Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 febbraio 2021, n. 4419

Professionisti, Avvocato, Obbligo di iscrizione alla
Gestione separata, Reddito superiore alla soglia di € 5.000,00, ex art. 44, d.l. n. 269, Onere
della prova

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 6.3.2019, la Corte
d’appello di Genova ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di
primo grado che aveva dichiarato l’Avv. A.T. non tenuta ad iscriversi presso la
Gestione separata in relazione ai periodi nei quali aveva prodotto un reddito
inferiore ai minimi previsti per l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la
Cassa Nazionale Forense.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che, sebbene
non potesse in linea generale dubitarsi dell’obbligatorietà dell’iscrizione
alla Gestione separata per gli esercenti la professione di avvocato che non
fossero tenuti a iscriversi presso la Cassa Nazionale Forense, l’obbligo di
iscrizione alla Gestione separata presupponeva pur sempre la produzione da
parte del professionista di un reddito superiore alla soglia di € 5.000,00, ex art. 44, d.l. n. 269/2003 (conv.
con I. n. 326/2003), della cui occorrenza, nel
caso di specie, non era stata data prova.

Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per
cassazione l’INPS, deducendo un unico motivo di censura, successivamente
illustrato con memoria. L’Avv. A.T. è rimasta intimata.

 

Ragioni della decisione

 

Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2, commi 26 ss., I. n.
335/1995, 18, commi 1 e 2,
d.l. n. 98/2011 (conv. con I. n. 111/2011),
53, d.P.R. n. 917/1986, 10, 11 e 22, I. n. 576/1980, 21 comma 10, I. n. 247/2012, e 44, d.l. n. 269/2003 (conv. con I. n. 326/2003), per avere la Corte di merito
ritenuto che la produzione di un reddito non inferiore alla soglia di €
5.000,00, di cui alla norma ult. cit., costituisse presupposto necessario per
l’obbligatorietà dell’iscrizione del libero professionista presso la Gestione
separata.

Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Ricostruendo la portata precettiva dell’art. 2, comma 26, I. n. 335/1995,
per come autenticamente interpretato dall’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011
(conv. con I. n. 111/2011), questa Corte,
sulla scorta di Cass. S.U. n. 3240 del 2010,
ha avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante
dall’esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la
soglia monetaria indicata nell’art.
44, comma 2, d.l. n. 269/2003, conv. con I. n.
326/2003) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione
ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito
prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di
obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente, Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui
hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn.
519 del 2019, 317 e 1827 del 2020, 477 e 478
del 2021). E trattasi di affermazione che discende agevolmente dalla
lettura del combinato disposto degli artt. 2, comma 26, I. n. 335/1995,
e dell’art. 44, d.l. n. 269/2003,
entrambi cit., il primo dei quali, per quanto qui rileva, prevede
l’obbligatorietà dell’iscrizione a carico dei «soggetti che esercitino, per
professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di
cui al comma 1 dell’articolo 49 del
testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed
integrazioni», mentre il secondo, a decorrere dal 1° gennaio 2004, estende tale
obbligo anche ai «soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale
[…] solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore
ad euro 5.000».

Tanto premesso, risulta evidente l’errore in cui è
incorsa la sentenza impugnata.

Nell’intento del legislatore, reso palese dalla
lettera delle disposizioni citate, l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la
Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è
collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione
che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della
cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro
5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro
autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima
Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in
presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità.

Dirimente è, insomma, il modo in cui è svolta
l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno; e se
nell’accertamento di fatto di tale requisito ben possono rilevare le
presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della
partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a
supporto della sua attività, non è meno vero che trattasi pur sempre di forme
di praesumptio hominis, che non impongono all’interprete conclusioni
indefettibili, ma semplici regole di esperienza per risalire al fatto ignoto da
quello noto.

Sotto questo profilo, deve escludersi che – come
invece preteso dall’Istituto ricorrente – tali regole di esperienza siano
passibili di irrigidirsi in virtù della normazione positiva dettata dagli artt. 61 e 69-bis, d.lgs. n. 276/2003, così
da trapassare nel campo della presunzione legale: tanto l’art. 61, comma 3, d.lgs. n. 276/2003,
nella parte in cui prevede che «sono escluse dal campo di applicazione del
presente capo le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali», quanto il successivo art. 69-bis, comma 3, che esclude
dalla presunzione di continuatività di cui al precedente comma 1 le
«prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le
quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale», sono
preordinati a dettare discipline di favore per i committenti e i prestatori di
attività riconducibili ad una professione intellettuale per il cui esercizio
sia necessaria l’iscrizione ad apposito albo professionale, stabilendo
rispettivamente che esse non necessitano dell’individuazione di uno specifico
progetto per essere dedotte in un contratto di collaborazione e che, ai fini
fiscali, non possono presumersi continuative; si tratta, in altri termini, di
disposizioni che operano l’una nell’ambito dei rapporti tra le parti contraenti
e l’altra nei confronti dell’Erario, ma dalle quali non è possibile desumere
alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un’attività
liberoprofessionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o
elenco debba necessariamente qualificarsi come “abituale” ai fini
dell’iscrizione alla Gestione separata.

Resta piuttosto da osservare che, una volta chiarito
che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto di fatto,
valorizzando all’uopo le presunzioni ricavabili ad es. dall’iscrizione
all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale
predisposta dal professionista a supporto della sua attività, la percezione da
parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a €
5.000,00 può semmai rilevare quale indizio – da ponderare adeguatamente con gli
altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere che, in concreto,
l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità. Fermo restando,
ovviamente, che l’abitualità di cui si discute dev’essere apprezzata nella sua
dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la
disciplina ch’è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece
come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di reddito prodotto, dal
momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell’iscrizione
alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di
cui all’art. 44, d.l. n. 269/2003,
cit., che invece, come detto, rileva ai fini dell’assoggettamento a
contribuzione di attività libero-professionali svolte in forma occasionale.

In quest’ottica, reputa il Collegio che
l’affermazione contenuta in Cass. n. 3799 del 2019
(cit. adesivamente nella sentenza impugnata a sostegno della diversa interpretazione
colà accolta), secondo cui la produzione di un reddito superiore a € 5.000,00
darebbe luogo ex se all’obbligo di iscrizione alla Gestione separata (cfr.
paragrafo 34 della parte motiva), debba essere intesa (coerentemente con quanto
sostenuto al precedente paragrafo 16) come volta ad affermare che, in quella
data fattispecie, la produzione di un reddito superiore alla soglia cit. valeva
a privare di rilievo ogni questione circa la natura abituale o occasionale
dell’attività libero-professionale da assoggettare a contribuzione, dal momento
che, quand’anche se ne fosse voluta predicare la non abitualità, il superamento
della soglia di cui all’art. 44,
d.l. n. 269/2003, cit., ne avrebbe comunque determinato la sottoposizione
all’obbligo di contribuzione in favore della Gestione separata.

Pertanto, non essendosi la Corte di merito
uniformata all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata
e la causa rinviata alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione,
che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 febbraio 2021, n. 4419
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