Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2021, n. 9313

Personale degli enti pubblici non economici, lllegittimità
del licenziamento, Reintegrazione nel posto di lavoro, Principio di
tempestività ed immediatezza della contestazione disciplinare, Attesa
dell’esercizio dell’azione penale nei confronti del dipendente, Compimento dei
necessari approfondimenti istruttori da parte del datore di lavoro, Disciplina
di cui alla Raccolta coordinata delle norme in materia disciplinare per l’INPS

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Bari, pronunciando
sull’impugnazione dell’INPS nei confronti di A.F., confermava la decisione del
Tribunale di Foggia che aveva accolto la domanda del F. e dichiarato
l’illegittimità del licenziamento intimatogli con determinazione del
16.08.2006, disposto, come già nella fase cautelare, la sua reintegrazione nel
posto di lavoro, nella sede e nelle funzioni precedentemente espletate, con
condanna dell’Istituto al pagamento, in favore del ricorrente, delle
retribuzioni allo stesso dovute dal giorno del licenziamento fino a quello
dell’effettiva reintegrazione, con gli interessi legali e la rivalutazione
monetaria dalle singole scadenze al saldo.

2. Riteneva la Corte territoriale, condividendo le
argomentazioni già esposte dal giudice di prime cure, che l’istituto appellante
avesse senz’altro violato il principio di tempestività ed immediatezza della
contestazione disciplinare.

2.1. In particolare sosteneva che, a prescindere
dalla questione relativa alla natura perentoria ovvero meramente sollecitatoria
dei termini del procedimento disciplinare, non potesse essere condivisa la tesi
difensiva dell’INPS nella parte in cui aveva prospettato come legittima
l’attesa dell’esercizio dell’azione penale nei confronti del dipendente (avvenuta
con la richiesta di rinvio a giudizio del 16.10.2000) ai fini
dell’instaurazione del procedimento disciplinare (iniziato a suo carico a mezzo
della contestazione disciplinare del 7.11.2000), in quanto l’informazione di
garanzia emessa dalla Procura presso il Tribunale di Foggia già in data
31.03.98 e trasmessa all’I.N.P.S. il 18.05.98 era già caratterizzata da un
contenuto affatto puntuale in merito all’illecito addebitato al lavoratore, al
nominativo della persona offesa ed alle circostanze spazio-temporali in cui il
fatto di reato sarebbe stato commesso dal F., sì da consentire al datore di
lavoro il compimento dei necessari approfondimenti istruttori e di pervenire ad
autonome valutazioni in sede disciplinare.

Riteneva che il tenore letterale dell’art. 6, comma
4, della Raccolta Coordinata delle norme in materia disciplinare dell’INPS non
lasciasse spazio a dubbi in merito all’obbligo, posto a carico dell’I.N.P.S.,
di attivare il procedimento disciplinare a carico del lavoratore anche quando
per i medesimi fatti fosse pendente un procedimento penale.

Riteneva, inoltre, che il riferimento al
procedimento penale non postulasse necessariamente l’esercizio dell’azione
penale ma contemplasse anche la fase preventiva delle indagini e richiamava a
sostegno di tale interpretazione il precedente di questa Corte n. 20813 del 14
ottobre 2016.

Rilevava che dall’informazione di garanzia si
evincessero tutti gli elementi utili ai fini del tempestivo esercizio
dell’azione disciplinare, ovverosia l’identità soggettiva degli autori del
fatto illecito, le modalità esecutive, il contenuto e le finalità della
condotta incriminata, il nominativo della persona indotta a promettere denaro
per il conseguimento della pensione d’invalidità, nonché la data ed il luogo di
commissione dell’illecito cosicché l’I.N.P.S. avrebbe dovuto avviare il
procedimento disciplinare già dal momento in cui aveva ricevuto comunicazione
della predetta informazione di garanzia.

2.2. Per mera completezza argomentativa la Corte
territoriale dava atto della fondatezza anche dell’ulteriore doglianza di
illegittimità sollevata dal F. fin dal primo grado del giudizio e dallo stesso
ribadita in sede di gravame, scaturita dalla sua omessa audizione a difesa nel
corso del procedimento disciplinare prodromico all’irrogazione del
licenziamento.

Evidenziava, al riguardo, che rispetto alla
previsione di cui all’art. 7
dello St. Lav. ed alla richiesta del lavoratore di essere “sentito a
difesa” nel termine previsto dallo stesso art. 7, comma 5, ed al
conseguente obbligo del datore di lavoro della sua “audizione”, le disposizioni
contenute nella Raccolta Coordinata delle norme in materia disciplinare
dell’I.N.P.S. del 1995, applicabili ratione temporis alla presente fattispecie,
dettassero una regolamentazione del procedimento disciplinare ancor più
garantista nei confronti del lavoratore, prevedendo, all’art. 4, che l’audizione del
dipendente dovesse essere comunicata “contestualmente all’invio della nota
delle contestazioni”, ovverosia a prescindere dall’espressa richiesta formulata
dal lavoratore.

Rilevava che, nella specie, vi era stata una prima
istanza di differimento dell’audizione per un impedimento a comparire del F.
per motivi di salute e che, fissata dall’INPS una seconda data per tale
audizione, era stato rappresentato altro impedimento a comparire, sempre per
motivi di salute, chiedendosi un ulteriore differimento.

Tale seconda istanza, però, era stata respinta.

Riteneva che il comportamento dell’Istituto (il
quale non aveva mosso alcuna contestazione in ordine alla serietà ed alla
veridicità dell’impedimento allegato dalla controparte) integrasse altro
profilo di illegittimità dell’adottato provvedimento espulsivo.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso l’INPS sulla base di due motivi.

4. A.F. ha resistito con controricorso
successivamente illustrato da memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo l’INPS denuncia violazione o
falsa applicazione degli artt. 3 e 6 della Raccolta coordinata in materia
disciplinare dell’INPS approvato con deliberazione adottata dal Consiglio di
Amministrazione in data 27/7/1995 con riferimento agli artt. 1362 e ss., violazione e falsa applicazione
dell’art. 59 del d.lgs. n. 29
del 1993, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970
(art. 360, n. 3, cod. proc. civ.).

Dopo aver riaffermato “per mero scrupolo difensivo”
la natura meramente ordinatoria del termine di cui all’art. 3 della Raccolta,
censura la sentenza impugnata laddove, pur prescindendo dalla natura perentoria
o sollecitatoria del predetto termine, ha male interpretato la normativa
legislativa e contrattuale ritenendo che il momento in cui l’INPS aveva avuto
piena conoscenza del fatto richiesto dalla normativa per l’avvio del
procedimento disciplinare coincidesse con la data del 18/5/1998 di
comunicazione dell’avviso di garanzia.

Sostiene che la piena conoscenza del fatto
addebitato al F. non potesse essere dedotta da notizie indiziarie contenute
nell’avviso di garanzia.

Assume che la mera notizia criminis, in difetto di
elementi idonei a prospettare per il datore di lavoro una irrimediabile lesione
dell’elemento fiduciario, era di per sé insufficiente a sostenere una
contestazione disciplinare.

2. Con il secondo motivo l’INPS denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970,
dell’art. 4 della Raccolta coordinata delle norme in materia disciplinare
dell’INPS del 1995 in relazione all’art. 1362 e ss.
cod. civ.

Assume che la Corte territoriale avrebbe errato nel
ritenere violate le norme sull’audizione a difesa del F. laddove era stato
quest’ultimo a formulare una prima istanza di differimento, allegando un
impedimento a comparire per motivi di salute, e successivamente una richiesta
di rinvio, evenienze, queste, che non interrompendo i termini per la
conclusione del procedimento disciplinare avevano legittimato l’Istituto a
procedere.

3. Il ricorso, nei due motivi in cui è formulato, è
fondato le ragioni di seguito evidenziate.

4. La prima questione devoluta a questa Corte di
legittimità è se l’informazione di garanzia emessa dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Foggia in data 31/3/1998 e trasmessa dal
Direttore della Sede di Foggia alla Direzione Centrale Risorse Umane dell’INPS
il 18/5/1998 fosse atto idoneo a far decorrere i termini per l’esercizio
dell’azione disciplinare.

4.1. La vicenda in questione ricade temporalmente,
come è pacifico tra le parti, nell’ambito della disciplina di cui alla Raccolta
coordinata delle norme in materia disciplinare per l’INPS, approvata con
deliberazione consiliare del 27 luglio 1995 n. 1013. Tale Raccolta prevede
all’art. 6, comma 4 che: “Il procedimento disciplinare deve essere avviato
– ai sensi dell’art. 3 – anche nel caso in cui sia connesso con procedimento
penale e rimane sospeso fino alla sentenza definitiva” ed all’art. 3,
comma 2 fissa il termine di 20 giorni per provvedere ad opera dell’ufficio
istruttore alla contestazione degli addebiti.

4.2. Si tratta di disposizioni che ricalcano le
previsioni del c.c.n.I. del Comparto enti pubblici non economici quadriennio
normativo 1994 – 1997 biennio economico 1994 – 1995 che all’art. 28, comma 8, prevede che:
“Il procedimento disciplinare deve essere avviato, ai sensi dell’art. 27, comma 2, anche nel
caso in cui sia connesso con procedimento penale e rimane sospeso fino alla
sentenza definitiva […]” e all’art. 27, comma 2, stabilisce
che: “2. L’amministrazione, fatta eccezione per il rimprovero verbale, non
può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del dipendente, se
non previa contestazione scritta dell’addebito, da effettuarsi tempestivamente
e, comunque, non oltre 20 giorni da quando l’ufficio istruttore individuato
secondo l’ordinamento dell’amministrazione è venuto a conoscenza del fatto e
senza aver sentito il dipendente a sua difesa con l’eventuale assistenza di un
procuratore ovvero di un rappresentante dell’associazione sindacale cui egli
aderisce o conferisce mandato”.

4.3. Si osserva, innanzitutto, che, come affermato
da questa Corte, anche in vicende riguardanti il medesimo ente, il termine di
20 giorni previsto dall’art. 27
del c.c.n.I. Comparto Enti Pubblici non Economici 6 luglio 1995 non è
perentorio (v. Cass. 17 settembre 2008, n. 23472; Cass. 2 ottobre 2007, n.
20654; Cass. 13 aprile 2005, n. 7601). Ed
infatti con riferimento alla suddetta previgente disciplina è stato ritenuto
che la natura dei termini contrattualmente previsti per lo svolgimento del
procedimento disciplinare deve essere definita con riguardo allo scopo che essi
perseguono nel procedimento, nella prospettiva di un’inderogabile garanzia
della necessaria legittimità di tutto il relativo procedimento, con la
conseguenza che il carattere della perentorietà non è generalmente rinvenibile
in tutti i termini volti a cadenzarne l’andamento (quali quello per la
segnalazione d’ufficio, per la contestazione degli addebiti e la relativa
comunicazione all’interessato), ma deve essere riconosciuto solo a quello
stabilito per la sua conclusione. Ciò, naturalmente fino a quando, poi, la
stessa contrattazione collettiva ha qualificato espressamente come perentorio
anche il termine iniziale per la contestazione, conclusione poi confermata
dall’art. 55-bis, comma 9, del
d.lgs. n. 165 del 2001, novellato dal d.lgs.
n. 75 del 2017.

4.4. Invero, nella specie, la Corte territoriale ha
osservato come la contestazione abbia violato i principi di tempestività e
immediatezza (ciò, dunque anche a prescindere dal mancato rispetto
dell’indicato termine di venti giorni).

Ed in effetti le disposizioni sopra indicate, se non
mirano a vincolare l’Amministrazione all’osservanza di un termine rigido, il
cui decorso comporti la decadenza del potere disciplinare, indicano una regola
di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in
relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti
preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell’iter procedurale.

Si vuole, con ogni evidenza, salvaguardare la
certezza del rapporto tra l’impiegato e l’Amministrazione, la quale verrebbe
inficiata (anche per i profili consequenziali inerenti allo sviluppo di
carriera ed alle relative valutazioni periodiche) ove il dipendente restasse
esposto, sine die, per ingiustificata inerzia dell’Amministrazione stessa, alla
possibile attribuzione di rilevanza disciplinare a determinati suoi comportamenti.

4.5. Orbene il ragionamento della Corte territoriale
è basato sull’avvenuta conoscenza da parte dell’INPS già con l’informazione di
garanzia di una completa notizia del fatto illecito oggetto del procedimento
penale.

E’ vero che questa Corte ha affermato,
pronunciandosi in tema di rapporti tra procedimento disciplinare e processo
penale e con riferimento alla sospensione facoltativa del procedimento
disciplinare anche nella fase delle indagini preliminari che con il termine
“procedimento penale” si intende l’insieme degli atti e delle attività, tra
loro funzionalmente collegate per l’accertamento di una notitia criminis ed il
conseguente giudizio. Il procedimento penale (visti gli artt. 330 e ss. cod. proc. pen. e in specie gli artt. 335 e 358 cod.
proc. pen.) comprende, quindi, sia la fase preprocessuale (che inizia con
la trasmissione della notitia criminis e l’iscrizione nel registro degli
indagati ed è costituita dalle indagini preliminari), sia l’eventuale fase
processuale, che si apre solo con l’esercizio dell’azione penale al momento
della formulazione del capo di imputazione (v. Cass. 14 ottobre 2016, n. 20813;
Cass. 26 agosto 2016, n. 17373).

Tuttavia, oltre ad evidenziarsi il diverso ambito in
cui tale principio è stato espresso (essendosi, nel complesso, inteso evitare
un conflitto tra provvedimento datoriale assunto in sede disciplinare e la
sentenza emessa in sede penale e non certo individuare un dies a quo per
l’esercizio dell’azione disciplinare), non può non sottolinearsi che ai fini di
una contestazione disciplinare (perché è della tempestività di questa che si
discute) è necessaria una notizia “circostanziata” dell’illecito ovvero una
conoscenza certa, da parte dei titolari dell’azione disciplinare, di tutti gli
elementi costitutivi dello stesso.

4.6. È stato, infatti, ritenuto che, in tema di
procedimento disciplinare, ai fini della decorrenza del termine per la
contestazione dell’addebito, assume rilievo esclusivamente il momento in cui
l’ufficio competente abbia acquisito una “notizia di infrazione” di contenuto
tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio al
procedimento mediante la contestazione, la quale può essere ritenuta tardiva
solo qualora la P.A. rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in
possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non
può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta
la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere
preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito
(v. Cass. 14 dicembre 2018, n. 32491; Cass. 27
agosto 2018, n. 21193; Cass. 25 giugno 2018, n. 16706; Cass. 20 marzo 2017, n. 7134).

4.7. Orbene le suddette caratteristiche non possono
essere rinvenute esclusivamente nel contenuto, per quanto puntuale di una
informazione di garanzia che, a termini dell’art.
369 cod. proc. pen., è atto che viene inviato dal pubblico ministero
all’indagato quando deve essere compiuta una qualche attività cui il difensore
ha diritto di assistere.

Si tratta, come è noto, di un atto che garantisce
alla persona cui viene spedito la possibilità di essere assistita da un proprio
difensore di fiducia con contestuale invito a esercitare la relativa facoltà.

Tale informazione di garanzia riporta, certo, le
norme che si intendono violate, la data e il luogo di tali violazioni ed anche
le generalità della parte offesa/denunciante (integrando le modalità esecutive,
il contenuto e le finalità della condotta gli elementi minimi essenziali delle
stesse ipotesi di reato indicate), tuttavia si tratta di un atto che prelude ad
una attività successiva di indagine e, come nel caso di specie, non ne
presuppone alcuna già svolta, diversa dall’acquisizione della notitia criminis
attraverso la denuncia.

In sostanza se si rinvenissero nel menzionato atto
quelle caratteristiche di compiutezza tali da comportare la formulazione di una
contestazione disciplinare senza bisogno di altra attività di indagine (penale
ovvero disciplinare), tale contestazione verrebbe a dipendere solo dalla
denuncia di un determinato soggetto, in assenza del benché minimo riscontro in
termini quantomeno di fumus di fondatezza della stessa.

D’altra parte, con la contestazione disciplinare il
dipendente deve essere posto in grado di esercitare pienamente il diritto di
difesa ed è evidente che la semplice denuncia non (ancora) supportata da altri
elementi istruttori non è tale da consentire una completa ed autonoma
valutazione in sede disciplinare né può consentire allo stesso incolpato un
completo ed effettivo esercizio del diritto di difesa.

4.8. Non era perciò nel momento della ricezione da
parte dell’UPD di tale informazione di garanzia che poteva essere individuato
il dies a quo per la valutazione della tempestività dell’azione disciplinare.

5. Quanto, poi, alla questione della mancata
audizione del F., va ricordato che questa Corte ha già affermato che il
lavoratore raggiunto da contestazione disciplinare ha diritto, qualora ne abbia
fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia,
ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore per
una certa data, questi non ha diritto ad un differimento dell’incontro laddove
si limiti ad addurre una impossibilità di presenziare, poiché l’obbligo di
accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad
un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (Cass.
2 marzo 2017, n. 5314; Cass. 11 luglio 2016, n. 14106; Cass. 7 maggio 2015, n. 9223; Cass. 16 ottobre 2013, n. 23528; Cass. 31 marzo 2011, n. 7493). La convocazione è,
infatti, evidentemente strumentale all’audizione a difesa e nessuna norma della
negoziazione collettiva, né l’art.
7 della legge n. 300/1970 ovvero (laddove e nel testo ratione temporis
applicabile) l’art. 55 del
d.lgs. n. 165 del 2001, prevede che, qualora il datore, a seguito di tale
richiesta, abbia convocato il lavoratore per una certa data, questi abbia un
incondizionato diritto al differimento dell’incontro.

5.1. È stato, in particolare, affermato da questa
Corte (Cass. 7 giugno 2019, 15515; Cass. 22 agosto 2016, n. 17245), tanto in ambito
di lavoro privato quanto in ambito di lavoro pubblico privatizzato, che la
sanzione della illegittimità del licenziamento in caso di violazione del
termine posto per le difese del lavoratore viene sempre collegata alla
deduzione di un pregiudizio subito nell’articolazione delle giustificazioni da
fornire al datore di lavoro. Il pregiudizio determinato dal mancato rispetto
del termine a difesa deve essere dedotto in concreto e non in via astratta.

Così è stato precisato (ancorché con riferimento al
termine ed alle modalità per la convocazione a difesa disciplinati dall’art. 55 bis del d.lgs. n. 150 del
2009), ponendosi proprio in evidenza che la finalità di garanzia del
diritto di difesa del lavoratore (Cass. 6 marzo
2019, n. 6555; Cass. 2 ottobre 208, n. 23895; Cass.
22 agosto 2016, n. 17245; Cass. 10 agosto 2016, n. 16900), che i vizi
procedurali correlati all’audizione del lavoratore possono dare luogo a nullità
del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato,
dall’interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa, e
non di per sé soli.

5.2. D’altra parte, è onere del dipendente, che
contesti la legittimità della sanzione per non aver potuto presenziare
all’audizione a causa di una patologia così grave da risultare ostativa all’esercizio
assoluto del diritto di difesa, dovendosi ritenere che altre malattie non
precludano all’incolpato altre forme partecipative come ad es. l’invio di
memorie esplicative, la delega difensiva ad un avvocato (cfr. Cass. 30 maggio
2001, n. 7374; Cass. 22 settembre 2006, n. 20601 in materia di lavoro privato),
così da consentire al procedimento di andare avanti ugualmente, nel rispetto
dei termini perentori finali che lo cadenzano.

5.3. Nessuna verifica in tal senso risulta essere
stata effettuata dalla Corte territoriale.

6. Il ricorso va dunque accolto per quanto di
ragione e, per l’effetto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla
Corte d’appello di Bari, che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo
esame tenendo conto dei principi sopra affermati e provvederà anche sulle spese
del presente giudizio di legittimità.

7. Non sussistono le condizioni processuali di cui
all’art. 13 comma 1 quater d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la
sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari,
in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2021, n. 9313
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