La sospensione emergenziale del potere datoriale di adottare recessi per ragioni economiche nel settore privato si estende anche ai lavoratori formalmente inquadrati come dirigenti, ciò in ragione di una lettura costituzionalmente orientata della legislazione adottata nel periodo di emergenza sanitaria.

Nota a Trib. Roma ord. 26 febbraio 2021

Gennaro Ilias Vigliotti

L’art. 46 del D.L. n. 18/2020, entrato in vigore il 17 marzo 2020, ha vietato per 60 giorni l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo ex artt. 4,5 e 24, L. n. 223/1991, la loro continuazione (se già aperte), nonché l’intimazione di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3, L. n. 604/1966.

La L. n. 27/2020, di conversione di tale decreto, ha fatto eccezione, dal 30 aprile 2020, per le ipotesi di licenziamenti prodromici alla riassunzione in forza di clausole sociali. Il successivo art. 80, D.L. n. 34/2020 ha esteso, a decorrere dal 17 maggio 2020, la portata temporale dell’art. 46 summenzionato da 60 giorni a 5 mesi. Il blocco dei licenziamenti è stato poi successivamente prorogato con ulteriori provvedimenti legislativi fino ad arrivare all’attuale termine ultimo (ma in attesa di essere ulteriormente posticipato dal Governo) del 31 marzo 2021.

Secondo una recente ordinanza del Tribunale di Roma, all’interno dello speciale rito previsto dalla L. n. 92/2012 (c.d. “Rito Fornero”), il blocco dei licenziamenti oggettivi disposto dalla normativa emergenziale appena esaminata non si applica ai soli lavoratori rientranti nel campo di applicazione soggettivo della L. n. 604/1966 – come di ricaverebbe da una interpretazione letterale della disposizione – bensì a tutti i lavoratori subordinati, inclusi dunque i dirigenti.

Sebbene questa categoria di dipendenti sia estranea alle disposizioni della normativa del 1966 (in funzione di quanto disposto dall’art. 10), secondo il giudice romano la ratio del blocco emergenziale appare essere evidentemente quella di evitare in via provvisoria che le pressoché generalizzate conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro, a prescindere dalla categoria di inquadramento del lavoratore. Si tratterebbe dunque di “una compressione temporanea della libertà/diritto fondata sull’art. 41, co.1, Cost., tendenzialmente destinata a trovare contemperamento in misure di sostegno alle imprese, ed inspirata ad un criterio di solidarietà sociale ex Cost. 2 e 4: non lasciare che il danno pandemico si scarichi sistematicamente ed automaticamente sui lavoratori”.

Tale esigenza, secondo il Tribunale, è comune anche ai dirigenti che, anzi, sarebbero più esposti a tale rischio stante la maggiore elasticità del loro regime contrattual-collettivo di preservazione dai licenziamenti arbitrari rispetto a quello posto dall’art. 3 della L. n. 604/1966. Tale circostanza porrebbe già un problema di ragionevolezza della loro esclusione in rapporto all’art. 3 Cost., problema rafforzato dal fatto che essi sono invece protetti in caso di licenziamento collettivo.

Secondo il giudice di merito, poi, l’estensione ai dirigenti deriverebbe anche dal fatto che il richiamo all’art. 3 summenzionato mirerebbe ad indentificare la natura della ragione posta a fondamento del recesso nel periodo di emergenza, e non a delimitare l’ambito soggettivo di applicazione del divieto. Se la norma avesse voluto intendere il richiamo alla L. n. 604/1966 anche con riferimento al suo campo di applicazione soggettivo, infatti, la natura eccezionale e determinante della deroga disposta sarebbe stata quantomeno indicata dal legislatore, che invece ha limitato il riferimento alla legge in questione al solo art. 3, che contiene appunto la sola definizione di giustificazione oggettiva.

Il blocco emergenziale dei licenziamenti, dunque, non incontra alcun limite soggettivo all’interno del composito quadro delle categorie legali di lavoratori, applicandosi a tutti i dipendenti subordinati, inclusi i dirigenti. In caso di licenziamento intimato in vigenza del blocco, dunque, anche questi ultimi hanno diritto alla tutela per la violazione di un divieto di recesso, ossia la tutela prevista al 1° co. dell’art. 18, L. n. 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori), la quale comporta la reintegrazione nel posto di lavoro, il pagamento di una somma risarcitoria pari alla retribuzione globale di fatto maturata medio tempore e la ricostituzione della posizione previdenziale ed assicurativa del dipendente.

Blocco dei licenziamenti “oggettivi” e dirigenti
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