Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2021, n. 11644

Licenziamento disciplinare, Dirigente medico, Utilizzazione
con modalità irregolari del mezzo aziendale, Falso sinistro, Gravità del
comportamento

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Bologna, accogliendo il
reclamo proposto avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, ha
respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dalla Azienda
Unità Sanitaria Locale di R.E. (di seguito AUSL) nei confronti di L. C., dirigente
medico della stessa.

1.1 I fatti riguardavano l’avere il lavoratore
dissimulato un sinistro avvenuto la sera del 11.1.2017, alla guida di un’auto
aziendale, allo scopo di occultare l’uso improprio del suddetto mezzo,
dichiarando nella denuncia aziendale che esso era avvenuto, in circostanze
differenti, la mattina seguente, quando egli aveva effettivamente necessità del
veicolo per ragioni di servizio, con ulteriori violazioni alle norme interne
sull’utilizzazione dei mezzi (esclusività rispetto ai compiti di ufficio;
divieto di detenere il medesimo presso l’abitazione privata; obbligo di
compilare il libretto di marcia etc.).

La Corte riteneva fosse indubbio che l’unico
incidente che aveva coinvolto il C. fosse quello della sera dell’11.1, essendo
inverosimile che potessero essersi verificati due sinistri sullo stesso mezzo a
dodici ore di distanza, oltre al fatto che tale assunto era stato smentito
dall’istruttoria.

Riteneva quindi che la gravità del comportamento,
atta a giustificare il recesso in tronco, fosse da ravvisare non tanto
nell’utilizzazione con modalità irregolari del mezzo aziendale, quanto
nell’avere tenuto il datore di lavoro all’oscuro delle modalità di
verificazione dell’incidente e nell’avere cercato di mascherare la realtà,
denunciando un falso sinistro.

2. L. C. ha proposto quattro motivi di ricorso per
cassazione, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso della AUSL.

 

Ragioni della decisione

 

1. con il primo motivo si adduce nullità della
sentenza, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.,
per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., .sostenendo che l’assunto
della Corte territoriale secondo cui sarebbe inverosimile che si fossero
verificati due incidenti sullo stesso mezzo a dodici ore di distanza sarebbe
soltanto apparente e apodittico, risolvendosi nella mera affermazione – senza
spiegazione – del convincimento raggiunto.

Il secondo motivo afferma la violazione eo falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché 2697
c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) in quanto
l’accertamento della Corte territoriale in ordine alla simulazione del secondo
incidente sarebbe fondata «sul nulla» ed avrebbe finito per porre
illegittimamente a carico del lavoratore l’onere probatorio.

Il terzo motivo contiene denuncia di omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5
c.p.c.), che individua nell’effettiva esistenza del secondo incidente, la
cui verificazione era tale da inficiare le accuse di simulazione rivolta al C..

Il quarto motivo censura infine la sentenza per
violazione degli artt. 7 e 8 del Codice Disciplinare nonché degli artt. 1175, 1362, 1371, 1375, 2140, 2016 e 2119 c.c., per errata applicazione dei canoni di
ermeneutica contrattuale e difetto di proporzionalità, oltre ad omessa
considerazione del servizio precedentemente prestato per quasi 18 anni senza
altri procedimenti disciplinari a carico.

2. I motivi, stante la loro connessione, vanno
esaminati congiuntamente. L’affermazione centrale della sentenza impugnata è
quella per cui sarebbe «inverosimile» che possano essersi verificati due
sinistri sullo stesso mezzo a 12 ore di distanza.

Tale affermazione giustifica due ordini di lettura,
nel senso che la Corte potrebbe avere detto che non fosse possibile il
verificarsi dei due incidenti, oppure che non fosse probabile che ciò fosse
accaduto.

Poiché è palese che una tale impossibilità non è
predicabile, non emergendo che il primo incidente avesse messo definitivamente
fuori uso il veicolo, è evidente che la lettura della motivazione debba essere
l’altra, ovverosia che la Corte ha ritenuto poco probabile che il C. avesse
fatto due incidenti con lo stesso mezzo a distanza ravvicinata di tempo.

L’affermazione è accompagnata da una effettivamente
non meglio spiegata smentita istruttoria dell’assunto del ricorrente («oltre al
fatto che tale assunto è stato smentito dall’istruttoria»), ma in sé essa ha
l’effetto di una presunzione semplice (art. 2729
c.c.) costruita sull’identità del mezzo e sulla ravvicinatezza oraria
dell’accaduto, cui la motivazione associa, subito di seguito, il rilievo in
ordine all’esigenza del C. di dare giustificazione ai danni provocati
all’autovettura da lui irregolarmente prelevata il giorno precedente rispetto
alla necessità di servizio.

La costruzione probabilistica, per quanto sintetica
e contratta, non può dirsi illogica e quindi va da sé che non vi sia stata
violazione delle regole sull’onere probatorio, avendo in sostanza la Corte
ritenuto provato che l’incidente fosse stato solo uno e solo quello, pacificamente
verificatosi, del giorno precedente.

Ne deriva l’infondatezza del primo e del secondo
motivo e l’inammissibilità del terzo, in quanto la Corte non ha omesso di
valutare il fatto storico del secondo incidente, ma lo ha invece valutato,
escludendo però che esso si fosse verificato.

Quanto al quarto motivo, la Corte territoriale ha
ritenuto esplicitamente che l’illecito non fosse da riportare alle ipotesi di
cui all’art. 8, co. 8 del Codice Disciplinare, con riferimento, si può qui
aggiungere/ al caso (lettera f) di «occultamento da parte del dirigente di
fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o
sottrazione di somme o beni di pertinenza dell’amministrazione o ad esso
affidati», ma evidentemente all’art. 8, co. 11 che contempla, alla propria
lettera f) l’ipotesi generale di «atti e comportamenti non ricompresi
specificamente nelle lettere precedenti seppure estranei alla prestazione
lavorativa, posti in essere anche nei confronti del terzo, di gravità tale da
non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro ai
sensi dell’art. 2119 c.c.».

D’altra parte, è chiaro che una cosa è il mero
occultamento di un danno al mezzo, altra e più grave cosa è l’avere «cercato di
mascherare la realtà, denunciando un falso sinistro» (così la Corte
territoriale), che è derivata dalla ricostruzione fattuale posta al centro
della decisione di appello e su cui la Corte territoriale ha esplicitamente
incentrato la propria valutazione di gravità e quindi di proporzionalità
dell’accaduto rispetto alla sanzione applicata ed in ragione dell’idoneità del
comportamento a ledere il nesso fiduciario. Il giudizio riguardante la gravità
e la irrimediabile compromissione dell’elemento fiduciario pertiene del resto
al giudice del merito e come tale resta insuscettibile, in sede di legittimità,
di essere rivisitata sulla base di considerazione (v. l’incensuratezza
disciplinare) di elementi non necessariamente decisivi (v. art.
360 n. 5 c.p.c.).

3. Al rigetto del ricorso segue la regolazione
secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione,
che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre
spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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