Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2021, n. 11649

Tributi, IRAP, Soggetti passivi, Professionista componente
di uno studio associato, Compensi per attività di sindaco e revisore,
Esclusione, Onere di prova, Attività svolta in modo individuale e separato

 

Ritenuto che

 

La CTR del Lazio sez. distaccata di Latina, con
sentenza nr 2160/2019, accoglieva parzialmente l’appello principale proposto da
E.A. e R.I., ex soci dello Studio Commercialisti A. e I., avverso la pronuncia
della CTP che aveva escluso l’applicazione del presupposto impositivo dell’Irap
sui compensi percepiti dal professionista a fronte dell’attività di sindaco e
di revisore e riconosciuto le condizioni per l’applicazione della sanzione in
assenza di situazioni di obbiettiva incertezza prevista dall’art 6 d.lgs. 472/1997.

Rilevava che tali compensi non erano attratti
nell’ambito del reddito prodotto dallo Studio professionale sicché anche le
sanzioni dovevano essere commisurate all’imposta determinata.

Osservava tuttavia che non ricorreva il presupposto
dell’obbiettiva incertezza normativa invocato dal contribuente essendo pacifico
l’assoggettamento ad Irap nel caso di esercizio della professione in forma
societaria.

Avverso tale pronuncia i contribuenti propongono
ricorso affidato ad un unico motivo cui resiste l’Agenzia delle entrate con
controricorso e ricorso incidentale.

 

Diritto

 

Considerato che:

Con l’unico articolato motivo del ricorso principale
i contribuenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art 6 del d.lgs. nr 472/1997,
dell’art 10 della legge nr
212/2000 nonché dell’art. 8
del d.lgs. nr 546/1992, in relazione agli art. 2 e 3 del d.lgs nr 446/1997,
per non avere la CTR disapplicato le sanzioni alla luce dell’obbiettiva
incertezza della portata applicativa della norma.

Il motivo è infondato.

Giova ricordare infatti che “in tema di
sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle
commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso
di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di
applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la
disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni,
il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del
loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di
allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul
contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio
l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una
censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto” (v. ex
multis Cass. n. 440 del 2015; Cass. n. 4031 del 2012).

A tanto giova soggiungere che il consolidato
insegnamento giurisprudenziale – cui questo Collegio presta adesione – ha
incisivamente evidenziato che in tema di sanzioni amministrative per violazioni
di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del
contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8,
postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e
destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico
contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano
capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, “ma
al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere
di accertare la ragionevolezza – di una determinata interpretazione” (da
ultimo, Cass. n. 23845 del 2016). Sotto un
profilo oggettivo, inoltre, l’incertezza presuppone “una condizione di
inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma
tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso
il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di
coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è
onere del contribuente allegare” (v. ex multis Cass. n. 4522 del 2013).

Orbene, sotto il profilo oggettivo non è decisiva
l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito come pure la
presenza di atti esplicativi emanati dall’Amministrazione finanziaria in
materia, situazioni molto frequenti, mentre sotto il profilo soggettivo manca
nel caso in esame ogni riferimento al giudice quale destinatario della norma
tributaria asseritamente incerta (Cass 2019 nr 24707).

In questo quadro la decisione si sottrae alla
critica che viene mossa non ravvisandosi nella specie alcuna incertezza
oggettiva nel senso sopra precisato che giustifichi la disapplicazione delle sanzioni.

L’Agenzia delle Entrate, a sua volta, con un unico
motivo introdotto in via incidentale censura la decisione nella parte in cui ha
ritenuto di non assoggettare ad Irap i compensi percepiti dai soci in qualità
di revisori e di sindaci ed amministratori, deducendo la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2 e 3 del
D.lgs. nr 446/1997 e dell’art. 2697 c.c. in
relazione all’art. 360 comma 1 nr 3 c.p.c.

Il motivo è fondato nei termini di seguito esposti.

Questa Corte ha affermato che in materia di Irap
ricorrono ex se i presupposti per l’applicazione dell’Irap in ipotesi di studio
associato senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma
organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio
dell’attività, salva la facoltà del contribuente di dimostrare l’insussistenza
dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa (ex multis n. 30873 del
26/11/2019).

Ciò però a meno che non venga dimostrato che
l’attività di sindaco e componente di organi di amministrazione e controllo di
enti di un componente dello studio associato avvenga in modo individuale e
separato con conseguente dimostrazione a carico del soggetto richiedente (Cass.
n. 14077/2017, 14996/2017, 3790/2018). E’
stato in proposito statuito che (Sez. 5 n. 766 del 15/01/2019 e nr 12495/2019)
in tema di IRAP, il professionista il quale sia inserito in uno studio associato,
sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da
quella espletata in forma associata, ha l’onere di dimostrare, al fine di
sottrarsi all’applicazione dell’imposta, la mancanza di autonoma
organizzazione, ossia di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua
adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma
collettiva, normalmente fa conseguire agli aderenti vantaggi organizzativi e
incrementativi della ricchezza prodotta quali, ad esempio, le sostituzioni in
attività – materiali e professionali – da parte di colleghi di studio,
l’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni, la possibilità
di conferenze e colloqui professionali o altre attività allargate,
l’utilizzazione di servizi collettivi e quant’altro caratterizzi l’attività
svolta in associazione professionale.

In ogni caso l’onere della prova relativa alla
modalità di conseguimento del reddito – volta a dimostrare che l’attività è
stata espletata in modo individuale e senza fruire dei benefici organizzativi
derivanti dall’adesione alla associazione – grava sul contribuente.

La CTR non si è attenuta ai suddetti principi
escludendo a priori la tassazione di tali emolumenti senza verificare nel
concreto, alla luce del materiale probatorio in atti, l’assolvimento dell’onere
della prova da parte dei contribuenti La sentenza, pertanto, in accoglimento
del ricorso incidentale va cassata e rinviata alla CTR del Lazio in diversa
composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso
incidentale; cassa la decisione impugnata in relazione al ricorso accolto e
rinvia alla CTR del Lazio, sez. distaccata di Latina, in diversa composizione,
anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

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