Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 aprile 2021, n. 9099

Attività di conducente, Giorni e ore di riposo non goduti,
Domanda indennità sostitutiva, Definizione dei servizi “di linea”,
Personale adibito a servizi di noleggio con conducente, Norma contrattuale,
Interpretazione

Premesso

 

che R.S. ha agito in giudizio nei confronti di
A.T.M. Servizi Diversificati S.r.I., alle dipendenze della quale aveva svolto
attività di conducente, per ottenerne la condanna al pagamento della indennità
sostitutiva di giorni e ore di riposo non goduti, oltre al pagamento di somme a
titolo di indennità di trasferta e diaria;

– che il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso;

– che la Corte di appello di Milano, con sent. n.
241/2017, depositata il 13 aprile 2017, ha ritenuto infondata la domanda
relativa all’indennità sostitutiva, osservando come le fonti normative,
comunitarie e nazionali, richiamate a sostegno della stessa (Regolamento CE n. 561/2006; Direttiva 2002/15/CE; Decreto
legislativo n. 234/2007), si applicassero solo ai conducenti impiegati in
servizi non di linea, poiché solo per questi l’art. 11 del Reg. CE vietava
qualsiasi deroga che non fosse di contenuto migliorativo, anche introdotta in
sede di contrattazione fra le parti sociali, e come tale fondamentale
presupposto non avesse formato oggetto di idonea allegazione e offerta di prova
da parte del lavoratore, che ne aveva l’onere; con la conseguenza che era da
ritenersi legittimo l’Accordo sindacale di cui al Verbale di incontro in data
26/11/2010, sulla base del quale il datore di lavoro aveva regolato la
fruizione dei giorni e delle ore di riposo;

– che la Corte di appello di Milano, in parziale
riforma della decisione di primo grado, ha invece ritenuto fondato il diritto
del S. all’indennità di trasferta e alla diaria, avuto riguardo alle previsioni
di cui agli artt. 20 e 21 del
C.C.N.L. di settore;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il lavoratore, affidandosi a due motivi;

– che la società A.T.M. Servizi Diversificati S.r.l.
ha resistito con controricorso, con cui ha svolto ricorso incidentale, con tre
motivi, cui il lavoratore ha resistito con controricorso;

– che entrambe le parti hanno depositato memoria
illustrativa;

 

rilevato

 

che con il primo motivo del ricorso principale viene
dedotta dal ricorrente la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2,
I. Reg. Lombardia n. 6/2012, dal quale la Corte di appello aveva tratto la
definizione dei servizi “di linea”, valorizzando, tra i vari elementi
costitutivi di essa, la natura “indifferenziata” dell’offerta, e cioè
di un’offerta indirizzata “ad una collettività indeterminata e
indeterminabile di utenti”, diversamente, e cioè in caso di offerta
rivolta “ad utenti predeterminati o individuabili”, potendosi
classificare il servizio “come non di linea”; e si afferma che, per
quanto i presupposti ermeneutici enucleati dalla Corte fossero validi e
astrattamente condivisibili, essi, tuttavia, erano stati erroneamente applicati
al caso concreto, così da rendere la motivazione contraddittoria e
manifestamente illogica;

– che con il secondo motivo viene dedotta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
cod. civ. e 115 cod. proc. civ. per avere
la Corte ritenuto non assolto l’onere della prova a carico del ricorrente,
erroneamente negando ingresso alle prove testimoniali e non tenendo conto che
talune circostanze dedotte erano state ammesse dalla resistente;

– che a mezzo del ricorso incidentale della società
viene dedotta: – con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 345 e 348
bis cod. proc. civ. per avere la Corte erroneamente escluso che fosse stata
introdotta dall’appellante, con il ricorso di secondo grado, alcuna domanda
nuova rispetto al contenuto del processo di primo grado;

– con il secondo e con il terzo, la falsa o erronea
applicazione rispettivamente dell’art.
20 e dell’art. 21 C.C.N.L. Autoferrotranvieri, unitamente, in entrambi i
motivi, alla falsa o erronea applicazione del Verbale di incontro sindacale del
26 novembre 2010;

 

osservato

 

che il primo motivo del ricorso principale deve
essere respinto;

– che in esso, da un lato, non si indicano precise e
specifiche ragioni che renderebbero erronea l’interpretazione data dal giudice
di appello alla norma di cui all’art. 2, comma 2, I. Reg. Lombardia n. 6/2012
e, in particolare, al criterio distintivo (tra servizi “di linea” e
“non di linea”) che vi è contenuto, prestandosi anzi dal ricorrente
esplicita adesione ai presupposti di tale operazione ermeneutica, come
enucleati dalla Corte di appello: e ciò a fronte di un percorso argomentativo
che, nello stabilire la preminenza dell’elemento della natura dell’offerta, non
per questo ha trascurato di esaminare gli altri parametri offerti dalla norma
(itinerari, orari, frequenze e altre condizioni predeterminate), osservando
come essi, di per sé considerati, non costituissero “da soli, elementi
atti a distinguere un tipo di servizio dall’altro” e “unitamente,
invece, all’offerta, differenziata o indifferenziata” riconducessero
“l’attività ad una delle due tipologie” (cfr. sentenza impugnata,
pag. 7);

dall’altro, il motivo si volge, in taluni punti, ad
una critica delle valutazioni compiute dalla Corte di appello relativamente
alle allegazioni in fatto del lavoratore e alla loro inidoneità a fornire
elementi specifici e concreti che potessero riportare i servizi svolti
nell’area di quelli definibili come “non di linea”, valutazioni che
peraltro integrano un accertamento di fatto rimesso al giudice di merito e non
sindacabile in sede di legittimità, ove sorretto – come nella specie (cfr.
sentenza, pagg. 8-9) – da adeguata e congrua motivazione;

– che parimenti non può trovare accoglimento il
secondo motivo del ricorso principale;

– che deve al riguardo ribadirsi il principio, per
il quale “La violazione del precetto di cui all’art.
2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., è
configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere
della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole
di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la
valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti
(sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti
del “nuovo” art. 360 n. 5 cod. proc. civ.)”:
Cass. n. 13395/2018; conformi, fra le molte: Cass. n. 15107/2013; n.
18092/2020;

– che deve inoltre ribadirsi il principio, per il
quale “La violazione dell’art. 115 cod. proc.
civ. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento
all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma
solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere
discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di
valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la
decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza;
ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente
ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass. n. 4699/2018; conf. n.
20382/2016);

– che il primo motivo del ricorso incidentale è
infondato, posto che si ha domanda nuova, inammissibile in appello, qualora
venga fatta valere una pretesa che, basandosi su un titolo diverso da quello
inizialmente dedotto in giudizio ed aggiungendo presupposti di fatto nuovi o
mutando quelli già esposti nella domanda di primo grado, ne alteri
obiettivamente la natura ed il fondamento, così che pur restando immutato il
petitum, si introduca una situazione di fatto diversa da quella prospettata
precedentemente e tale da aprire un nuovo tema di indagini; mentre, nella
specie, quelli che il lavoratore avrebbe introdotto in grado di appello, sono
meri “argomenti” nuovi, per ammissione medesima della ricorrente, né
risulta comunque dimostrata l’alterazione della domanda originaria che, con
tali “argomenti”, si sarebbe prodotta;

– che il secondo e il terzo motivo sono
inammissibili: il secondo (relativo all’indennità di trasferta) muove, infatti,
dal rilievo che, ai sensi del Verbale di incontro sindacale del 26 novembre
2010, al “personale adibito a servizi di noleggio con conducente”
compete il rimborso a piè di lista, vale a dire un trattamento migliorativo
rispetto alle previsioni del C.C.N.L., ma non si confronta con la motivazione
sul punto della sentenza impugnata, la quale ha accertato e posto in evidenza
come il S. non svolgesse tale attività, così che il rilievo era da ritenersi
inconferente; il terzo (relativo alla diaria) egualmente non si confronta con
la motivazione della sentenza, là dove la Corte territoriale ha considerato
“evidente” che tale voce non competesse unicamente al personale di macchina
e dei treni, nonché a quello navigante, secondo quanto prospettato dalla
società, e ciò alla stregua del comma 2° dell’art. 21 C.C.N.L. di settore e di
una interpretazione della norma collettiva pianamente desumibile dalla stessa
sua formulazione letterale;

 

ritenuto

 

conclusivamente che entrambi i ricorsi, principale e
incidentale, devono essere respinti;

– che ne consegue, con la reciproca soccombenza,
l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio

 

P.Q.M.

 

respinge il ricorso principale; respinge altresì il
ricorso incidentale; spese compensate.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis
dello stesso articolo 13, se
dovuto.

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