Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2020, n. 27543

Verbale di accertamento, Lavoro a progetto, Attività
prestata non sia riconducibile al progetto/programma, Regime sanzionatorio ex art. 69 D.Lgs. n. 276/2003,
Interpretazione

Premesso

che F. S.r.l. ha proposto opposizione all’avviso di
addebito, notificatole il 7 giugno 2012, relativo a crediti di natura
previdenziale in favore dell’I.N.P.S., oltre a somme aggiuntive, per l’importo di
euro 19.750,16;

– che tale avviso era conseguente al verbale di
accertamento in data 25 marzo 2011, con il quale era stata ritenuta errata la
qualificazione giuridica attribuita ai rapporti di lavoro tra la società e
alcuni collaboratori a progetto operanti all’interno dei locali della stessa
adibiti a centro benessere, centro estetico e palestra;

– che l’opposizione è stata respinta dall’adito
Tribunale di Genova, sul rilievo che nella istanza di dilazione di pagamento,
sottoscritta dal legale rappresentante della società, il debito contributivo
era stato oggetto di esplicito e incondizionato riconoscimento;

– che con sentenza n. 519/2014, depositata il 5
dicembre 2014, la Corte di appello di Genova, esclusa la sussistenza di un
riconoscimento di debito, ha comunque respinto il gravame della società;

– che la Corte ha ribadito, in primo luogo, il
proprio precedente orientamento, per il quale sarebbe necessaria, ai fini della
legittimità dei contratti, un’effettiva corrispondenza tra il contenuto del
progetto e la prestazione del collaboratore, con la conseguenza che l’ipotesi
in cui l’attività svolta in concreto sia difforme dal progetto è del tutto
assimilabile alla mancanza del medesimo e che, anche in tale ipotesi, è da
considerarsi operante il meccanismo di conversione di cui all’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003:
in sostanza, ha ritenuto operante l’automatica trasformazione del rapporto in
lavoro subordinato ove l’attività prestata non sia riconducibile al
progetto/programma così come descritto nel contratto, a prescindere dalle
caratteristiche della stessa in termini di subordinazione o di lavoro autonomo;

– che la Corte di appello ha poi accertato come
alcune delle attività (quelle di cui ai punti 4 e 6) previste nel progetto
relativo alle collaborazioni di M., C. e O. non fossero state realmente svolte;
mentre, quanto alla collaborazione di L.M.,

ha rilevato come l’attività, che la stessa doveva
prestare, non fosse inquadrabile nello schema legislativo del lavoro a
progetto, prevedendosi in questo caso lo svolgimento di una tipica attività di
istruttore di palestre “del tutto compatibile con la configurabilità di un
rapporto di lavoro subordinato”, il progetto non fosse “funzionalmente
collegato ad un determinato risultato finale” e fosse altresì emersa la
sua “sottoposizione alle direttive” di un dipendente della società
(W.G.) preposto alla gestione e al coordinamento dei vari corsi;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la società con cinque motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito
l’I.N.P.S. con controricorso;

– che S.C.C.I. – Società di cartolarizzazione dei
crediti I.N.P.S. S.p.A. ed Equitalia Nord S.p.A. sono rimaste intimate;

 

Rilevato

 

– che con il primo motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 61
e 69 del d.lgs. n. 276/2003 e degli artt. 2,
3, 4, 35, 41, 42, 76, 101 e 104 Cost.,
la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto operante
l’automatica trasformazione in rapporto di lavoro subordinato qualora
l’attività svolta non sia riconducibile al progetto o programma individuato nel
contratto, a prescindere dalla effettiva natura (subordinata o autonoma) della
stessa, in tal modo non considerando che l’art. 69, comma 2, nel
disciplinare la fattispecie in cui esista un contratto a progetto formalmente
valido e rispondente ai requisiti di legge, ma la cui esecuzione sia difforme
dal modello legale (e, quindi, la mancanza di riconducibilità dell’attività
svolta al progetto), espressamente prevede che il giudice debba verificare
l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, trasformandolo, in caso di
accertamento positivo, nel corrispondente tipo negoziale di fatto realizzatosi
tra le parti;

– che con il secondo motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 61
e 69 d.lgs. n. 276/2003, degli artt. 1362
ss. e 1325 cod. civ., degli artt. 112 e 115 cod.
proc. civ., nonché vizio di omesso esame di fatto decisivo e oggetto di
discussione (art. 360 n.  5 cod. proc. civ.) e nullità della
sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc.civ. (art.
360 n. 4 cod. proc. civ.), la ricorrente si duole che la Corte territoriale
abbia erroneamente individuato l’oggetto del contratto, quanto alle
collaborazioni di M., C. ed O., attribuendo al progetto un’estensione maggiore
di quella pattuita e di conseguenza rinvenendo nel mancato espletamento di
attività, in realtà non previste in contratto, la prova della non
riconducibilità dell’attività svolta al progetto medesimo;

– che con il terzo motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione delle stesse norme e dell’art.
2094 cod. civ., nonché vizio di motivazione, la ricorrente censura la
sentenza impugnata in relazione al contratto di M., in particolare rilevando
che il contenuto del relativo progetto era stato adeguatamente specificato e
che esso non riguardava, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte,
un’attività tipica dell’istruttore di palestra, come tale, e per ciò solo,
possibile oggetto di un rapporto di lavoro subordinato;

– che con il quarto motivo, deducendo violazione e
falsa applicazione degli artt. 61
d.lgs. n. 276/2003, 2094 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione,
la società ricorrente si duole dell’attribuzione al G. di un ruolo di superiore
gerarchico nei confronti di tutti i collaboratori a progetto, sebbene le stesse
dichiarazioni di questi ultimi acquisite in sede ispettiva ne delineassero la
figura come quella di un mero coordinatore e fosse emerso che ciascuno dei
collaboratori godeva di un ampio grado di autonomia e libertà nella gestione
del proprio progetto;

– che con il quinto e ultimo motivo, deducendo
violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 d.lgs. n. 276/2003,
degli artt. 112, 115
e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2697, 2699 e
2700 cod. civ., nonché vizio di motivazione, la
ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto di fondare la
propria decisione esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese agli
ispettori I.N.P.S. dai quattro collaboratori e, pertanto, in assenza di
contraddittorio;

 

Osservato

 

che è fondato, e deve essere accolto, il primo
motivo di ricorso, per ciò che attiene ai contratti di collaborazione a
progetto di M., C. e O.;

 – che,
infatti, la Corte territoriale non si è uniformata al principio di diritto, per
il quale “In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime
sanzionatorio articolato dall’art.
69 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l’applicazione
della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e
strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza
l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d.
conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura
autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina
l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente
accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore
alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro
subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra
le parti” (Cass. n. 12820/2016; conforme n. 17127/2016 e, fra le più recenti, n. 17707/2020);

– che nell’accoglimento del primo motivo di ricorso
restano assorbiti il secondo e, nelle parti riferibili alle posizioni M., C. e
O., il quarto e il quinto;

– che deve invece essere respinto il terzo motivo,
da esaminarsi congiuntamente con il quarto e il quinto, là dove le censure
dedotte riguardano anche la posizione M.;

– che al riguardo si deve rilevare che la sentenza
impugnata, sottolineando come il progetto non risultasse “funzionalmente
collegato ad un determinato risultato finale, di cui non si fa alcun cenno nel
progetto stesso” (cfr. p. 20), ha esattamente applicato il principio, per
il quale la nozione di specifico progetto, di cui all’art. 61 d.lgs. n. 276 del 2003
deve ritenersi consistere “in un’attività produttiva chiaramente descritta
ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato
finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore; la norma in
esame non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività
eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e
complessiva attività di impresa, non essendo desumibile tale nozione
restrittiva né dall’art. 61 cit. nell’originaria formulazione, né dalla complessiva
regolamentazione della fattispecie dettata dal d.lgs.
n. 276 del 2003 e successive modifiche” (Cass.
n. 24379/2017);

– che, inoltre, l’assenza del progetto di cui all’art. 69, c. 1, d.lgs. n. 276/2003
ricorre “sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto,
sia allorché il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue
caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia” (Cass. n. 8142/2017);

– che è, pertanto, corretta, sulla scorta di tali
sole premesse, la conclusione cui è giunta la Corte territoriale con riguardo
alla posizione in esame, fermo restando l’ulteriore accertamento relativo
all’avvenuta sottoposizione della collaboratrice alle direttive del datore di
lavoro, per il tramite di un dipendente dello stesso: accertamento che, ponendo
in rilievo l’esercizio del potere direttivo come espressione tipica della
subordinazione nei rapporti di lavoro, si sottrae alla critica di violazione o
falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. e
che costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile nella presente
sede di legittimità, ove sorretto da idonea motivazione;

ritenuto

conclusivamente che – accolto il primo motivo;
assorbiti il secondo e, nei sensi di cui in motivazione, il quarto e il quinto;
rigettato nel resto il ricorso – l’impugnata sentenza n. 519/2014 della Corte
di appello di Genova deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la
liquidazione delle spese del presente giudizio – alla medesima Corte in diversa
composizione, la quale, nel procedere a riesame delle collaborazioni M., C. e
O., si atterrà al principio di diritto di cui a Cass. n. 12820/2016, sopra
richiamato

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il
secondo e, nei sensi di cui in motivazione, il quarto e il quinto; rigetta nel
resto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.

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