversi dallo sciopero, ad esempio nel caso
di malattie che hanno impedito la partecipazione alla sessione prenotata. I
rider rappresentano il fatto che i due pilastri alla base del ranking, la
partecipazione e la affidabilità, costituiscono un punteggio e che questo
punteggio genera le possibilità di lavoro future.”).

Ma se ne trova indiretta conferma anche nella
deposizione del M., unico teste indotto dalla resistente, il quale ha riferito
che “gli unici due casi in cui D. prende in considerazione le ragioni della
mancata partecipazione alla sessione prenotata sono: se c’è stato un sinistro
su turni consecutivi di cui si ha evidenza che ha di fatto impedito la
prosecuzione del lavoro e se c’è stato un problema tecnico del sito che cade,
cioè che non funziona più. In questi due casi si possono sistemare le
statistiche mediante un apposito programma che “simula” la partecipazione alla
sezione prenotata, o comunque toglie quella parte che avrebbe potuto avere un
impatto negativo. In sostanza, si consente al rider di conservare le
statistiche che aveva prima dell’infortunio o del crash del sistema. Questi due
casi sono codificati dalle nostre procedure interne e nessun altro caso può
essere preso in considerazione.”

Ebbene, la circostanza che la società resistente
riservi un trattamento “particolare” alle uniche due ipotesi (quella
dell’infortunio su turni consecutivi e quella del malfunzionamento del sistema)
in cui evidentemente ritiene meritevole di tutela la ragione della mancata
partecipazione alla sessione prenotata dimostra plasticamente come non solo sia
materialmente possibile, ma sia anche concretamente attuato, un intervento
correttivo sul programma che elabora le statistiche dei rider, e che la mancata
adozione, in tutti gli altri casi, di tale intervento correttivo è il frutto di
una scelta consapevole dell’azienda.

In sostanza, quando vuole la piattaforma può
togliersi la benda che la rende “cieca” o “incosciente” rispetto ai motivi
della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è
perché ha deliberatamente scelto di porre sullo stesso piano tutte le
motivazioni – a prescindere dal fatto che siano o meno tutelate
dall’ordinamento – diverse dall’infortunio sul lavoro e dalla causa imputabile
ad essa datrice di lavoro (quale evidentemente è il malfunzionamento della app,
che impedisce il log-in).

Il sistema di accesso alle prenotazioni (SSB)
adottato dalla resistente realizza quindi non una discriminazione diretta, ma
una discriminazione indiretta, dando applicazione ad una disposizione
apparentemente neutra (la normativa contrattuale sulla cancellazione anticipata
delle sessioni prenotate) che però mette una determinata categoria di
lavoratori (quelli partecipanti ad iniziative sindacali di astensione dal
lavoro) in una posizione di potenziale particolare svantaggio.

A fronte di ciò, era onere della società convenuta
provare la finalità legittima e il carattere di appropriatezza e necessità dei
mezzi impiegati per conseguirla (art.
3, co. 6 L. 216/2003). Ritiene il giudicante che tale onus probandi non sia
stato adeguatamente assolto.

Ed invero, sul punto la società si è limitata ad
asserire che “la finalità di D. nel tenere traccia delle ore prenotate ma non
cancellate e durante le quali il rider ha deciso di non loggarsi, neppure nei
14 minuti e 59 secondi successivi al momento di inizio della sessione, non può
che ritenersi legittima, trattandosi di un rapporto tra committente e
prestatori d’opera autonomi, così come appropriati appaiono i mezzi che – come
ribadito più volte – tracciano il dato della cancellazione senza impatto sulle
statistiche dei rider e senza in alcun modo tenerne in considerazione i motivi,
coerentemente con la natura del rapporto e degli interessi in gioco”. Sennonché
tali affermazioni, incentrate sulla pretesa qualificazione del rapporto tra
rider e piattaforma in termini di lavoro autonomo – su cui la più recente
giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1663/2020)
e di merito (Trib. Palermo Sent. n. 3570/2020 del 24.11.2020, prodotta dalle
ricorrenti all’udienza di discussione) non parrebbe pienamente allineata –
nella loro astrattezza appaiono delle mere petizioni di principio, del tutto
sprovviste di concreto riscontro.

Quanto poi al fatto che il sistema SSB sarebbe “un
vantaggio ai rider nel loro complesso” in quanto permetterebbe ad altri rider
di accedere alla sessione prima prenotata e poi cancellata, basti osservare che
qui non si discute della legittimità del sistema in sé, né del fatto che sia
incentivata la cancellazione preventiva delle sessioni prenotate che non si
intendono più utilizzare, ma solo il fatto che l’eventuale cancellazione
tardiva o la mancata partecipazione alla sessione non cancellata non possa
essere giustificata dal rider sulla base di comprovate ragioni dotate di
rilievo giuridico (prima fra tutte, ma non sola, l’esercizio del diritto di
sciopero costituzionalmente garantito).

Né la discriminatorietà del sistema di prenotazione
(SSB) può ritenersi esclusa dalla natura opzionale del sistema stesso.

Sul punto infatti si osserva che la circostanza che
esista un secondo e diverso canale di accesso alle occasioni di lavoro (quello
del cd free log-in) non incide sulla accertata natura discriminatoria del
primo.

Inoltre, dall’istruttoria svolta è emerso che il
sistema del free log-in appare verosimilmente residuale – quanto meno in alcune
realtà – rispetto al sistema delle prenotazioni, giacché le prenotazioni
potenzialmente “coprono” buona parte, se non la totalità, delle sessioni
disponibili.

D’altro canto, lo stesso sito della resistente
chiarisce che il rider può effettuare il log-in in qualsiasi momento anche
senza effettuare la prenotazione, ma soltanto “se in una zona c’è una sessione
in corso disponibile” (doc. 11 ric.).

Lo stesso teste della resistente, M. M., sul punto
ha dichiarato: “E’ improbabile, ma non mi sento di escluderlo in assoluto, che
il sistema di accesso su prenotazione saturi tutti gli slot disponibili in una
data zona; un certo numero di slot residui per il free log in dovrebbe esserci
sempre. Può capitare che il lunedì, nel momento in cui si libera la settimana
successiva per le prenotazioni, in una data zona alcuna fasce orarie, non
necessariamente quelle della sera del week end quanto quelle della mattinata
che sono numericamente inferiori, vengano coperte tutte con le prenotazioni”.
Il teste di parte ricorrente P. ha poi riferito: “In teoria si può anche
effettuare la consegna senza prima prenotazione della fascia oraria, ma di
fatto io non ci sono mai riuscito perché non ho mai trovato la fascia oraria
disponibile”.

E’ poi evidente dalla documentazione in atti che la
stessa convenuta incentiva i suoi rider a far parte del gruppo prioritario per
ottenere dei vantaggi (cfr doc. 13 ric.), sottolineando in più contesti i
“privilegi” riconosciuti ai rider facenti parte di detto gruppo, con ciò
evidentemente promuovendo l’utilizzo di quel sistema di prenotazione di cui in
questa sede sottolinea invece la natura meramente facoltativa ed opzionale.

Sulla base delle predette motivazioni, va pertanto
dichiarata la natura discriminatoria del sistema di prenotazione (“SSB”) delle
sessioni di lavoro adottato dalla società convenuta, come sopra descritto.

5. Passando alle pronunce consequenziali a quella di
accertamento, occorre anzitutto rilevare che, trattandosi di condotta
discriminatoria già conclusa, atteso che D. ha allegato – e sul punto non vi è
contestazione – che il sistema delle prenotazioni SSB è ormai dismesso su tutto
il territorio nazionale a far data dal 2.11.2020, non può essere ordinata la
cessazione del comportamento illegittimo, bensì, soltanto, la rimozione dei
relativi effetti.

A tale scopo, come richiesto dalle OOSS ricorrenti,
si ritiene, quale provvedimento idoneo alla rimozione degli effetti, ai sensi
dell’art. 28, co. 5 D. Lgs.
n.150/2011, di ordinare a D. la pubblicazione della presente ordinanza sul
proprio sito internet e nell’area “domande frequenti” delle piattaforma gestita
dalla convenuta.

Come richiesto in ricorso, ai sensi del citato art. 28, co. 7, D. Lgs. n. 150/2011
deve altresì essere ordinata la pubblicazione di un estratto del presente
provvedimento, per una sola volta e a spese della società convenuta, su un
quotidiano di tiratura nazionale, individuato ne “La Repubblica”. Quanto alla
domanda risarcitoria, si osserva che l’art.28 del d.lgs.150/2011, al
comma 5 dispone che il giudice con l’ordinanza che definisce il giudizio può
condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale,
tenendo eventualmente conto del fatto che l’atto o il comportamento
discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale
ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad
ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

Come chiarito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite
(Cass.16601/2017), trattasi di una delle varie fattispecie contemplate dall’attuale
panorama normativo in cui, accanto alla preponderante e primaria funzione
compensativo riparatoria dell’istituto del risarcimento del danno (che
immancabilmente lambisce la deterrenza), ne emerge una natura polifunzionale
“che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella
preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva”.
Nell’occasione le Sezioni Unite hanno avuto modo di rilevare che vi è anche un
riscontro a livello costituzionale della cittadinanza nell’ordinamento di una
concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde
soprattutto a un’esigenza di effettività (cfr. Corte Cost. 238/2014 e Cass. n.
21255/13) della tutela che in molti casi resterebbe sacrificata nell’angustia
monofunzionale. Va poi segnalato che della possibilità per il legislatore
nazionale di configurare “danni punitivi” come misura di contrasto
della violazione del diritto eurounitario parla Cass.,
sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072.

Nel solco dell’autorevole arresto sopra citato,
condivisibile giurisprudenza di merito (Trib Firenze Ord. del 26/06/2018) ha
configurato il danno previsto dall’art.
28 d.Lgs 150/2011 come avente natura di danno comunitario, il cui
risarcimento deve determinarsi in conformità ai canoni di adeguatezza,
effettività, proporzionalità, dissuasività (Cass. sez. L sent. n. 27481/2014;
Cass. Sez L sent. n. 13655/2015), quale danno presunto e con valenza sanzionatoria
(Cass. SS.UU. sent. n. 5072/2016).

Anche la Corte di Giustizia UE non ha mancato di
pronunciarsi sulla dissuasività e proporzionalità del risarcimento, per esempio
nella sentenza 2.4.2013, causa C-81/12, Asociaþia Accept c. Consiliul Naþional
pentru Combaterea Discriminãrii, in tema di discriminazioni fondate
sull’orientamento sessuale, precisando in relazione ai principi della direttiva 2000/78 che, per tutte le misure che il
diritto nazionale deve contemplare ex art. 17 (e dunque ciò vale
anche per il rimedio risarcitorio), “una sanzione meramente simbolica non può
essere considerata compatibile con un’attuazione corretta ed efficace della
direttiva”.

A favore della autonoma azionabilità della domanda
risarcitoria da parte dell’ente collettivo va poi ricordata la già citata Cass.
n. 20 luglio 2018, n.19443 ove si specifica che, nell’ipotesi di ricorso
promosso ai sensi dell’art. 5 co. 2 D. Lgs 261/2003, l’azione proposta dal
sindacato è a diretta tutela dell’interesse collettivo proprio dell’ente
esponenziale, legittimato a farne valere la lesione: onde il medesimo avrà,
altresì, la facoltà di richiedere il risarcimento del danno in proprio favore (art. 17 direttiva n.
2000/78/CE; art. 4, comma 5,
d.lgs. n. 216 del 2003; art.
28, comma 5, d.lgs. n. 150 del 2011). In questo senso anche la sentenza
della Corte d’Appello di Brescia, sent. n. 328/2019, citata in atti, che ha
accordato la tutela risarcitoria alla organizzazione sindacale ricorrente in un
giudizio antidiscriminatorio argomentando che “la sanzione deve essere oltre
che dissuasiva, efficace e proporzionata, ed è indubbio che la parte convenuta,
quale soggetto collettivo esponente degli interessi dei lavoratori che
intendano avere un’attività sindacale, abbia subito un pregiudizio (non
patrimoniale) per effetto del comportamento – pubblico e ripetuto – della
società appellante, in termini di lesione di un diritto, legalmente tutelato,
alla parità di trattamento nell’accesso al lavoro e nel corso del rapporto di
lavoro, nonostante l’attivismo sindacale, diritto propugnato e tutelato dallo
stesso sindacato”.

Ciò premesso si ritiene che, anche nel caso di
specie, a fronte di una platea di riders non identificati né identificabili che
hanno subito un pregiudizio per effetto della prassi discriminatoria adottata
dalla piattaforma resistente, deve potersi dispiegare l’azione autonoma del
Sindacato non solo ai fini del piano di rimozione (problema che, nel caso di
specie, è stato superato dai fatti sopravvenuti in corso di causa), ma anche
del risarcimento del danno subito dall’organizzazione legittimata jure proprio,
a fronte di condotte che oltre ad incidere sulla sfera soggettiva di ciascuna
vittima, sono, come quella in discorso, idonee ad inficiare la capacità
rappresentativa dell’Ente in relazione all’interesse protetto e dunque ad
indebolirne l’efficacia di azione a scapito dell’intera collettività. Deve
pertanto trovare accoglimento anche la domanda di risarcimento del danno non
patrimoniale causato dalla condotta discriminatoria che si quantifica, in via
equitativa, tenuto conto della diffusione su tutto il territorio nazionale
della condotta, delle sistematicità della sua attuazione e della pubblicità
della stessa, in €.50.000,00, oltre interessi nella misura di legge dalla
presente pronuncia al saldo effettivo.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al DM 55/2014, valori medi per ogni fase.

 

P.Q.M.

 

ogni altra istanza disattesa e respinta,
definitivamente decidendo, in accoglimento del ricorso:

– Accerta e dichiara la discriminatorietà della
condotta di D. I. s.r.l. in relazione alle condizioni di accesso alla
prenotazione delle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale, come
descritta in atti;

– condanna la società convenuta a rimuovere gli
effetti della condotta discriminatoria mediante la pubblicazione del presente
provvedimento sul proprio sito internet e nell’area “domande frequenti” della
propria piattaforma;

– ordina la pubblicazione di un estratto del
presente provvedimento, per una sola volta, a cure e spese della società
convenuta, su un quotidiano di tiratura nazionale, individuato ne “La
Repubblica”;

– condanna la società convenuta al pagamento a
favore delle parti ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno, della somma
di €. 50.000,00 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo;

– condanna la società convenuta alla rifusione in
favore delle parti ricorrenti delle spese di lite che liquida in €. 7.254,00
per compensi professionali oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per
legge.

Giurisprudenza – TRIBUNALE DI BOLOGNA – Ordinanza 31 dicembre 2020
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