Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 gennaio 2021, n. 1319

Accertamento, Rimborso delle ritenute subite per imposte
versate, Sostituto di imposta, Ricorso per Cassazione

 

Rilevato che

 

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio, in
riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato legittimo il silenzio
rifiuto opposto dall’amministrazione in relazione alla richiesta presentata da
A.F. di rimborso delle ritenute subite per imposte versate dal datore di lavoro
Istituto nazionale per il Commercio con l’Estero, quale sostituto di imposta in
riferimento all’integrazione del trattamento di fine rapporto erogatogli
nell’anno 2008.

2. Ha rilevato il giudice di appello che nella
specie non si rinveniva il titolo legittimante la pretesa restituzione
dell’imposta versata; invero, l’inesistenza dell’obbligo di versamento doveva
ritenersi subordinata alla previa restituzione, da parte del dipendente, degli
importi erroneamente percepiti dal datore di lavoro; non essendosi tale
condizione verificata, rimaneva l’obbligo per il datore di lavoro I.C.E., quale
sostituto di imposta, di effettuare la ritenuta di acconto.

3. Per la cassazione della citata sentenza A.F. ha
proposto ricorso affidato a tre motivi; l’Agenzia delle Entrate ha depositato
un atto di costituzione nel quale si è riservata l’eventuale partecipazione
all’udienza di discussione.

 

Considerato che

 

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: «Violazione dell’art. 53, comma 2, D. Lgs. 546/92
e art. 3, Legge 890/82, in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.»,
deducendo l’omesso rilievo da parte la CTR dell’inammissibilità dell’appello,
in conseguenza della omessa e/o inesistente notificazione del relativo atto
introduttivo, essendo rimasto il contribuente contumace in quel grado di
giudizio.

b. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione
dell’art. 36, comma 2, D. Lgs.
546/92, dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c.»,
deducendo la nullità della sentenza per omesso rilievo dell’inammissibilità
dell’appello per le medesime ragioni di cui al primo motivo di ricorso.

c. Terzo motivo: «Violazione e falsa applicazione
degli artt. 36, comma 2, D.
Lgs. 546/92, 132, n. 4, c.p.c., 118 disp. Att. C.p.c., nonché violazione per
mancata applicazione dell’art.
38, comma 2, D.P.R. 602/1973, in relazione all’art.
360, comma 1, n. 3, 4 e 5, c.p.c.» deducendo l’omessa o apparente
motivazione della sentenza impugnata su fatti controversi e decisivi per il
giudizio, quali lo svolgimento del processo, l’assenza di una motivazione
riconoscibile, l’omesso esame di tutte le censure formulate dall’Agenzia delle
Entrate con l’atto di appello, l’omesso esame delle difese svolte dal
contribuente in primo grado, l’omessa considerazione della legittimità della
richiesta di rimborso, come conseguenza del contenuto della sentenza resa dal
Consiglio di Stato, che avrebbe sancito l’inesistenza delle obbligazioni
tributarie correlate all’adempimento della riformata sentenza del T.A.R. con
conseguente attribuzione della qualifica di indebito alle imposte versate e
oggetto di richiesta di rimborso.

2. Il ricorso va respinto.

3. I primi due motivi, che per la loro oggettiva
connessione possono essere unitariamente esaminati, sono infondati. La sentenza
impugnata non contiene alcuna declaratoria di contumacia del contribuente nella
fase di appello. Al contrario, nella parte in “Fatto”, il F. viene
dato per regolarmente difeso dal proprio difensore all’udienza di discussione.
Tanto determina l’infondatezza dei due primi motivi, che si basano
sull’assunto, contrastante con il contenuto della sentenza impugnata, che il
contribuente fosse contumace in appello, circostanza che appare smentita dalla
lettura della sentenza impugnata, appartenendo ad altre forme di impugnazione
l’eventuale errore di percezione del giudicante sul punto.

4. Il terzo motivo è inammissibile. In materia di
ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di
doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile
ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le
doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un
loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza
rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente
proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti,
prima di decidere su di esse (Sez. 2 – , Sentenza n. 26790 del 23/10/2018).
Tanto si verifica nel caso di specie ove la censura non solo viene formulata
cumulativamente ai sensi dell’art. 360, comma 1,
nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., ma non contiene al suo interno partizioni o
altri elementi identificativi che consentano di individuare quale parte di essa
sia dedicata ai diversi profili giuridici di ciascuna delle categorie dell’art. 360 citato, che è compito della parte e, come
anzidetto, non può essere demandato all’opera interpretativa di questa Corte.

5. L’irrituale costituzione dell’Agenzia delle
Entrate esonera dal dover provvedere sulle spese di lite, ma la parte
ricorrente va condannata, ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n.
115 del 2002, al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13,
se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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