Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2021, n. 6916

Licenziamento, Chiusura del cantiere edile, Soppressione del
posto di lavoro, Reintegrazione del lavoratore in mansioni equivalenti a
quelle della sua qualifica, Difetto di nesso causale tra ragione del recesso e
soppressione del posto

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n
1992/2018, in accoglimento del reclamo proposto da M.M., ha annullato il
licenziamento intimato in data 25.2.2015 dalla società N. s.r.l. per
giustificato motivo oggettivo e ha ordinato alla società di reintegrare il
reclamante in mansioni equivalenti a quelle della sua qualifica, oltre a
condannare la società al risarcimento del danno pari a dodici mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, accessori e contributi previdenziali
e assistenziali.

2. M.M., geometra della società, era stato
licenziato a seguito della chiusura del cantiere edile di Pescara sul quale
stava lavorando. Secondo il giudice di primo grado, la chiusura del cantiere
nel febbraio 2015 aveva comportato la soppressione del posto di lavoro del
ricorrente, così come di tutti gli altri dipendenti che vi erano addetti, in
quanto il completamento dei residui lavori era stato affidato in subappalto ad
un’altra società; inoltre, non vi era possibilità di una ricollocazione del
ricorrente, come desumibile dalla grave situazione di crisi che aveva condotto
la società al concordato preventivo e alla progressiva chiusura di altri
cantieri.

3. La Corte di appello, ribaltando tale giudizio, ha
osservato, in sintesi:

– che la chiusura del cantiere avrebbe potuto
integrare una ragione di ordine organizzativo o produttivo solo se il
ricorrente fosse stato assunto per essere impiegato esclusivamente in quel
determinato cantiere, mentre nel caso in esame il ricorrente era stato assunto
per far parte dell’organico permanente dell’impresa, per cui solo l’eventuale
abolizione della sua postazione lavorativa con modifica dell’organico avrebbe
potuto giustificare il licenziamento.

– che, dall’esame dei documenti, era risultato che
il ricorrente venne assunto per lavorare presso la sede della società in
Soverato, con possibilità di assegnazione di compiti e mansioni fuori sede e
che, inoltre, a partire dal 18.6.2012 il ricorrente era stato nominato
“procuratore speciale” della società per l’espletamento di qualsiasi
attività di ordine tecnico, amministrativo e contabile in ordine ai lavori
eseguiti o in corso o futuri della società, senza alcuna limitazione al solo
cantiere di Pescara;

– che tale accordo originario non risultava essere
stato modificato, restando irrilevante che nei fatti – come riferito dai testi
– il ricorrente fosse stato addetto esclusivamente al cantiere di Pescara;

– che il difetto di nesso causale tra ragione del
recesso e soppressione del posto di lavoro del reclamante comporta
l’insussistenza del fatto addotto a sostegno del licenziamento e l’applicazione
della tutela reintegratoria di cui al quarto comma dell’art. 18 legge n. 300 del 1970,
come novellato dalla legge n. 92 del 2012.

4. Per la cassazione di tale sentenza la società N.
ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, cui ha resistito M.M. con
controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con unico motivo di ricorso la società denuncia
violazione dell’art. 3 legge n.
604 del 1966 (art. 360, primo comma, n. 3 cod.
proc. civ.) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti (art. 360,
primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) per non avere la sentenza debitamente
considerato che il licenziamento ben può essere giustificato da un andamento
economico negativo o da un riassetto aziendale cagionato da una situazione di
crisi.

Sostiene che nella fattispecie era stata data la
dimostrazione non solo della chiusura del cantiere di Pescara, ma anche del
“licenziamento di tutte le unità”, nonché di uno stato di crisi
aziendale comprovato dalla procedura di concordato preventivo in continuità,
ancora in essere.

Deduce quindi che era errato considerare solo la
chiusura del cantiere di Pescara, in presenza di una ben più ampia crisi
aziendale che aveva provocato il ricorso alla procedura concorsuale,
costituendo quest’ultima la dimostrazione della necessità di un riassetto
organizzativo e al contempo della impossibilità del repêchage.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. Innanzitutto, è insussistente la prospettata
omissione di fatto decisivo per il giudizio, avendo la sentenza ben tenuto
conto della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, cui era
stata ammessa la società. La Corte di appello ha però ritenuto che la circostanza
fosse in sé irrilevante, poiché e proseguita l’attività aziendale ed erano
rimasti attivi altri cantieri. Ha pure osservato che, sulla base della
documentazione esaminata, il M. era stato assunto non già unicamente per
svolgere le sue funzioni presso il cantiere di Pescara, ma come geometra
facente parte dell’organico aziendale permanente e, da una certa data in poi,
anche per svolgere le funzioni di procuratore speciale della società.

4. E’ dunque palesemente inammissibile la censura
formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5
cod. proc. civ., essendola circostanza di cui si lamenta l’omesso esame
specificamente considerata, ma ritenuta non decisiva.

5. Per il resto, il motivo è del tutto generico in
relazione alla denunciata violazione di legge. La ratio decidendi su cui la
sentenza si fonda è data dalla necessità che sia dimostrato il nesso tra la
soppressione di una postazione lavorativa e il licenziamento del lavoratore,
prova che nella specie non era stata fornita in quanto il M. era stato assunto
per l’organico permanente dell’azienda.

6. La sentenza ha pure richiamato l’orientamento
interpretativo di questa Corte secondo cui l’ultimazione delle opere edili non
è sufficiente a configurare un giustificato motivo di recesso, salvo che il
datore di lavoro non dimostri l’impossibilità di utilizzazione dei lavoratori
medesimi in altre mansioni compatibili, con riferimento alla complessità
dell’impresa e alla generalità dei cantieri nei quali è dislocata la relativa
attività (cfr. Cass. n. 22417 del 2009 e n. 1008 del 2003). Tale ratio decidendi non è
stata neppure specificamente censurata, in violazione degli oneri di cui all’art. 366, primo comma n. 4 cod. proc. civ..

7. Ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso
è ravvisabile nella prospettata crisi aziendale che avrebbe determinato un
riassetto organizzativo con il licenziamento di “tutte le unità” lavorative
e non solo di quelle addette al cantiere di Pescara. Trattasi di un assunto
nuovo: la sentenza ha difatti riferito della prosecuzione dell’attività
aziendale e dell’avvenuto licenziamento dei soli addetti al cantiere di
Pescara. Il motivo di ricorso tenta di introdurre una questione di cui non vi è
cenno nella sentenza impugnata e dunque inammissibile in questa sede.

8. In conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per
esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15
per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13
(v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 5.250,00 per compensi
e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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