Prassi – INAIL – Nota 01 marzo 2021, n. 2402
Tutela assicurativa Inail e rifiuto di sottoporsi a vaccino
anti Covid-19 da parte del personale infermieristico.
Si riscontra la nota del 18.2.2021 (all.1-3), con
cui è stato trasmesso il quesito formulato con PEC del 17.2.2021 dall’Ospedale
Policlinico San Martino di Genova, per chiarire quanto segue.
Nel quesito si chiede all’Inail se e quali
provvedimenti debbano essere adottati riguardo al personale infermieristico che
non abbia aderito al piano vaccinale anti-Covid-19, considerato che, pur in
assenza di una specifica norma di legge che stabilisca l’obbligatorietà della
vaccinazione, la mancata adesione al piano vaccinale nazionale potrebbe
comportare da un lato responsabilità del datore di lavoro in materia di protezione dell’ambiente di lavoro (sia per
quanto riguarda i lavoratori, che i pazienti) e dall’altro potrebbe esporre lo
stesso personale infermieristico a richieste di risarcimento per danni civili,
oltre che a responsabilità per violazione del codice deontologico.
Nel quesito si chiede in particolare se la malattia
infortunio sia ammissibile o meno alla tutela Inail nel caso in cui il
personale infermieristico (ma non solo), che non abbia aderito alla profilassi
vaccinale, contragga il virus.
In merito a quanto richiesto relativamente alla
tutela infortunistica si chiarisce che l’assicurazione (obbligatoria e
pubblica) gestita dall’Istituto opera al ricorrere dei presupposti previsti
direttamente dalla legge.
Si tratta di attività vincolata sottratta alla disponibilità
delle parti, intendendosi con ciò non solo il lavoratore e il datore di lavoro,
ovvero il soggetto assicurante su cui grava l’obbligo di versare i premi
assicurativi, ma lo stesso Istituto assicuratore.
La tutela assicurativa è così intensa da operare
anche indipendentemente dall’eventuale inadempimento dell’obbligo assicurativo
da parte del soggetto assicurante. L’articolo 67 del decreto del
Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 stabilisce che gli
assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto assicuratore
anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi
stabiliti nel presente titolo (principio di automaticità delle prestazioni).
Ne deriva che la tutela assicurativa non può essere
sottoposta a ulteriori condizioni oltre quelle previste dalla legge.
L’articolo
2 del suddetto decreto stabilisce, infatti, che L’assicurazione comprende tutti
i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui
sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale,
ovvero un’inabilità temporanea che importi l’astensione dal lavoro per più di
tre giorni.
Come si evince dall’articolo 65 del suddetto
decreto, secondo cui non è indennizzabile l’assicurato il quale abbia simulato
un infortunio o abbia dolosamente (con coscienza e volontà) aggravato le conseguenze
di esso, la tutela è esclusa soltanto per l’infortunio doloso.
In sintesi, l’assicurazione gestita dall’Inail ha la
finalità di proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro, anche da
quelli derivanti da colpa, e di garantirgli i mezzi adeguati allo stato di
bisogno derivante dalle conseguenze che ne sono derivate (NOTA 1).
Alla luce di quanto premesso vanno, pertanto, tenute
anzitutto distinte le questioni sollevate dalla nota dell’Ospedale Policlinico
San Martino di Genova attinenti al rapporto di lavoro del personale in
questione, agli obblighi di prevenzione del datore di lavoro e di
collaborazione del lavoratore (art. 2087 cod. civ.
e artt. 266, 279 e 20 del decreto legislativo n.
81/2008), da quelli riguardanti la tutela del lavoratore che ha contratto
il contagio da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro.
In proposito il quesito concerne il ruolo da
attribuire alla volontà del personale infermieristico di non sottoporsi alla
profilassi vaccinale con riguardo all’operatività della tutela in caso di
avvenuto contagio in occasione di lavoro.
Sotto il profilo assicurativo, per giurisprudenza
consolidata il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra anche la
violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale,
non comporta di per sé, l’esclusione dell’operatività della tutela prevista
dall’assicurazione gestita dall’Inail.
Il comportamento colposo del lavoratore può invece
ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir
meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così
come il diritto dell’Inail ad esercitare il regresso nei confronti sempre del
datore di lavoro, ma non comporta l’esclusione della tutela assicurativa
apprestata dall’Istituto in caso di infortunio.
In merito ai comportamenti colposi per violazione delle
norme di sicurezza sul lavoro, secondo la giurisprudenza, sebbene ovviamente la
violazione di norme antinfortunistiche da parte del lavoratore debba essere
considerata un comportamento sicuramente illecito (tanto che la legislazione
più recente, al fine di responsabilizzare il lavoratore, prevede sanzioni anche
a carico di questi quando non osservi i precetti volti alla tutela della salute
nei luoghi di lavoro), l’illiceità del comportamento non preclude comunque in
alcun modo la configurabilità dell’infortunio come evento indennizzabile; in
quanto la colpa dell’assicurato costituisce una delle possibili componenti
causali del verificarsi dell’evento (insieme al caso fortuito, alla forza
maggiore, al comportamento del datore di lavoro ed al comportamento del terzo)
(NOTA 2). Non appare nemmeno ipotizzabile nel caso del rifiuto di vaccinarsi,
l’applicazione del concetto di “rischio elettivo”, elaborato dalla
giurisprudenza per delimitare sul piano oggettivo l’occasione di lavoro e,
dunque, il concetto di rischio assicurato o di attività protetta.
Secondo la giurisprudenza consolidata, l’infortunio
derivante da rischio elettivo è quello che è conseguenza di un rischio
collegato ad un comportamento volontario, volto a soddisfare esigenze meramente
personali e, comunque, indipendente dall’attività lavorativa, cioè di un
rischio generato da un’attività che non abbia rapporto con lo svolgimento
dell’attività lavorativa o che esorbiti in modo irrazionale dai limiti di essa
(NOTA 3). Perché ricorra il rischio elettivo occorre, pertanto, il concorso
simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti:
a) vi deve essere non solo un atto volontario (in
contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni),
ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità
produttive;
b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali
(il che esclude le iniziative, pur incongrue, ed anche contrarie alle direttive
datoriali, ma motivate da finalità produttive);
c) che affronti un rischio diverso da quello
lavorativo al quale l’atto stesso sarebbe assoggettato, per cui l’evento non ha
alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa.
In sintesi il rischio elettivo ricorre quando per
libera scelta il lavoratore si ponga in una situazione di fatto che l’ha
indotto ad affrontare un rischio diverso da quello inerente l’attività
lavorativa.
Per quanto sopra il rifiuto di vaccinarsi non può
configurarsi come assunzione di un rischio elettivo, in quanto il rischio di
contagio non è certamente voluto dal lavoratore e la tutela assicurativa opera
se e in quanto il contagio sia riconducibile all’occasione di lavoro, nella cui
nozione rientrano tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti
l’ambiente, le macchine, le persone, compreso il comportamento dello stesso
lavoratore, purché attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione.
D’altra parte, non si rileva allo stato dell’attuale
legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro, un obbligo specifico di aderire alla vaccinazione da parte del
lavoratore; infatti il decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81 all’articolo 279 riguardante prevenzione e
controllo, stabilisce che “il datore di lavoro, su conforme parere del medico
competente, adotta misure protettive particolari (…)” tra cui “a) la messa a
disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni
all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del
medico competente”, ma non prevede l’obbligo del lavoratore di vaccinarsi.
In materia di trattamenti sanitari opera, tra
l’altro, la riserva assoluta di legge di cui all’articolo
32 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge
non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana.
Per quanto sopra, il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi
come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un
trattamento sanitario, ancorchè fortemente raccomandato dalle autorità, non può
costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa
dell’infortunato.
Resta inteso, infine, che quanto chiarito non
comporta l’automatica ammissione a tutela del lavoratore che abbia contratto il
contagio e non si sia sottoposto alla profilassi vaccinale in quanto, come
precisato nella circolare n. 13/2020, occorre
comunque accertare concretamente la riconduzione dell’evento infortunistico
all’occasione di lavoro.
—
(1) Per tutte, Corte di Cassazione, ordinanza
19 marzo 2019, n. 7649.
(2) Cassazione civile, sezione
lavoro, n.17917 del 20 luglio 2017, in cui si osserva anche che se si
negasse l’occasione di lavoro in ogni caso in cui il lavoratore violando una
qualsiasi regola precauzionale (…) si ponga in una situazione di pericolo
(come quando infili la mano dentro una macchina pericolosa per recuperare un
attrezzo da lavoro), tale per cui tutte le volte in cui il comportamento
volontario ed imprudente dello stesso lavoratore si ponga all’origine
dell’infortunio, si dovrebbe allora dire negli stessi casi che l’infortunio si
sarebbe potuto evitare evitando appunto la stessa occasione di lavoro. Ogni
infortunio derivante da un rischio che il lavoratore avrebbe dovuto e potuto
evitare verrebbe così escluso dalla tutela.
(3) Cassazione, sez. lavoro, n.
11417 del 18.5.2009: In materia di assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro, costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente
arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative,
che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione
della prestazione. Tale genere di rischio che è in grado di incidere,
escludendola, sull’occasione di lavoro – si connota per il simultaneo concorso
dei seguenti elementi: a) presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia
illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla
soddisfazione di impulsi meramente personali; c) mancanza di nesso di
derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa.