Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 aprile 2021, n. 10028

Recesso della preponente dal rapporto di agenzia, Clausola
risolutiva espressa, prevista dal contratto individuale, Risoluzione per
giusta causa, Obbligazioni predeterminate ritenute essenziali, Principio
della necessità della contestazione immediata, sia pure sommaria, delle ragioni
poste a base del recesso, Conseguente preclusione di dedurre successivamente
fatti diversi da quelli contestati, Principio non operante per il recesso per
giusta causa, con conseguente diritto all’indennità per mancato preavviso,
dell’agente

 

Rilevato che

 

La B. s.r.l. appellava la sentenza n. 361/16 del
Tribunale di Bergamo, che, accogliendo parzialmente le domande formulate da
Giampietro B., ex agente della società, condannò quest’ultima a pagare la somma
complessiva di € 78.000,00, oltre rivalutazione ed interessi, ritenendo
ingiustificato il recesso della preponente dal rapporto di agenzia in quanto da
un lato non correttamente azionata la clausola risolutiva espressa, prevista
dal contratto individuale, e dall’altro privo di indicazione specifica sul
contenuto della giusta causa allegata nella lettera di risoluzione.

Sosteneva la società che la clausola risolutiva
espressa era stata implicitamente azionata ed in ogni caso provato lo sviamento
di clientela a favore di una ditta concorrente, la BM di Rimini, alla quale
l’agente aveva anche fornito informazioni riservate sui prodotti B., stante
l’imitazione servile che ne era derivata.

Pertanto la risoluzione per giusta causa era
pienamente sussistente, con la conseguenza che nulla era dovuto all’agente
anche indipendentemente dalla clausola risolutiva espressa. Nel contratto, in
ogni caso, sussisteva tale clausola che faceva riferimento ad alcune obbligazioni
predeterminate ritenute essenziali, in mancanza delle quali operava la
risoluzione ad nutum dal rapporto, sicché il primo giudice aveva errato nel
ritenerla non validamente azionata solo perché non espressamente menzionata
nella lettera di risoluzione.

Si costituiva il B. svolgendo eccezioni preliminari
sulla procura alle liti e, quanto al merito, chiedendo la conferma della
decisione, in quanto non vi era la prova delle condotte indicate dalla società,
proponendo inoltre appello incidentale al fine di ottenere maggiori somme,
derivanti da patti aggiunti in essere tra le parti.

Con sentenza depositata il 23.12.16, la Corte
d’appello di Brescia, in totale riforma della sentenza impugnata, respingeva
l’originaria domanda del B..

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
quest’ultimo, affidato a quattro motivi, cui resiste la società con
controricorso.

La Procura Generale ha fatto pervenire conclusioni
scritte con cui chiede il rigetto del ricorso.

 

Considerato che

 

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la
violazione eo falsa applicazione degli artt. 75
e 83 c.p.c., ribadendo l’eccezione di nullità
della procura alle liti della società apposta sul ricorso in appello (per illeggibilità
della firma del legale rappresentante).

La censura è infondata. Essa infatti non si misura
con il rilievo della Corte bresciana secondo cui, peraltro, la procura esisteva
già in base a diverso e precedente atto (la procura rilasciata in primo grado e
per l’eventuale appello) dal quale era evincibile chiaramente il nome, la
carica sociale (quest’ultima evincibile anche dall’indicazione risultante dagli
atti) e la sottoscrizione della conferente (Fiorini).

2. – Con secondo motivo il ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1456,
co.2, c.c. in quanto la società mandante non aveva affatto menzionato (e
comunicato) nella lettera di recesso la clausola risolutiva espressa, sicché la
risoluzione del contratto con effetto immediato poteva essere valutata solo
alla stregua dell’art. 2119.

Il motivo è infondato posto che la sentenza
impugnata ha valutato le legittimità o meno del recesso proprio alla stregua
del principio codicistico invocato, tenendo anche conto della diversità
esistente tra il rapporto di lavoro subordinato e quello di agenzia, ritenendo
in particolare che l’attività di concorrenza sleale posta in essere dal B.,
confortata da numerose testimonianze, concretava una causa che non consentiva
la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, tanto più considerata la
qualità di agente generale della B. ricoperta dal B..

3. – Con terzo motivo il B. denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. sotto il
profilo della mancata indicazione, nella lettera di recesso, dei motivi dello
stesso, con conseguente impossibilità, peraltro, di modificare successivamente
le ragioni del recesso.

Il motivo è infondato.

Ed invero questa Corte, collegandosi ad un risalente
orientamento di legittimità (cfr. Cass. n. 359277), ha recentemente affermato
che il principio della necessità della contestazione immediata, sia pure
sommaria, delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa, con la
conseguente preclusione di dedurre successivamente fatti diversi da quelli
contestati, opera sia per il rapporto di lavoro subordinato che per quello di
agenzia – data l’analogia dei due rapporti – ma in relazione solo al recesso
del preponente, mentre il recesso per giusta causa (con conseguente diritto
all’indennità per mancato preavviso) del lavoratore o dell’agente non è invece
condizionato ad alcuna formalità di comunicazione delle relative ragioni,
sicché, a tal fine, può tenersi conto anche di comportamenti (del datore di
lavoro o del preponente) ulteriori rispetto a quelli lamentati nell’atto di
recesso (del lavoratore o dell’agente), Cass. n. 3006319, Cass. n. 234554,
Cass. n. 389899.

Occorre tuttavia chiarire il principio (cfr. Cass. n.701911) secondo cui se è vero che il
preponente non deve fare riferimento, fin dal momento della comunicazione del
recesso, a fatti specifici, a tal fine è sufficiente e necessario che di essi
l’agente sia a conoscenza, anche “aliunde”.

Nella specie, come risulta dagli atti di causa ed
inoltre dalle incontestate deduzioni della società, il B. era perfettamente a
conoscenza dell’attività di concorrenza illecita posta in essere e che gli
venne conseguentemente contestata sicché, assolutamente in linea con la
giurisprudenza di questa Corte il recesso in tronco deve ritenersi legittimo (Cass. n. 701911: Ai fini delia legittimità del
recesso nel rapporto di agenzia, il preponente non deve fare riferimento, fin
dal momento della comunicazione del recesso, a fatti specifici, essendo
sufficiente che di essi l’agente sia a conoscenza anche “aliunde”).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad €. 5.250,00
per compensi ed €. 200,00 per esborsi, otre spese generali nella misura del
15%, i.v.a. e c.p.c.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
1152, nel testo risultante dalla L. 24.12.12
n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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