Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 aprile 2021, n. 11425

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Calo delle
commesse, Insolvenza di alcuni debitori, Prova esclusivamente “a campione”

 

Svolgimento del processo

 

La s.p.a. W.O., società di somministrazione lavoro,
proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 2547/16 con
cui venne parzialmente accolta la domanda proposta da S.F. diretta ad ottenere
la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo intimatole dalla società in data 25.9.15 e, per l’effetto, la
condanna della stessa a corrisponderle, ai sensi dell’art. 3 comma 1 d. Igs. 23/15,
un’indennità pari a 4 mensilità della retribuzione globale di fatto, pari ad
€.1.290,77, per un valore complessivo di €. 5.163,08, mentre respingeva la
domanda diretta ad accertare la sussistenza del diritto della ricorrente a
vedersi corrispondere dalla società resistente, a titolo di risarcimento del
danno per violazione dell’art.
25 CCNL Agenzie di somministrazione, l’importo di €.5.850,00 lordi.

Nel merito, il giudice di prime cure, richiamando la
giurisprudenza di legittimità in ordine al licenziamento per giustificato
motivo oggettivo, rilevava come, nel caso di specie, la società resistente non
avesse provato le ragioni addotte a fondamento del licenziamento oggetto di
causa. In particolare, la società resistente aveva giustificato il licenziamento
della ricorrente facendo riferimento ad un calo complessivo delle commesse e
all’insolvenza di alcuni debitori, circostanze che, seppur ritenute
documentalmente provate in relazione alle vendite dei mesi di maggio, luglio e
novembre 2015, oltre a gennaio 2016, non sono state considerate idonee a
fornire un completo quadro della situazione economica della società, poiché
relative, come accennato, a mensilità “a campione” e non ad un dato
complessivo.

Pertanto il Tribunale ritenne illegittimo il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, riconoscendo il diritto della
F. ad ottenere l’indennità di cui all’art. 3 co. 1 del d.lgs n.23/15,
stabilita nella misura di tre mensilità, pari ad €.3.872,31, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi dalla data di cessazione del rapporto al
saldo.

Resisteva la lavoratrice.

Con sentenza depositata il 7.11.17, la Corte
d’appello di Milano respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la soc. W.O., affidato a quattro motivi, cui resiste la F. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. – Con il primo motivo la società ricorrente
denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
437, cpv c.p.c. per non aver ammesso la produzione del bilancio di
esercizio 2015; la violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 421 c.p.c.,
per avere la Corte territoriale provveduto ad emettere sentenza senza
esercitare i poteri istruttori d’ufficio e senza concedere alla resistente un
termine per sanare la ritenuta genericità dei capitoli della prova
testimoniale.

Il motivo è infondato.

Come più volte osservato da questa Corte,
l’esercizio dei poteri ufficiosi, invocati dalla società ricorrente, non
possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice
in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri
officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli
propri del procedimento penale (Cass. 22 luglio 2009 n. 17102; Cass. 21 maggio
2009 n. 11847).

Deve inoltre rilevarsi che l’esercizio dei poteri
istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di talune
fondamentali circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte
interessata; l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente
delineato dalle parti (Cass. 2 febbraio 2009 n.
2577; Cass. 5 maggio 2007 n. 15228); l’indispensabilità dell’iniziativa,
volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria
o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della
domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. 10 gennaio 2006 n. 154; Cass. 1 settembre
2004 n. 17572, Cass. 1999 n. 14342).

Nella specie tali circostanze debbono escludersi,
considerato che sia la produzione del bilancio d’esercizio 2015 sia la corretta
articolazione della prova testimoniale, erano ben possibili sin dal primo
grado.

2. – Con secondo motivo la W.F. denuncia la
violazione dell’art. 41 Cost., per avere la
sentenza impugnata negato la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di
licenziamento sol perché la società non aveva esaurientemente dimostrato la
dedotta situazione economica sfavorevole, con l’esercizio di fatto di un
sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che
competono solo al datore di lavoro.

Lamenta che la Corte meneghina ritenne illegittimo
il licenziamento per g.m.o. sostenendo che, seppur risultavano provati i
ritardi nei pagamenti e l’insolvenza di alcuni debitori di W., nonché la
cessazione dei rapporti di lavoro instaurati con la S. s.r.l. (società operante
nel settore della formazione e recupero anni scolastici), la prova
esclusivamente ‘a campione del calo di commesse, del fatturato e dei
somministrati era in sé insufficiente allo scopo.

Il motivo è infondato posto che la valutazione dei
mezzi istruttori è attività demandata al giudice del merito e non può essere
sindacata in questa sede (in base al novellato n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c.), tanto più che la
sentenza impugnata ha esposto in modo logico ed adeguato le ragioni che
escludevano la sussistenza di una idonea prova in ordine alla sussistenza del
dedotto motivo oggettivo di licenziamento.

3. Con terzo motivo la società ricorrente denuncia
la violazione e falsa applicazione della L. n.
604/66 quanto al cd. obbligo di repechage; dell’art.
2697 c.c. per aver riversato solo sulla W. l’onere di provare
l’impossibilità di collocare presso altri utilizzatori la F.. Lamenta che la
Corte distrettuale, se da una parte accertò l’assunzione diretta della sig.ra
F. da parte della s.r.l. S., dall’altra ritenne che W. non aveva sufficientemente
provato l’effettiva impossibilità di ricollocare la lavoratrice in una
posizione compatibile con il bagaglio professionale e le competenze acquisite
dalla stessa; ritenendo, inoltre, che non gravava sull’appellata alcun onere
probatorio circa tale possibilità.

Lamenta la manifesta illogicità della sentenza nella
parte in cui ritenne che W. avrebbe dovuto comunque provare l’inutilizzabilità
della lavoratrice in altre posizioni equivalenti, pur avendo accertato che la
F. venne assunta presso la S. s.r.l. con mansioni di docente e quindi in
posizione compatibile con il suo bagaglio professionale.

Il motivo è infondato. Ed invero deve innanzitutto
chiarirsi che secondo il prevalente orientamento di legittimità grava sul
datore di lavoro la prova di non poter collocare altrimenti il lavoratore in
caso di licenziamento per giustificato motivo obiettivo (Cass. n. 5592/16, che peraltro esclude
esplicitamente la sussistenza di un onere di collaborazione del dipendente;
conf: Cass. n. 12101/16; Cass. n. 160/17, Cass.
n. 24882/17).

Quanto all’assunzione presso la S. s.r.l., è
sufficiente evidenziare che essa avvenne successivamente (il 23.10.15) al
licenziamento da parte della W. (23.9.15), sicché non poteva incidere sul
predetto obbligo di repechage.

4. Con quarto motivo la società denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 25 CCNL delle Agenzie di
somministrazione del lavoro, per avere la Corte di merito ritenuto che la
prova sul possibile ricollocamento della lavoratrice sarebbe stata assolta solo
se W. avesse fatto ricorso alla procedura di cui all’art. 25 CCNL Agenzie di
Somministrazione del lavoro, pur avendo accertato l’effettiva assunzione
della lavoratrice presso la s.r.l. S., e quindi l’insussistenza dei presupposti
per attivare la procedura medesima.

A tal riguardo osservava che l’art.25 CCNL cit. prevede che
l’Agenzia che non possa più mantenere alle proprie dipendenze uno o più
lavoratori a tempo indeterminato per mancanza di occasioni di lavoro debba
avviare la procedura in oggetto, che consente al lavoratore di percepire un
compenso per il periodo di non lavoro.

Il motivo, sostanzialmente assorbito dalle
precedenti considerazioni, risulta comunque infondato. Ed invero a prescindere
dalla complessità della procedura prevista dal menzionato art. 25 CCNL, diretta a
verificare l’effettività della crisi occupazionale ed alla corresponsione al
lavoratore di una indennità per tutta la durata della procedura, deve osservarsi
che il licenziamento della F. prima di attivare la procedura de qua si è
risolta certamente in un danno economico per la lavoratrice, a nulla rilevando
che essa venne poi assunta dalla S. s.r.l. (con contratto a termine e con
orario part time).

5. Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito
l’incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi,
€.3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del
15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L.
24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art.13,
se dovuto.

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