L’anzianità pregressa non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera presso l’ente di destinazione.

Nota a Cass. (ord.) 31 marzo 2021, n. 8968

Fabrizio Girolami

La direttiva 77/187/CEE (concernente “il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti”) intende evitare che i lavoratori coinvolti in un’operazione di trasferimento d’azienda subiscano un peggioramento “sostanziale” delle proprie condizioni retributive (c.d. principio dell’irriducibilità della retribuzione). Un peggioramento “sostanziale è ravvisabile solo qualora, all’esito di una comparazione globale delle voci retributive, emerga una diminuzione “certa” del compenso che sarebbe stato corrisposto qualora il rapporto fosse proseguito con il cedente nelle medesime condizioni lavorative, sicché non vanno considerati gli importi (che se pure occasionalmente versati prima del passaggio) non costituivano il “normale” corrispettivo della prestazione, perché, in quanto legati a variabili inerenti alle modalità qualitative e quantitative di quest’ultima, non erano entrati nel patrimonio del lavoratore, che sugli stessi non avrebbe potuto fare sicuro affidamento neppure qualora la vicenda modificativa non fosse stata realizzata. In questa prospettiva, l’anzianità pregressa non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, in quanto l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8968 del 31 marzo 2021.

Nel caso di specie cinque lavoratori, appartenenti al personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola (ATA) – interessati da un’operazione di trasferimento di personale ATA dipendente di Ente locale (ente di provenienza) alle dipendenze dello Stato (ente di destinazione) ai sensi dell’art. 8 della L. 3 maggio 1999, n. 124 – avevano adito le vie legali al fine di ottenere il riconoscimento integrale, a fini giuridici e economici, dell’anzianità di servizio maturata presso l’Ente locale di provenienza, richiedendo la condanna, per l’effetto, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca al pagamento delle relative differenze retributive.

Vinto il primo grado di giudizio (Tribunale di Rovigo), i lavoratori avevano poi perso in appello (App. Bologna sentenza n. 1533/2014 che aveva dato ragione al M.I.U.R.).

La Cassazione ha confermato la sentenza di appello, rigettando il ricorso dei lavoratori, e rilevando quanto segue:

  • in caso di trasferimento d’azienda, il lavoratore che intende rivolgersi al giudice per conservare il precedente trattamento retributivo deve dimostrare di aver subìto una diminuzione “certa” del compenso che avrebbe percepito laddove avesse continuato a lavorare alle dipendenze del cedente nelle medesime condizioni lavorative;
  • a tal fine, occorre considerare la busta paga nella sua interezza, senza però considerare anche gli importi che non costituivano il normale corrispettivo della prestazione, benché questi siano stati versati prima del trasferimento d’azienda. Quindi, il lavoratore non ha diritto a mantenere tutte quelle maggiorazioni retributive percepite in costanza del precedente rapporto che ineriscono alle modalità qualitative e quantitative con cui è resa la prestazione lavorativa;
  • fermi restando i diritti già acquisiti dal lavoratore per l’attività prestata in passato, non è quindi possibile rivendicare, anche dopo il trasferimento d’azienda, il riconoscimento di premi e compensi incentivanti previsti dal c.c.n.l. dell’ente di provenienza “perché si tratta di voci del trattamento accessorio correlate ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento dei servizi, ossia di emolumenti non certi nell’an e nel quantum”;
  • l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici e il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito;
  • l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere dal lavoratore per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario, né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative.
Trasferimento di personale ATA degli Enti locali alle dipendenze dello Stato e peggioramento “sostanziale” delle condizioni retributive dei lavoratori ceduti
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