Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5234

Mancato computo dei bonus annuali ai fini di tredicesima,
quattordicesima mensilità e TFR, Risoluzione consensuale del rapporto e
valorizzazione del comportamento anche successivo, Accordi tra le parti,
Criterio ermeneutico prevalente, Chiarezza e univocità della volontà comune
parti, Non sussistenti ragioni di divergenza tra il tenore letterale del
negozio e intento effettivo dei contraenti

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 26 ottobre 2016, la Corte d’appello
di Roma dichiarava inammissibile la domanda di A.I., già dirigente di M.E.I.
(ora M.W.) s.r.l. dall’ottobre 1983 al 31 ottobre 2008, di condanna della
società datrice al pagamento, in suo favore, della somma di € 176.651,68 a titolo
di mancato computo dei bonus annuali ai fini di tredicesima, quattordicesima
mensilità e T.f.r., oltre accessori e relativi contributi: così riformando la
sentenza di primo grado, che l’aveva invece accolta;

2. a motivo della decisione, la Corte capitolina
riteneva detta inammissibilità, ai sensi dell’art.
2113, secondo comma c.c., per la consapevole ed inequivoca rinuncia della
lavoratrice ad ogni ulteriore pretesa economica, derivante dal rapporto con la
società, espressa nell’accordo del 31 ottobre 2008, confermato dal successivo
del 23 novembre 2010, alla luce del chiaro tenore letterale e delle scrutinate
risultanze istruttorie (in particolare, per la posizione apicale in essa
rivestita, oltre che di dirigente, di Presidente del C.d.A. fino al novembre
2010 ad oltre due anni dalla risoluzione consensuale del rapporto e
valorizzazione del comportamento anche successivo);

3. con atto notificato il 21 aprile 2017, la
lavoratrice ricorreva per cassazione avverso la sentenza con quattro motivi,
cui la società resisteva con controricorso;

4. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi
dell’art. 380bis 1 c.p.c;

 

Considerato che

 

1. la ricorrente deduce violazione dell’art. 2113 c.c., per l’erronea qualificazione degli
accordi tra le parti quali rinuncia, in difetto persino di indicazione di
specifici diritti, siccome contenenti espressioni di mero stile, in assenza poi
di maturazione del diritto al T.f.r. al tempo del primo accordo e per il
riferimento del secondo a questioni diverse dal pregresso rapporto di lavoro,
cessato da oltre due anni (primo motivo); violazione degli artt. 1362
ss. c.c.e 115 c.p.c., per erronea interpretazione delle
lettere unilateralmente predisposte dalla società datrice (con adesione della
lavoratrice con mera dichiarazione di gradimento) del 31 ottobre 2008 e del 23
novembre 2010 come rinunce a diritti neppure specificati, in violazione del
principale criterio ermeneutico di letteralità espressiva della comune volontà
delle parti, rispetto al quale valorizzato prioritariamente quello sussidiario
del comportamento delle parti; neppure essendo in tali lettere ravvisabile
alcuna transazione, non potendo le espressioni impiegate delle parti, per
quanto generali, comprendere oggetti al di fuori della contrattazione tra le
stesse (art. 1364 c.c.) (secondo motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 c.c.,
per l’assenza di reciprocità delle rispettive concessioni tra le parti, quale
elemento costitutivo di una transazione, a voler ritenere l’individuazione di
un tale atto negoziale da parte della Corte territoriale (terzo motivo); omesso
esame di un fatto decisivo, consistente nel non avere la Corte territoriale,
nell’erronea riforma della sentenza del Tribunale con una diversa motivazione,
neppure disposto un’istruzione probatoria, nonostante il richiamo della
lavoratrice alle proprie deduzioni probatorie, senza considerare né le
allegazioni del ricorso introduttivo né i documenti ad esso allegati (quarto
motivo);

2. essi, tutti congiuntamente esaminabili per
ragioni di stretta connessione, sono infondati;

3. la Corte territoriale ha scrutinato i due accordi
del 31 ottobre 2008 e del 23 novembre 2010 orientata alla ricerca della comune
volontà delle parti, in applicazione dell’art. 1362
c.c. e pertanto del criterio ermeneutico che deve prevalere, quando riveli
con chiarezza e univocità la volontà comune delle stesse, sicché non sussistano
residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento
effettivo dei contraenti (Cass. 28 agosto 2007, n. 18180; Cass. 21 agosto 2013, n. 19357);

3.1. è noto che esso richieda, ai fini della
ricostruzione della volontà delle parti, che il giudice, dopo aver compiuto
l’esegesi del testo, anche quando il significato letterale sia apparentemente
chiaro, verifichi se quest’ultimo sia coerente con la causa del contratto, con
le dichiarate intenzioni delle parti e con la condotta delle stesse (Cass. 9
dicembre 2014, n. 25840; Cass. 10 maggio 2016, n.
9380);

3.2. la Corte capitolina ha esattamente applicato i
suenunciati principi di diritto, facendo poi corretto ricorso, in via
integrativa al fine della ricostruzione della volontà delle parti,
“anche” al loro “comportamento successivo alla conclusione del
contratto” (così al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza), come
previsto dall’art. 1362, secondo comma c.c.;

3.3. l’esigenza di una chiara e piena consapevolezza
della lavoratrice di abdicare o comunque di transigere sui propri diritti
(Cass. 31 gennaio 2011, n. 2146; Cass. 6 maggio 2015, n. 9120; Cass. 15 settembre 2015, n. 18094; Cass. 18 settembre 2019, n. 23296) è stata dalla
Corte doverosamente riscontrata in fatto, in relazione a quelli oggetto
specifico di domanda (mancato computo dei bonus annuali ai fini della
tredicesima e quattordicesima mensilità e del T.f.r.), evidentemente ricompresi
nella “reciproca soddisfazione” delle parti datrice e lavoratrice e
nella dichiarazione di entrambe di “essere integralmente soddisfatte”
(secondo le testuali espressioni utilizzate nei due accordi, come trascritti al
primo capoverso di pg. 3 della sentenza), in riferimento al rapporto
intrattenuto (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 3 al terzo di
pg. 4 della sentenza): il che costituisce un accertamento in fatto del giudice
di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto in caso di violazione
dei criteri di ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione
(Cass. 25 gennaio 2008, n. 1657; Cass. 28 agosto 2013, n. 19831; Cass. 31 maggio
2018, n. 13967), nel caso di specie insussistenti;

3.4. l’interpretazione giudiziale del testo dei due
accordi risulta pertanto assolutamente plausibile e congruamente argomentata,
per le ragioni richiamate, sicché le censure della ricorrente convergono in una
mera contrapposizione dell’interpretazione propria ad essa, insindacabile in
sede di legittimità (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254), alla fine consistendo
nella critica del risultato interpretativo in sé (Cass. 8 agosto 2019, n.
21198);

3.5. infine, non si configura il vizio motivo
denunciato, in assenza di un fatto storico, di cui sia stato omesso l’esame,
alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo
comma, n 5 c.p.c., piuttosto risolvendosi in una contestazione della
valutazione probatoria della Corte territoriale (Cass.
s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);

4. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere
rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e
raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei
presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20
settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la lavoratrice alla
rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 7.000,00 per compensi professionali,
oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

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