Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28614

Diritto alla pensione di reversibilità quale figlio
maggiorenne inabile, Domanda, Diniego del’Inps, Mancanza del requisito
dell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività
lavorativa

 

Rilevato che

 

1. con sentenza in data 7 ottobre 2015 la Corte di
Appello di Palermo ha riformato la sentenza di primo grado e ha rigettato la
domanda proposta dall’attuale ricorrente, volta al riconoscimento del diritto
alla pensione di reversibilità quale figlio maggiorenne inabile, negato
dall’INPS in esito alla domanda amministrativa del dicembre 2010;

2. la Corte di merito, in adesione alle conclusioni
rassegnate dall’ausiliare officiato in giudizio, escludeva che l’attuale ricorrente
versasse, alla data del decesso del genitore (nel maggio 1999), in condizione
di totale invalidità;

3. avverso tale sentenza S. Agostino ha proposto
ricorso affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al
quale ha opposto difese l’INPS con controricorso;

4. il difensore del ricorrente ha depositato, in
data 5 giugno 2018, rinuncia al mandato;

 

Considerato che

 

5. nessun effetto estintivo sul giudizio può
conseguire dalla menzionata rinunzia al mandato, trovando applicazione il principio,
già affermato da Cass. n. 26429 del 2017 con riferimento all’Adunanza camerale,
per cui per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio dell’ufficio di
difensore (di cui è espressione l’art. 85 cod.
proc. civ.), nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di
cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso
d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia
comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata (v. Cass.
n. 16121 del 2009);

6. tanto premesso, con i motivi di ricorso si deduce
violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., per non
essersi la Corte di merito pronunciata sull’eccezione di inammissibilità del
gravame dell’INPS, notificato ad uno solo dei due procuratori costituiti nel
giudizio di primo grado (primo); violazione degli artt.
112 e 345 cod.proc.civ., per non essersi
pronunciata sulla dedotta inammissibilità dell’eccezione sollevata, per la
prima volta, dall’INPS, nel giudizio di gravame, e inerente alla mancanza del
requisito dell’assoluta e permanente impossibilità del S. di svolgere qualsiasi
attività lavorativa per il fatto di lavorare alle dipendenze del Comune di
Campobello di Licata con contratto a tempo indeterminato, come da allegato
estratto contributivo prodotto solo nel giudizio di appello (secondo);
violazione dell’art. 46 legge n.
31 del 2008 per non avere considerato il carattere non ostativo,
all’erogazione del trattamento di reversibilità, dello svolgimento
dell’attività lavorativa presso cooperative sociali o presso datori di lavoro
che assumono con convenzioni di integrazione lavorativa (terzo); violazione
dell’art. 8 legge n. 222 del
1984 per non avere tenuto conto delle valutazioni espresse dalla
commissione sanitaria invalidi civili nel senso della riduzione dell’85 per
cento della capacità lavorativa (quarto); infine, violazione degli artt. 115 e 116
cod.proc.civ., e omesso esame e contraddittorietà della consulenza tecnica
d’ufficio non risultando indicate le ragioni di dissenso dalla consulenza
espletata in primo grado;

7. il ricorso è da rigettare;

8. costituisce orientamento consolidato di questa
Corte, in applicazione dei principi affermati da Cass., Sez. U., n. 12924 del
2014 in ordine agli effetti della rappresentanza tecnica congiuntiva o
disgiuntiva rispetto a ciascuno dei difensori nominati e nei rapporti del
singolo difensore con la parte, che per la corretta instaurazione del giudizio
di appello, nei confronti di una parte costituita con più difensori, è
sufficiente la rituale notificazione a uno solo di essi, che avrà poi l’onere
di comunicare l’evento anche all’altro al fine di valutare la migliore
strategia difensiva per la parte rappresentata;

9. consolidato è anche il principio secondo cui
l’accertamento del requisito della inabilità (di cui all’art. 8 della legge n. 222 del 1984),
richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità
ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato
secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle
eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle
generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del
mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta
capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere
attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost. e
tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico (v., fra le altre, Cass. n. 26181 del 2016 che ha confermato la
decisione di merito che aveva accolto la domanda di pensione di reversibilità,
quale orfano maggiorenne inabile di entrambi i genitori, presentata da un
invalido le cui residue capacità lavorative erano state riconosciute talmente
esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, che dovevano
comunque essere completate da un altro operatore e si risolvevano nello
svolgimento di un’attività del tutto priva di produttività, oltre che in
perdita economica, esercitata esclusivamente all’interno di strutture protette,
con esclusione di qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno; v., da ultimo,
Cass. n. 682 del 2019 e i numerosi precedenti ivi richiamati);

10. secondo la giurisprudenza di questa Corte,
pertanto, l’inabilità al lavoro rappresenta un presupposto del diritto alla
pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento
costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la
conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio
dal giudice (v., fra le altre, Cass. n. 1367 del 1998 e successive conformi;
fra le più recenti v. Cass. n. 30859 del 2019);

11. si tratta di stabilire non solo se il soggetto
avesse una generica capacità lavorativa ma se potesse utilizzare proficuamente
la residua efficienza psico-fisica e, quindi, se conservasse una pur minima
capacità di guadagno;

12. nella specie, tuttavia, lo svolgimento
dell’attività lavorativa non ha determinato la negazione del beneficio seguita,
piuttosto, alla complessiva valutazione del quadro patologico non efficacemente
attinta dal ricorso per cassazione che inadeguatamente devolve l’omesso esame
della consulenza tecnica laddove, alla stregua dei novellato vizio della
motivazione, l’omesso esame (così come interpretato da Cass. Sez. U., n. 8053 del 2014) può involgere
soltanto un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo,
estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto
dedotto in funzione probatoria);

13. anche la critica di contraddittorietà della
consulenza tecnica, e della sentenza che vi ha prestato adesione, svolge un
caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si
veda, ancora, la citata Cass., Sez.U., n. 8053 del
2014 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie
nullitatis, in relazione dell’art. 360, n. 4
cod.proc.civ., il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una
sostanziale carenza del requisito di cui all’art.
132, n.4, cod.proc.civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto
di sufficienza della motivazione);

14. inoltre, per consolidata giurisprudenza di
questa S.C. (cfr., tra le altre, Cass. n. 10090 del 2018, Cass. n. 26999 del
2016, Cass. n. 25569 del 2010), il giudice di appello, pur se obbligato a
motivare adeguatamente, secondo un tipico apprezzamento di fatto, il proprio
eventuale disaccordo rispetto alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio
del primo grado, non è tenuto a disporre una nuova consulenza, dovendo soltanto
prendere in considerazione i rilievi tecnico – valutativi mossi  dell’appellante, e, pertanto, a maggior
ragione, può motivatamente condividere le conclusioni del CTU di secondo grado,
che pervengano a conclusioni difformi dalle prime;

15. in ogni caso i parametri valutativi della
riduzione della capacità in materia di invalidità civile (legge n.118 del 1971) nulla hanno a che vedere con
i riferimenti all’art. 8 legge
n. 222 del 1984 e all’art.
22 legge n. 903 del 1965 in quanto afferenti a materia assistenziale, i
primi, e a materia previdenziale, i secondi;

16. quanto alle spese, la Corte di appello ha dato
atto della sussistenza delle condizioni per l’esonero di cui all’art. 152 disp. att. cod.proc.civ., nel testo
applicabile ratione temporis, le quali – in difetto di comunicazioni
riguardanti variazioni reddituali nelle more intervenute – devono presumersi
sussistenti anche per il presente giudizio e, pertanto, nulla deve statuirsi al
riguardo;

17. ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R.n. 115
del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico
della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,comma 1-bis, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115
del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico
della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 dicembre 2020, n. 28614
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: