Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2021, n. 11554

Rapporto di lavoro, Reati non riconducibili all’attività
lavorativa, Carcerazione del lavoratore, Sopravvenuta impossibilità
temporanea della prestazione

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della
sentenza del Tribunale di Locri che aveva accolto il ricorso, ha respinto tutte
le domande formulate nei confronti dell’AFOR – (…) – da F.G., il quale aveva
chiesto l’accertamento del suo diritto ad essere assunto dall’Azienda a tempo
indeterminato o in subordine con contratto a termine a far tempo dal febbraio
2002 ed aveva conseguentemente domandato la condanna dell’AFOR alla
riassunzione o reintegrazione ed al pagamento delle retribuzioni non
corrisposte dal febbraio 2002;

2. il ricorrente aveva prestato attività lavorativa
di operaio idraulico forestale dal 1974 al 1980 ed era stato impossibilitato a
mantenere il rapporto di lavoro in quanto detenuto per reati non riconducibili
all’attività lavorativa;

3. tornato in libertà nell’anno 2002 aveva chiesto
la riassunzione, non concessa sebbene l’azienda non l’avesse mai formalmente
licenziato, e, pertanto, aveva agito in giudizio invocando l’applicazione
dell’art. 1 comma 2 del d.l. n. 233/1984 e della legge
n. 193/2000 nonché la delibera della Giunta Regionale n. 16/2002
riguardante la riammissione in servizio degli operai in precedenza detenuti;

4. la Corte territoriale ha accolto l’eccezione di
difetto di legittimazione passiva riproposta dall’AFOR in sede di appello ed ha
rilevato che l’Azienda, istituita con la L.R. n. 20/1992 aveva iniziato
concretamente ad operare nel 1994, sicché il ricorrente non poteva azionare
alcun diritto nei suoi confronti non avendo «neppure mai ventilato che si fosse
di fronte ad una successione da parte di AFOR nei rapporti attivi e passivi
compreso quello di lavoro»;

5. ha aggiunto che la carcerazione del lavoratore,
pur non costituendo inadempimento di obblighi contrattuali, integra un fatto
oggettivo che determina sopravvenuta impossibilità temporanea della
prestazione, che va valutata dal datore di lavoro, potendo integrare un
giustificato motivo di licenziamento nei casi in cui l’assenza non sia
compatibile con le esigenze aziendali;

6. il richiamato orientamento, peraltro, non può
essere invocato nel caso in cui il rapporto sia a tempo determinato, perché in
detta ipotesi il rapporto stesso è destinato a cessare alla scadenza del
termine;

7. il giudice d’appello ha aggiunto che l’AFOR non
era stata informata sino al 19 luglio 2007 della privazione della libertà ed ha
sottolineato «la confusione che si rinviene della documentazione allegata in
primo grado», evidentemente riferibile ad altro soggetto;

8. ha altresì ritenuto che, anche a voler ammettere
una interruzione dovuta alla carcerazione, potevano essere ravvisati, da un
lato, una volontà del ricorrente di abbandonare liberamente e consapevolmente
l’attività lavorativa e, dall’altro una mancanza di interesse dell’AFOR a
mantenere in vita il rapporto a termine, perché la prestazione residua poteva
essere resa solo a distanza di anni, una volta riacquistata la libertà
personale;

9. il giudice d’appello ha evidenziato, inoltre, che
F.G. non poteva invocare l’art. 1 della legge n. 442/1984 in quanto norma di
carattere eccezionale, non applicabile analogicamente, che prevedeva una
possibilità e non un obbligo di assumere i lavoratori forestali impiegati
nell’anno precedente;

10. infine la Corte territoriale ha ritenuto
infondata anche la domanda subordinata di assunzione a tempo indeterminato a
partire dall’anno 2004 ed ha evidenziato che poiché all’impiego pubblico si
accede solo a seguito di concorso, sarebbe affetto da nullità un accordo
sindacale prevedente l’obbligo a carico dell’amministrazione di stabilizzare i
lavoratori precari;

11. per la cassazione della sentenza F.G. ha
proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali non ha opposto difese
l’AFOR rimasta intimata.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la «violazione e
falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e degli
artt. 9, 10 e 25 della legge regionale Calabria 19 ottobre 1992 n. 20» e
sostiene che ha errato la Corte territoriale nell’escludere la legittimazione
passiva dell’Azienda, atteso che a quest’ultima il legislatore regionale ha
trasferito tutte le funzioni ed i compiti in precedenza affidati al Servizio
Forestazione della Regione Calabria;

1.1. aggiunge che gli interventi affidati all’AFOR,
sempre per espressa previsione legislativa, dovevano essere eseguiti
utilizzando gli operai assunti a tempo determinato o indeterminato ai sensi del
D. L. n. 233/1984 e, pertanto, il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere che
«la gestione della posizione lavorativa del sig. G. Francesco a decorrere dal
1992 è passata nella titolarità dell’AFOR unica legittimata a contraddire alle
domande proposte»;

2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi
dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., addebita
alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 16 della legge n. 56/1987 e
dell’art. 35 del d.lgs. n.
165/2001 perché la regola dell’accesso all’impiego pubblico solo all’esito
di concorso non può essere invocata in relazione alle assunzioni per le quali
il reclutamento può avvenire nelle forme semplificate previste per le
qualifiche che richiedono un titolo non superiore a quello della scuola
dell’obbligo;

3. il ricorso è inammissibile sulla scorta
dell’orientamento, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte
ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a
giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende
inammissibile la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta
definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in
nessun caso l’annullamento della decisione gravata (cfr. fra le tante Cass. n.
17182/2020; Cass. n. 13880/2020; Cass. n. 10815/2019; Cass. n. 6985/2019);

3.1. nello storico di lite si è evidenziato che la
Corte territoriale ha posto a fondamento della pronuncia di rigetto della
domanda una pluralità di rationes decidendi ed in particolare, pur avendo
escluso che la pretesa potesse essere avanzata nei confronti dell’AFOR, ha
comunque rilevato, in sintesi, che sul rapporto a termine che legava il G.
all’amministrazione al momento della carcerazione non poteva essere fondata
alcuna pretesa di riassunzione perché: a) il rapporto era destinato a spirare
alla scadenza; b) il lavoratore non aveva mai informato il datore della
privazione della libertà personale sino alla missiva del 2007, e, pertanto, si
poteva ritenere che avesse liberamente e consapevolmente abbandonato l’attività
lavorativa; c) non vi era interesse alcuno del datore di mantenere in vita,
sospendendolo nel periodo di carcerazione, un rapporto a tempo determinato in
ragione della impossibilità di ricevere la prestazione che poteva essere resa
da altri;

3.2. si tratta di argomenti che, a prescindere dalla
loro correttezza, non sono stati in alcun modo censurati dal ricorrente, il
quale non ha dedotto alcunché al riguardo essendosi limitato a sostenere, con
il primo motivo, che l’AFOR, subentrata nei compiti del Servizio Forestazione
della Regione Calabria, a decorrere dal 1992 era tenuta a gestire la posizione
lavorativa del G.;

4. quanto, poi, alla domanda subordinata di
assunzione, che la Corte territoriale ha respinto sul rilievo che l’ente
pubblico non economico è tenuto al rispetto della regola concorsuale e,
pertanto, non può assumere alcun impegno in sede sindacale di stabilizzazione
dei lavoratori, il ricorso è parimenti inammissibile perché si limita a
sostenere che per le qualifiche meno elevate è comunque possibile l’avviamento
al lavoro ai sensi dell’art. 16
della legge n. 56/1987, avviamento che, secondo quanto si legge nella
sentenza impugnata, non era quello che veniva in rilievo, avendo l’originario
ricorrente fondato la sua pretesa su un accordo sindacale del quale si ignora
quale fosse il contenuto;

4.1. è consolidato il principio secondo cui nel
giudizio di cassazione l’interesse all’impugnazione, che va valutato in
relazione ad ogni singolo motivo, deve essere apprezzato con riferimento
all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del
gravame, e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta
soluzione di una questione giuridica, sicché va escluso ogniqualvolta la dedotta
violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, non abbia spiegato
effetti in relazione alla soluzione adottata e sia, quindi, diretta
all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (cfr. Cass.
n.20689/2016, Cass. n. 15253/2010, Cass. n. 13373/2008; Cass. n. 11844/2006).

4.2. dal richiamato principio discende che, nel
rispetto degli oneri di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 cod. proc. civ., il ricorrente è tenuto
ad indicare nel ricorso gli elementi che consentano alla Corte di apprezzare
l’utilità che potrebbe derivare dall’accoglimento del motivo e dalla cassazione
della sentenza impugnata;

4.3. l’esposizione dei fatti di causa richiesta dal
n. 3 del richiamato art. 366 cod. proc. civ. è,
infatti, finalizzata anche a porre il giudice di legittimità nella condizione
di esercitare correttamente i poteri/doveri di cui all’art. 384 cod. proc. civ., commi 2 e 4, che, letto
alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo,
impone alla Corte di cassazione di definire dinanzi a sé il giudizio e di
astenersi dal rinvio ogniqualvolta la prosecuzione si risolverebbe in un
inutile dispendio di attività processuale;

4.4. nel caso di specie il ricorso è assolutamente
carente nell’esposizione dei fatti (a pag. 2 si limita ad affermare che il
ricorrente, assunto con ripetuti contratti a termine quale operaio forestale
sino al 1980, era rimasto in stato di detenzione sino al 2002 e riacquistata la
libertà aveva invano chiesto di essere riassunto non avendo mai l’AFOR intimato
il licenziamento) sicché non è dato comprendere quale incidenza potrebbe
spiegare nella fattispecie il principio invocato, ossia quello dell’astratta
possibilità dell’Amministrazione di assumere i dipendenti delle qualifiche meno
elevate nelle forme prescritte dall’art. 35 lett. b) del d.lgs. n.
165/2001;

5. non occorre provvedere sulle spese del giudizio
di cassazione perché l’AFOR non si è costituita in giudizio, rimanendo
intimata;

6. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n.
228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n.
4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge
per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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