La causa ostativa di cui alla lett. d-bis) dell’art. 1, co. 57, della L. n. 190/2014, non trova applicazione nel caso di un contribuente che continui a collaborare, come lavoratore autonomo, con la medesima impresa presso cui aveva svolto, all’estero, attività di lavoro dipendente. 

Nota a AdE Risposta 3 febbraio 2021, n. 81

Francesco Palladino

L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta n. 81/2021 è tornata ad occuparsi delle cause ostative al regime forfetario, con particolare riferimento a quella recata alla lett. d-bis) del co. 57, dell’art. 1, della L. n. 190/2014.

In termini generali, il regime forfetario si connota per essere un regime fiscale particolarmente vantaggioso e semplificato a favore delle persone fisiche in cui il beneficio principale consiste in una tassazione particolarmente contenuta (il 15% di norma, ovvero il 5% in taluni casi specifici). Esso viene riconosciuto ai soggetti che rispondono a specifici requisiti, tra i quali il rispetto di una soglia massima di ricavi conseguiti o compensi percepiti nel periodo di imposta precedente, nonché il rispetto di altrettanto specifiche condizioni di accesso/permanenza al regime, oggetto di revisione nel corso degli anni.

Tra queste opera la richiamata lett. d-bis), secondo cui non possono avvalersi del regime forfetario “le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro, ad esclusione dei soggetti che iniziano  una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni”.

Un contribuente chiedeva all’Agenzia delle Entrate se potesse accedere al regime forfetario in presenza delle seguenti condizioni:

  • nell’anno 2019 aveva svolto un’attività di lavoro dipendente presso una società di diritto inglese; per tale anno il contribuente istante, nonostante avesse soggiornato all’estero per la maggior parte del periodo d’imposta, era restato formalmente iscritto nell’anagrafe della popolazione residente in Italia;
  • solo nell’anno 2020 aveva ottenuto l’iscrizione all’AIRE continuando a soggiornare abitualmente nel paese estero;
  • nell’anno 2021 avrebbe trasferito la propria residenza in Italia e avviato un rapporto di lavoro autonomo con la medesima impresa estera.

L’istante riteneva fosse possibile accedere nel regime forfetario a partire dal 2021 in quanto nei due esercizi precedenti (i.e. 2020 e 2019) egli non era fiscalmente residente in Italia. Ciò, secondo la sua prospettazione, avrebbe consentito di escludere la sussistenza di un caso di artificiosa trasformazione di un rapporto di lavoro dipendente in un rapporto di lavoro autonomo, non essendosi, infatti, configurato alcun criterio di collegamento con il territorio dello Stato dei redditi di lavoro dipendente percepiti all’estero nel due anni precedenti.

In replica a tale quesito, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di accogliere la richiesta del contribuente, chiarendo, in particolare, che la causa ostativa in parola non risulta integrata nel caso di specie poiché il contribuente risultava effettivamente residente all’estero, sia nell’anno 2019 in applicazione delle c.d. tie breaker rule di cui alla Convenzione stipulata tra l’Italia e il paese estero, sia nell’anno 2020 per l’iscrizione all’AIRE sicché, a seguito del trasferimento in Italia, la trasformazione del rapporto di lavoro da dipendente ad autonomo rappresenta un’evoluzione legittima e non artificiosa.

Di conseguenza, il contribuente istante può così applicare il regime forfetario nel 2021, ferma restando la sussistenza degli ulteriori requisiti normativi.

Regime forfetario: la residenza estera esclude un’artificiosa trasformazione di un’attività di lavoro dipendente in attività di lavoro autonomo
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