Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2021, n. 3816

Mansioni di infermiere, Indennità per utilizzo della
strumentazione cd. POCT, Fondo di produttività, Contrattazione collettiva
aziendale, Definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio,
Escluso per il datore di lavoro pubblico la possibilità di attribuire un
trattamento di miglior favore al dipendente, nel contratto individuale

Fatti di causa

1. Con sentenza del 19.6.14, la Corte d’Appello di
Roma, in riforma della sentenza del 2.12.10 del tribunale di Latina, ha
rigettato la domanda dei lavoratori in epigrafe -infermieri professionali
presso il pronto soccorso di Sezze e Priverno, ASL Latina- volta alla
corresponsione delle indennità per utilizzo della strumentazione cosiddetta
POCT (Point of care testing), per analisi effettuate vicino al paziente in
situazione di urgenza, anche per il periodo seguente il 31.12.2004 (data di
scadenza del progetto prevista sulla base della delibera di avvio -nr.
1295/2003- e delle delibere di proroga -nr. 778 e 1176 del 2004-).

2. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto
che l’utilizzazione di tali strumenti nell’ambito delle mansioni degli
infermieri fosse aggiuntivo nell’ottica del servizio reso alla collettività e
non invece in relazione ai compiti dei singoli operatori e, rilevato che tale
utilizzo era stato incentivato con la previsione di apposito fondo di
produttività destinato ad operare solo in una prima fase di avvio, non trovando
l’erogazione permanente delle somme relative causa nella contrattazione
collettiva aziendale, ha escluso il diritto dei lavoratori alle somme in
questione. La corte territoriale ha altresì escluso la fondatezza della domanda
subordinata svolta ex articolo 2041 cod.civ.,
trattandosi di esercizio della mansioni proprie del personale coinvolto e
secondo le finalità istituzionali.

3. Avverso tale sentenza ricorrono i lavoratori per
un motivo, l’ASL è rimasta intimata.

 

Motivi della decisione

 

4. Con unico motivo si deduce -ex art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c.- vizio di
motivazione e violazione di legge (ed in particolare degli articoli 167 e 115
c.p.c., 1362 c.c., della legge 42/99, del
DM 739/94, del DM 745/94 e del DM 2.4.01, dell’articolo
2229 c.c. e 32 Costituzione), per non avere
la sentenza impugnata considerato da un lato le mansioni concretamente dedotte
dai lavoratori e non contestate dalla Asl (ed in particolare la tipologia delle
apparecchiature disponibili -coagulometro; contaglobuli; emogasanalizzatore;
analizzatore per marcatori cardiaci; strumento per parametri biochimici;
lettore di strisce per urine- e le loro modalità d’uso, con piena autonomia
degli operatori, incaricati anche della taratura quotidiana degli strumenti e
del loro controllo di qualità) e, 
dall’altro lato, il carattere aggiuntivo dell’utilizzo della
strumentazione rispetto alle mansioni proprie della figura professionale quale
definite dalle fonti richiamate, oggetto peraltro di specifica retribuzione
aggiuntiva sebbene solo per un periodo precedente.

5. Il ricorso è inammissibile nella parte in cui si
lamenta la violazione del principio di non contestazione e del principio
dispositivo, in quanto non parametrato ai contenuti della sentenza. Non vi è
alcun accertamento di mansioni diverse rispetto a quelle poste a base della
sentenza di primo grado sulla base del principio di non contestazione; il
giudice dell’appello ha piuttosto ritenuto che le mansioni allegate fossero di
competenza del profilo dell’infermiere professionale.

6. Ne consegue la inammissibilità delle ulteriori
censure mosse sotto il profilo del vizio di motivazione, in quanto non vi è
questione di omesso esame di fatti storici ma piuttosto di sussunzione di quei
fatti nella mansioni dell’infermiere professionale.

7. Per il resto, il ricorso è infondato.

8. L’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001,
nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede che il
prestatore di lavoro deve essere adibito “alle mansioni per le quali è
stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della
classificazione professionale prevista dai contratti collettivi”. Gli artt. 2 e 45 del decreto riservano,
poi, alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico
fondamentale ed accessorio, escludendo che il datore di lavoro pubblico, nel
contratto individuale, possa attribuire un trattamento diverso, anche se di
miglior favore per il dipendente.

9. Analizzando il complesso di dette disposizioni
questa Corte ha ripetutamente affermato che la disciplina tiene conto delle
perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore, condizionato
nella organizzazione del lavoro da vincoli strutturali di conformazione al
pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse (in tal senso Cass. 21 maggio 2009, n. 11835 e Cass. 11 maggio 2010, n. 11405).

Non è poi senza rilievo, ai fini che qui
interessano, sottolineare che il datore di lavoro pubblico incontra precisi
limiti nella determinazione del trattamento economico spettante al personale,
poiché detta voce di spesa deve essere “evidente, certa e prevedibile nella
evoluzione” (art. 8), con la conseguenza che il trattamento economico non
può che essere quello definito dai contratti collettivi (art. 45, commi 1 e 2),
la cui conclusione è assoggettata ad un rigoroso procedimento di determinazione
degli oneri finanziari conseguenti (art. 47).

10. La questione che qui viene in rilievo, relativa
alla sussistenza del diritto del dipendente pubblico ad essere retribuito ex art. 36 Cost, per la prestazione aggiuntiva resa
nell’ambito del normale orario di lavoro, non può prescindere dal quadro
normativo e contrattuale sopra delineato nei suoi tratti essenziali.

11. Dai principi di diritto richiamati, infatti,
discende innanzitutto che il parametro di riferimento per la stessa
configurabilità in astratto di una “prestazione aggiuntiva” deve
essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva,
giacché la mansione potrà essere considerata ulteriore rispetto a quelle che il
datore di lavoro può legittimamente esigere ex art. 52 d.lgs. n. 165/2001
solo a condizione che la stessa esuli dal profilo professionale delineato in
via generale dalle parti collettive.

12. Non a caso le pronunce di questa Corte (Cass. 19 marzo 2008, n. 7387 e Cass. 3 giugno 2014, n. 12358), che hanno ammesso
la astratta possibilità di riconoscere ex art. 36
Cost. una maggiorazione stipendiale al dipendente pubblico chiamato a
svolgere mansioni aggiuntive, si riferivano a fattispecie nelle quali le
prestazioni ulteriori pacificamente non erano ricomprese nel profilo, come
delineato in un caso dalla legge nell’altro dalla contrattazione collettiva.

13. In tal senso, questa Corte ha già chiarito (Sez.
6 – L, Ordinanza n. 16094 del 02/08/2016, Rv.
640722 – 01) che il lavoratore pubblico ha diritto ad un compenso per
prestazioni aggiuntive purché i compiti, espletati in concreto, integrino una
mansione ulteriore rispetto a quella che il datore di lavoro può esigere in
forza dell’art. 52 del
d.lgs. n. 165 del 2001, tale risultando quella che esuli dal profilo
professionale salvo che, in presenza di un inquadramento che comporti una
pluralità di compiti nell’ambito del normale orario, il datore di lavoro non
abbia esercitato il proprio potere di determinare l’oggetto del contratto
assegnando prevalenza all’uno o all’altro compito riconducibile alla qualifica
di assunzione.

14. In tale contesto, deve rilevarsi che i
ricorrenti deducono che la utilizzazione della strumentazione POCT comportava
l’esecuzione di esami diagnostici mansioni aggiuntive rispetto a quelle proprie
della figura professionale dell’infermiere e pertinenti, invece, alla figura
del tecnico di laboratorio, come definita dal DM 745/1994, articolo 1.
Trascurano però i ricorrenti che entrambi i profili professionali indicati sono
riconducibili all’Area D, che ricomprende tutti “i lavoratori che,
ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre a conoscenze teoriche
specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali
conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di
coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa
nell’ambito di strutture operative semplici previste dal modello organizzativo
aziendale”, e prevede tra i profili professionali sia i collaboratori
professionali sanitari – personale infermieristico, sia il personale tecnico
sanitario -tecnico sanitario di laboratorio biomedico.

15. In secondo luogo, deve rilevarsi che dall’esame
del mansionario degli infermieri professionali, già approvato con d.m.
225/1974, si evince che l’esecuzione di esami strumentali semplici non è
estranea alla professionalità dell’infermiere specializzato: infatti, il
richiamato decreto, che tra le attribuzioni degli infermieri professionali,
ricomprendeva (art. 2) l’effettuazione degli esami di laboratorio più semplici,
gli interventi di urgenza, il prelievo capillare e venoso del sangue,
l’effettuazione di iniezioni ipodermiche, intramuscolari e tests
aIlergodiagnostici.

16. E’ vero peraltro che il mansionario per gli
infermieri professionali è stato poi abrogato, ma ciò è avvenuto in coerenza
con le previsioni normative (in particolare dettate dalla legge n. 42/1999)
che, lungi dall’escludere mansioni già ricomprese nell’attività in discorso,
hanno ampliato autonomia e responsabilità dell’infermiere quale professionista
Sanitario che, in quanto tale, risponde direttamente delle sue azioni.

17. Nel descritto contesto, le prestazioni POCT
attengono a tipiche attività infermieristiche, operando poi gli apparecchi
utilizzati l’analisi tecnica dei risultati.

18. La corte territoriale ha correttamente ritenuto
che la  soluzione del tribunale, secondo
il quale l’utilizzo della strumentazione POCT, che consentiva di eseguire
vicino al paziente esami emodiagnostici con immediata visualizzazione
dell’esito, non rientrava tra le mansioni degli infermieri ma tra quelle dei
tecnici sanitari di laboratorio— si fondava su una concezione statica delle
mansioni, impermeabile alle innovazioni tecnologiche. Sarebbe invero un
paradosso affermare che i POCT siano estranei alle mansioni dell’infermiere
oggi, all’esito di una normazione (D.M. 739/94, Legge n. 42/99, Legge 251/2000, Legge
43/2006, Codice Deontologico) che ha accrescituo la professionalità
dell’operatore sanitario ed ha sancito il definitivo superamento del concetto
di ausiliarietà e mera esecutività dell’assistenza infermieristica in relazione
alla professione medica.

19. In terzo luogo, va rilevato che non è
sufficiente ai fini invocati dai ricorrenti la sola allegazione di aver svolto
mansioni aggiuntive, essendo anche necessario che dallo svolgimento di compiti
ulteriori derivi una inadeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost..

20. Questa Corte (tra le altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 12763 del 21/12/1998) ha affermato che
il lavoratore il quale, nel rispetto della professionalità e della
qualificazione contrattuale conseguite, sia, nel corso del rapporto, adibito
dal datore di lavoro allo svolgimento di mansioni ulteriori rispetto a quelle
originariamente assegnategli non può pretendere, in mancanza di disposizioni
legislative o contrattuali in tal senso, la corresponsione di un doppio
salario, per la duplicità di mansioni conglobate in un’unica prestazione
lavorativa, configurandosi eventualmente, nella situazione anzidetta, soltanto
un problema di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione in relazione
alla qualità e quantità della prestazione lavorativa complessivamente svolta.
La soluzione di tale questione – anche sotto il profilo della spettanza o meno
di un incremento retributivo a titolo di compenso per un lavoro accessorio – è
riservata al giudice del merito, la cui valutazione, se sorretta da motivazione
adeguata ed immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità.

21. Si è per altro verso osservato (Cass., Sez. L, sentenza 25246 del 15/12/2015) che il giudizio di
congruità della retribuzione va formulato prendendo in considerazione tutti gli
elementi concreti del rapporto, da fornirsi da parte del lavoratore che lamenti
l’insufficienza della retribuzione, e riguarda il trattamento economico
complessivo corrisposto al lavoratore, non già singole componenti dello stesso.

Da detto principio discende che perché il prestatore
possa pretendere ex art. 36 cost. il pagamento
della prestazione ritenuta aggiuntiva non è sufficiente la mera allegazione
dello svolgimento di compiti ulteriori e di un criterio di calcolo per
determinare il compenso di tale attività, ma è necessario fornire elementi tali
che consentano di verificare la congruità del complessivo trattamento economico
ricevuto rispetto al parametro di cui all’art. 36
Cost. (Cass.
3.6.2014 n. 12358

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