Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2021, n. 9231

Intermediazione vietata di manodopera, Genuinità della
prestazione oggetto di appalto, Accertamento dell’esercizio dei poteri
disciplinari e direttivi, Appalto di opere o servizi espletato con mere
prestazioni di manodopera, Liceità, Requisito della organizzazione dei mezzi
necessari da parte dell’appaltatore, costituente un servizio in sé,
Svolgimento con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, Mero
coordinamento dell’appaltante

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza non definitiva n. 2204 del 2014 la
Corte di appello di Lecce, in riforma della pronuncia del Tribunale della
stessa sede n. 7160 del 2012, ha accertato che tra P.B. e la F. spa era
intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 7.10.2004 al 31.3.2009, con
inquadramento nell’area terza e nel livello G sino al 7.10.2007 e dall’ottobre
2007 in avanti nel livello G parametro retributivo G1; ha condannato, inoltre,
la società ad iscrivere il B. nei propri libri paga e matricola dal 7.10.2004
in poi e a riammetterlo in servizio per lo svolgimento di attività confacenti
il livello di inquadramento come sopra specificato.

2. Con successiva sentenza n. 1385 del 2016 la Corte
ha, altresì, quantificato e condannato la F. spa al pagamento, in favore del
lavoratore, della somma di euro 63.759,84 a titolo di differenze retributive
lorde, oltre accessori e spese di giudizio.

3. A sostegno delle decisioni i giudici di seconde
cure hanno rilevato la violazione dell’art. 29 del D.Igs. n. 276 del 2003
perché P.B., pur essendo dipendente della Coop. srl “Servizi Riuniti”
associata al Consorzio Nazionale tra le Cooperative Portabagagli della R.F.I. a
r.I., appaltatrice quest’ultima dei servizi commissionati dalle Ferrovie dello
Stato a F. spa, in realtà, dall’1.10.2004 al 31.3.2009 quale addetto a
prestazioni di portineria, reception, pulizia ambienti e piccola manutenzione
presso il F. di Lecce, struttura alberghiera destinata all’accoglienza del
personale di FFSS ed altri enti convenzionati, era stato oggetto di una
intermediazione vietata di manodopera essendo eterodiretto da F. spa nelle sue
prestazioni lavorative.

4. Avverso entrambe le sentenze la società ha
proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo articolato motivo di
gravame, illustrato con memoria, cui ha resistito con controricorso P.B..

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. Con l’unico motivo la ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 29 del D.Igs. n. 276 del 2003 e
di ogni altra norma e principio in materia di appalto fraudolento o di
illegittima interposizione di manodopera, nonché la violazione dell’art. 2697 cc e di ogni altra norma e principio in
materia di onere della prova.

2. Dopo avere richiamato alcuni precedenti
giurisprudenziali di legittimità e di merito, la società deduce che: a)
erroneamente la Corte di appello di Lecce aveva incentrato la propria indagine,
onde verificare la genuinità della prestazione oggetto di appalto,
sull’appaltatore e non sul committente allo scopo di accertare se questi avesse
esercitato i propri poteri disciplinari e direttivi, determinando -in caso
contrario- una sostanziale inversione dell’onere della prova; b) la Corte di
merito, premesso di aver riconosciuto che il contenuto della prestazione
lavorative del B. era aderente al contenuto dei contratti di appalto,
erroneamente poi aveva interpretato le risultanze testimoniali in ordine al
potere direttivo e disciplinare sul dipendente, ritenendo irrilevanti elementi
quali la disposta assegnazione da parte della Cooperativa, al termine dell’appalto,
ad altre mansioni; la limitazione del giudizio di illiceità alle sole mansioni
e non a tutto il rapporto; la mancata indicazione dei dipendenti di F. che
impartivano gli ordini; la circostanza che era la Cooperativa, e non F. spa, a
fornire al B. il materiale di uso e di corredo del F.;

il fatto che F. spa si limitava ad “inserire in
turno” la Cooperativa che avrebbe dovuto disporre degli spazi lasciati in
bianco nella compilazione dei turni; c) erroneamente la Corte territoriale
aveva ritenuto che il potere direttivo datoriale non dovesse consistere in atti
provenienti dall’asserito datore di lavoro, ma in semplici doglianze di terzi,
così confondendo tra “eterodirezione”, controllo della prestazione e
doglianze dei terzi (nella specie macchinisti di Ferrovie dello Stato) circa
l’esecuzione della prestazione appaltata.

3. Preliminarmente occorre evidenziare che il vizio
di violazione di legge presuppone, in una ipotesi di non controvertibilità dei
fatti storici processualmente acquisiti, la specificazione delle affermazioni
di diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione
delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente
dottrina (Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

4. Ciò premesso, le censure di cui al motivo non
sono meritevoli di accoglimento in quanto non formulate nell’osservanza dei
suindicati principi, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile,
in questa sede, riesame delle circostanze di causa, ampiamente esaminate dalla
Corte di merito, che ha congruamente ritenuto, con un accertamento in fatto
motivato sia con riguardo alla utilizzazione dei mezzi che alla organizzazione
dell’attività lavorativa che al rischio imprenditoriale, un appalto non genuino
ex art. 29 D.Igs. n. 276 del 2003.

5. Ai sensi dell’art. 29 del D.Igs. n. 276 del 2003,
infatti, l’appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di
manodopera è lecito purché il requisito della “organizzazione dei mezzi
necessari da parte dell’appaltatore”, costituisca un servizio in sé,
svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore, senza che
l’appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del
prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti
dell’appaltatore (Cass. n. 15557 del 2019) ed
è ravvisabile, di contro, una interposizione illecita di manodopera nel caso in
cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale
committente, restando irrilevante che manchi in capo a quest’ultimo l’intuitus
personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di
somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi
l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a
disposizione del reale datore di lavoro (Cass. n. 12551 del 2020).

6. La Corte territoriale, facendo corretta
applicazione di tali orientamenti giurisprudenziali, ha accertato -come sopra
precisato con una indagine di fatto svolta sulla base delle risultanze
istruttorie specificamente indicate nel provvedimento e adeguatamente motivata-
che la gestione del servizio presso il F. di Lecce non fu rimessa integralmente
all’appaltatrice o alla sua cooperativa consociata, ma fu gestita dal personale
di F., la quale non aveva prodotto alcun verbale di pianificazione delle
attività appaltate, né aveva documentato, per ben cinque anni, un solo
controllo di qualità con le modalità di cui al punto VIII del capitolato e
dagli artt. 5 del contratti del 2002 e del 2006. Ha, infine, precisato che il
B., senza informare l’appaltatrice e senza essere sottoposto ad alcun controllo
da parte di questa, eseguiva interventi di piccola manutenzione sempre su
disposizione dei dipendenti della F., con i quali si scambiava altresì di turno
e da cui veniva anche rimproverato e sottoposto a reclami gerarchici in caso di
non perfetta esecuzione della prestazione di pulizia dei locali che costituiva,
peraltro, l’obbligo specifico dell’attività appaltata. In conclusione, la Corte
di merito ha affermato che il B. era una monade sganciata dal contesto di
appartenenza lavorativa, sottratta ad ogni controllo di efficienza e da ogni
iniziativa disciplinare da parte della Cooperativa, che aveva praticamente
abdicato ogni controllo sul lavoratore in favore dei dipendenti della
committente.

7. A fronte di tale accertamento di fatto, le
censure mosse alla gravata sentenza si risolvono, quindi, solo in una
rivisitazione del merito della vicenda accuratamente esaminata dai giudici di
secondo grado che si sono attenuti, come detto, ai principi di diritto
affermati dalla giurisprudenza di legittimità e non hanno, altresì, violato il
precetto dell’art. 2697 cod. civ., che si
configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere
della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole
dettate da quella norma (Cass. 5.9.2006 n. 19064; Cass. 10.2.2006 n. 2935):
ipotesi questa non ravvisabile nel caso in esame.

8. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

9. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano
come da dispositivo.

10. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con
distrazione in favore del Procuratore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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