Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 aprile 2021, n. 9116

Lavoro, Stabilizzazione del rapporto di lavoro in ragione dei
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, Diritto, Accertamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Bari ha riformato
parzialmente la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva rigettato tutte le
domande proposte nei confronti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Puglia e della Basilicata da Michela L.C., la quale aveva domandato
l’accertamento del diritto alla stabilizzazione del rapporto di lavoro in
ragione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi
con l’istituto nell’arco temporale 1° marzo 2002/31 dicembre 2006 e la condanna
dell’amministrazione al risarcimento del danno da commisurare alle retribuzioni
non percepite.

2. La Corte territoriale ha ritenuto fondata la
prima domanda e, rilevata la specialità della normativa dettata per gli
Istituti Zooprofilattici dalla legge n. 296/2006,
ha evidenziato che il legislatore, nel consentire al comma 566 la stabilizzazione
«del personale precario», ha significativamente utilizzato termini diversi da
quelli cui al comma 519, che
limita la possibilità di stabilizzazione al «personale non dirigenziale in
servizio a tempo determinato», e ciò ha fatto evidentemente al fine di
ricomprendere nelle procedure anche coloro che avevano maturato nel settore
un’esperienza significativa anche sulla base di contratti di lavoro autonomo.

3. Il giudice d’appello, peraltro, ha escluso che
potesse trovare accoglimento la domanda risarcitoria ed ha evidenziato che il
diritto alla stabilizzazione altro non è se non il diritto a partecipare alle
procedure disciplinate dalla legge n. 296/2006,
perché l’assunzione richiede ulteriori condizioni ed in particolare il rispetto
delle previsioni della dotazione organica e dei limiti di spesa, in assenza
delle quali non si può «postulare la certezza dell’assunzione ai fini del
risarcimento del danno».

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso M.L.C. sulla base di un unico motivo, al quale l’Istituto non ha
opposto difese, rimanendo intimato.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso denuncia, ex art. 360 nn. 4 e 5 cod. proc. civ., «nullità
parziale della sentenza per mancato esame di atti decisivi e per difetto di
pronuncia sulla specifica domanda ex art. 112
c.p.c.; omesso esame circa fatti e documenti decisivi della controversia» e
addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di non avere pronunciato
sull’invocata disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi adottati
dall’Istituto e di non avere correttamente interpretato la domanda, con la
quale la ricorrente aveva sostanzialmente dedotto di essere stata esclusa dalla
procedura attivata dall’ente e di avere diritto a partecipare alla procedura
stessa.

Aggiunge che una volta riconosciuto il diritto alla
stabilizzazione non poteva il giudice d’appello respingere la domanda
risarcitoria, perché tutti coloro che erano stati ammessi alla procedura erano
stati poi assunti con contratti a tempo indeterminato.

2. Deve essere dichiarata l’inammissibilità del
ricorso, perché formulato senza il necessario rispetto dell’onere di specifica
indicazione imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc.
civ.

Occorre premettere che il principio secondo cui
l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad
un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione
quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio
riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e
il pronunciato o a quello del tantum devolutum quantum appellatum, trattandosi
in tal caso della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte
di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed
all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e
deduzioni delle parti ( cfr. fra le tante Cass. n. 11103/2020; Cass. n.
25259/2017; Cass. n. 21421/2014).

Si è, però, aggiunto e precisato che l’esercizio di
detto potere è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di
procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione
ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U.
n. 8077/2012).

La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di
indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato
e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il
rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di
Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in
condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere
solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca ( cfr. fra le
più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019).

Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a
trascrivere nel ricorso le conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di
primo grado che, da sole, non consentono di individuare la domanda proposta,
perché l’individuazione del petitum va compiuta attraverso l’esame complessivo
dell’atto, avendo riguardo, quindi, anche alla parte espositiva che sorregge le
conclusioni (Cass. n. 26470/2016; Cass. n. 11631/2018). Il principio a maggior
ragione opera nella fattispecie, nella quale l’omessa pronuncia è dedotta in
relazione alla richiesta di disapplicazione formulata nelle conclusioni,
giacché quest’ultima non può costituire oggetto di un’autonoma domanda, essendo
solo lo strumento attraverso il quale viene assicurata tutela al diritto
soggettivo dedotto in giudizio sul quale incide l’atto amministrativo
asseritamene illegittimo.

Si aggiunga che manca nel ricorso qualsiasi
indicazione della sede processuale nella quale l’atto è rintracciabile e tale
mancata “localizzazione” basterebbe da sola a sorreggere la pronuncia
di inammissibilità, anche a prescindere dalla completezza o meno della
riproduzione ( Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 28184/2020).

2.1. Parimenti inammissibile è la censura con la
quale, attraverso la denuncia del vizio di cui all’art.
360 n. 5 cod. proc. civ., si addebita alla Corte territoriale di avere
ritenuto non provato il danno sebbene dalla documentazione prodotta emergesse
che tutti coloro ai quali era stata consentita la partecipazione alla procedura
di stabilizzazione erano stati assunti dall’ente.

Con la recente sentenza
n. 34476/2019 le Sezioni Unite di questa Corte hanno riassunto i principi,
ormai consolidati, affermati a seguito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ad opera del d.l. n. 83/2012 e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n.
33679/2018, hanno evidenziato che: il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto
nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori
non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle
prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante
ai sensi della predetta norma.

La censura formulata nel ricorso esula dai limiti
fissati dal riformulato art. 360 n. 5 cod. proc.
civ. perché addebita alla Corte non l’omesso esame di un “fatto”,
bensì la mancata valorizzazione di documenti che avrebbero consentito, ove
esaminati, di ritenere provato il nesso causale fra l’inadempimento ed il pregiudizio
del quale si chiedeva il ristoro.

Il motivo, quindi, finisce per sollecitare un
giudizio di merito, non consentito al giudice di legittimità.

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato
inammissibile. Poiché l’Istituto Zooprofilattico della Puglia è rimasto
intimato, non occorre provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. Ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L.
24.12.12 n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da
Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste
dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla
ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 aprile 2021, n. 9116
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: