Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2021, n. 12632

Rapporto di lavoro, Mobbing, Trasferimento, Finalità
persecutorie, Quantificazione del danno

Fatti di causa

 

1. D.S., comandante dei vigili urbani e dirigente
del servizio statistica del Comune di Ancona, riassumeva dinanzi alla Corte
d’appello di Ancona il processo di appello, già instaurato dallo stesso avverso
la sentenza del Tribunale di Ancona che aveva respinto la domanda dal medesimo
formulata nei confronti del Comune e di L.T..

2. Lo S. aveva agito innanzi al Tribunale di Ancona
per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalla condotta vessatoria
tenuta nei suoi confronti dall’ente datore di lavoro, alla quale aveva
apportato contributo causale il collega di lavoro T.

3. Il Tribunale di Ancona aveva respinto la domanda
e la decisione era stata confermata dalla Corte territoriale.

4. Quest’ultima aveva in particolare ritenuto che: –
nessun comportamento illecito giuridicamente rilevante era stato posto in
essere dopo il 1° luglio 1998; – l’appellante aveva fondato per il periodo
precedente l’azione su provvedimenti di trasferimento e di destituzione che, in
quanto già oggetto di altri giudizi, non potevano più essere rimessi in
discussione con riferimento ai profili di legittimità o illegittimità accertati
– la condotta tenuta dall’amministrazione risultava giustificata dagli abusi
commessi dallo S., il quale era solito eliminare verbali di contravvenzioni
elevate da appartenenti al corpo dei vigili urbani; – gli atti adottati dal
Comune «intervenivano in un contesto di difficoltà nei rapporti interpersonali
che acuivano tensioni e problematiche tanto da costituire certamente una
condizione di incompatibilità ambientale»; – l’appellante, inoltre, aveva
quantificato il danno in un importo globale, senza indicare parametri e criteri
di valutazione; – il T. non aveva reso falsa testimonianza perché sì era
limitato a dichiarare le proprie intenzioni e priva di rilievo era la
circostanza che le dichiarazioni fossero motivate dal desiderio di sostituire
l’appellante nell’incarico di Comandante del Corpo di polizia; – in ogni caso
lo S. avrebbe dovuto resistere in sede endoprocessuale alle affermazioni del
T., non essendogli consentito di agire in altro giudizio per ottenere il risarcimento
dei danni subiti nel processo ormai concluso.

5. Proposto ricorso per cassazione da parte dello
S., questa Corte con ordinanza n. 26684/2017
riteneva fondati il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso nella parte
in cui censuravano la sentenza impugnata per avere immotivatamente respinto la
domanda risarcitoria proposta nei confronti del Comune di Ancona.

6. Rilevava questa Corte che la sentenza impugnata
aveva escluso la fondatezza della domanda sulla base di argomenti palesemente
errati perché, oltre a ritenere che la legittimità del provvedimento escludesse
in radice la configurabilità del mobbing, aveva affermato la irrilevanza
dell’eventuale “malanimo” dei “censori”, quando, al contrario,
proprio l’intento persecutorio può rendere illecita la condotta, se sistematica
e reiterata, anche nei casi di apparente legittimità degli atti adottati.

7. Evidenziava, inoltre, che la motivazione della
sentenza fosse contraddittoria, perché dapprima aveva affermato che la
legittimità dei provvedimenti di trasferimento e di destituzione era stata
valutata in altri giudizi e non poteva essere più rimessa in discussione, ma
poi aveva affrontato la questione per pervenire a conclusioni parzialmente
difformi da quelle espresse dal giudice amministrativo, all’epoca munito di
giurisdizione, che aveva respinto il ricorso proposto avverso il trasferimento
d’ufficio, ma aveva annullato il provvedimento di destituzione.

8. Riteneva che la motivazione fosse, altresì,
assolutamente carente perché era fondata solo sulla asserita legittimità dei
provvedimenti di trasferimento e di destituzione e nulla aveva detto sulle
plurime iniziative adottate nei confronti dello S. dalla amministrazione
comunale, sebbene i motivi di appello sollecitassero la necessaria valutazione
che, in ipotesi, poteva essere di condivisione delle conclusioni espresse dal
giudice di primo grado, ma non mancare del tutto, poiché l’impugnazione
chiamava la Corte territoriale a pronunciare sulla sussunzione del caso concreto
ad una fattispecie astratta nella quale rilievo determinante assume la
reiterazione e la sistematicità della condotta.

9. La sentenza impugnata era pertanto cassata in
relazione ai motivi accolti quanto alla posizione del Comune di Ancona; erano
invece respinti i motivi di ricorso concernenti il rigetto della domanda nei
confronti del dipendente T..

10. Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di
Ancona respingeva l’appello principale di D.S. e, in accoglimento dell’appello
incidentale del Comune di Ancona, condannava lo S. alla refusione delle spese
processuali del giudizio di primo grado.

Condannava, inoltre, l’appellante principale al
pagamento di favore del Comune di Ancona delle spese degli altri gradi di
giudizio.

11. Riteneva la Corte territoriale, in via
preliminare, inammissibili le richieste istruttorie dell’appellante ritenendo
che le stesse difettassero del requisito dell’indispensabilità.

Escludeva che la decisione del Comune di sospendere,
nel 1996, la riscossione, a seguito di numerose opposizioni alle cartelle
iscritte a ruolo, fosse ascrivibile ad un comportamento sorretto dall’intento
persecutorio di “contrastare le iniziative del ricorrente”, atteso
che la questione della legittimità delle multe che sanzionavano le infrazioni
contestate da vigili urbani, ma rilevate da ausiliari del traffico, era
tutt’altro che pacifica.

Rilevava che l’Avvocatura dello Stato, in un parere
all’uopo richiesto, aveva evidenziato il potere-dovere dell’amministrazione di
non iscrivere a ruolo le sanzioni fondate su accertamenti effettuati da
soggetti non legittimati.

Osservava, altresì, che all’epoca dei fatti la
questione fu decisa nel senso dell’illegittimità anche da una parte della
giurisprudenza amministrativa, che aveva dichiarato non legittimati alla rilevazione
delle violazioni del codice della strada gli ausiliari del traffico (cfr.
T.A.R., Fr. Ve. Gi., 26/5/1997, n. 395).

Riteneva che analoga incertezza giuridica e la
conseguente necessità di assicurare la legalità dell’azione amministrativa
avesse animato il Comune nel procedimento disciplinare avviato a seguito
dell’annullamento e dell’apposizione del nulla osta all’archiviazione, da parte
dello S., ad un ingente numero di preavvisi di infrazione (c.d. records)
elevati a carico di diversi automobilisti.

In questo caso, infatti, l’Ente aveva ritenuto
l’assenza del relativo potere in capo all’appellante sulla base della tesi
fatta propria dalla Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione
Marche, sentenza n. 1336 del 29/4/1997 e si era poi conformato alla valutazione
tecnica della Commissione di disciplina ai fini dell’adozione del provvedimento
di destituzione, annullato dal Consiglio di Stato per motivi prettamente
formali, salvo poi prendere atto dell’assenza di colpa grave dello S. (essendosi
in tal senso espressa la Corte dei Conti Centrale – Sez. II, sentenza n.
191/98/A del 2/9/1998, che aveva desunto l’assenza di colpa grave proprio
dall’incertezza ermeneutica ed applicativa riguardante la normativa di settore)
e a non procedere al rinnovo di tale procedimento di destituzione.

Riteneva, poi, del tutto priva di prova la
circostanza che il datore di lavoro avesse effettuato numerose contestazioni
disciplinari nei confronti dello S. al solo scopo di screditarle il prestigio
del lavoratore agli occhi dei vigili urbani.

Rilevava, al riguardo, che la perdita di prestigio
allegata dallo S. si configurava quale mera illazione priva di riscontro.

Anche in questo caso, quindi, doveva essere escluso
l’intento persecutorio dell’Ente, che aveva agito sulla base di fondati motivi
giuridici.

Quanto al trasferimento per incompatibilità
ambientale rilevava che la sussistenza di conflitti tali da indurre un altro
dipendente (T.) a ventilare l’ipotesi del pensionamento, pur di non lavorare
nuovamente con lo S., era idonea ad escludere che il trasferimento avesse
finalità persecutorie e che, al contrario, tale circostanza era indice del
fatto che il trasferimento fosse volto al ripristino della serenità
dell’ambiente di lavoro.

Anche analizzando i fatti che avevano dato origine
alle contestazioni, riteneva che il particolare rigore dell’amministrazione non
potesse essere ricondotto ad un intento persecutorio, quanto piuttosto ad una
legittima finalità retributiva della gravità dei comportamenti dello S.

12. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso D.S. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, ai quali ha
resistito con controricorso il Comune di Ancona.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087,
1218, 1224 e 2043 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per aver
offerto motivazione contraddittoria e insufficiente in relazione all’intento
persecutorio.

Sostiene:

– con riferimento alla vicenda relativa alla
sospensione delle multe elevate dagli ausiliari del traffico, che la Corte
territoriale avrebbe incentrato la propria valutazione, ai fini
dell’individuazione del profilo vessatorio, sul “dubbio” di legittimità delle
sanzioni irrogate senza tener conto del fatto che l’ordine impartito al
Comandante di non dar corso alle segnalazioni delle infrazioni rilevate dagli
ausiliari del traffico era in contrasto con la Convenzione ACI in vigore;

assume che in tal modo la Corte territoriale sia
incorsa in una violazione di legge ed avrebbe aggirato il principio di diritto
di cui alla sentenza rescindente;

– con riferimento alla vicenda delle archiviazioni
dei preavvisi di infrazione (c.d. records) e alla conseguente sanzione della
destituzione dal servizio dello S., che la Corte d’appello avrebbe addotto
argomenti in favore della legittimità del provvedimento disciplinare in ragione
di un contrasto di “opinioni” sulla questione e senza prendere in
considerazione, ai fini dell’intento persecutorio, quanto rilevato dal TAR
Marche in sede di impugnazione del provvedimento di destituzione e quanto
considerato dalla Corte dei Conti Centrale in sede di riforma della precedente
sentenza di condanna dello S., nonché quanto evidenziato dalla Prefettura di
Ancona in proprie lettere e circolari, la circostanza che altri soggetti
effettuavano l’archiviazione dei records, il fatto che il GIP di Ancona aveva
disposto l’archiviazione del procedimento penale a carico dello S. e il
contenuto della Consulenza Tecnica disposta dalla Procura di Ancona nell’ambito
del procedimento penale;

assume che la gravità del provvedimento
sanzionatorio (poi annullato) ed il mancato rinnovo del procedimento
disciplinare sarebbero sintomatici dell’intento di “annientare” lo S. nelle sue
legittime iniziative;

– con riferimento alle numerose contestazioni
disciplinari elevate nei confronti dello S. non seguite da sanzioni (non luogo
a procedere), che la Corte territoriale avrebbe reso una motivazione
“sbrigativa” e superficiale facendo leva sulla mancata dimostrazione
della perdita di prestigio e dell’intento persecutorio laddove la stessa
ripetitività e strumentalità delle contestazioni, inoltrate al comandante dei
Vigili, integrava in sé un comportamento volto a minare il prestigio del
Comandante;

– con riferimento alle contestazioni sfociate in
sanzioni disciplinari giudicate legittime dal giudice amministrativo, che la
Corte d’appello avrebbe escluso l’intento persecutorio soffermandosi sulla mera
legittimità dei provvedimenti adottati senza esaminare le specifiche risultanze
di causa;

assume, quindi, che la Corte territoriale avrebbe
disatteso il principio di diritto indicato nell’ordinanza di rinvio da questa
Corte;

– con riferimento alle contestazioni sfociate in
sanzioni disciplinari annullate dal giudice amministrativo, che la Corte
territoriale avrebbe omesso di operare una valutazione complessiva dei fatti e,
soprattutto, di considerare elementi decisivi e sintomatici dell’atteggiamento
persecutorio del datore di lavoro;

– con riferimento al demansionamento del ricorrente
ed al trasferimento al Servizio Statistica, che la Corte d’appello avrebbe
operato una valutazione esclusivamente tecnico-formale della vicenda senza
considerare la fattispecie oggetto di causa nel suo complesso.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087,
1218, 1224, 2043 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non
aver applicato i principi di diritto pronunciati dalla Cassazione con
l’ordinanza di rinvio.

Sostiene:

– con riferimento alla vicenda relativa alla
sospensione delle multe elevate dagli ausiliari del traffico, che la Corte
territoriale avrebbe considerato esclusivamente la legittimità del
provvedimento di sospensione, disattendendo il principio di diritto indicatole;

– con riferimento alla vicenda delle archiviazioni
dei preavvisi di infrazione (c.d. records) e alla conseguente sanzione della
destituzione dal servizio dello S., che la Corte d’appello avrebbe escluso
l’intento persecutorio con esclusiva valutazione della legittimità dell’operato
comunale;

– con riferimento alle numerose contestazioni
disciplinari elevate nei confronti dello S. non seguite da sanzioni (non luogo
a procedere), che la Corte d’appello avrebbe considerato solo il corretto agere
della P.A. senza valutare la fondatezza delle contestazioni;

– con riferimento alle contestazioni sfociate in
sanzioni disciplinari giudicate legittime dal giudice amministrativo, che la
Corte d’appello avrebbe applicato solo apparentemente ed in maniera distorta il
principio di diritto enunciato dall’ordinanza di rinvio;

– con riferimento alle contestazioni sfociate in
sanzioni disciplinari annullate dal giudice amministrativo, che la Corte
territoriale avrebbe considerato solo la legittimità dell’agere della P.A.,
applicando in modo non corretto il principio di diritto dettato da questa
Corte;

– con riferimento al demansionamento del ricorrente
ed al trasferimento al Servizio Statistica, che la Corte d’appello avrebbe
compiuto una valutazione non solo non pertinente rispetto all’oggetto di causa
ma anche scarna nella motivazione indicata.

3. I suddetti primo e secondo motivo di ricorso, da
trattare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili.

4. La Corte territoriale ha richiamato espressamente
i principi di diritto indicati da questa Corte nell’ordinanza rescindente.
Secondo la valutazione della Corte territoriale, ed in conformità a tali
principi di diritto, l’Ente aveva agito sulla base di motivi giuridici e mai
con la volontà di vessare o umiliare il ricorrente.

5. In particolare, con l’ordinanza rescindente,
questa Corte ha stabilito che l’elemento qualificante la condotta di mobbing
non è da ricercarsi nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì
nell’intento persecutorio che li unifica.

La Corte territoriale, nell’analisi dell’intera
vicenda di causa, ha ritenuto che tale elemento qualificante mancasse, anche in
considerazione dei comportamenti tenuti dal ricorrente e, con motivazione
puntuale ed articolata (come evidenziato nello storico di lite), ha escluso la
fondatezza della domanda evidenziando che non vi fosse prova degli elementi
costitutivi del mobbing, ed in particolare del suddetto intento persecutorio.

Contrariamente all’assunto del ricorrente, il
giudice di appello non ha affatto fondato la decisione su una definizione del
mobbing diversa da quella di cui alla pronuncia rescindente ma anzi ha
conformato la propria motivazione ai principi di diritto indicati
nell’ordinanza di rinvio.

6. Con riferimento alla questione riguardante la
legittimità delle multe che sanzionavano le infrazioni contestate da vigili
urbani, ma rilevate da ausiliari del traffico, la Corte d’appello, considerata
l’incertezza giuridica sulla questione e l’esigenza di garantire la legalità
degli atti, ha escluso un intento persecutorio dell’Ente volto a
“contrastare le iniziative del ricorrente”.

La Corte territoriale, in linea con i punti 7 e 7.1
dell’ordinanza di rinvio, secondo cui la legittimità dell’atto ha una rilevanza
indiretta per escludere la valenza mobbizzante dell’atto stesso ove il
lavoratore non adduca elementi di segno contrario, ha evidenziato che tali
elementi non fossero stati offerti in causa dall’appellante.

7. Il ricorrente critica l’impianto argomentativo
della Corte territoriale rilevando che, nel fare leva sulla mancata
dimostrazione della perdita di prestigio e dell’intento persecutorio, avrebbe
reso una motivazione “sbrigativa” e superficiale laddove la stessa ripetitività
e strumentalità delle contestazioni, integrava in sé un comportamento volto a
minare il prestigio del Comandante.

Invero, la Corte territoriale, in conformità con
quanto indicato da questa Corte, ha escluso che fosse stato dimostrato
l’intento persecutorio sulla base di plurime considerazioni.

Ha, così, evidenziato, in modo chiaro ed
approfondito, che il Comune, pur in presenza di elementi che portavano a
ritenere l’assenza in capo alla S. del potere di archiviazione in relazione ad
un ingente numero di preavvisi di infrazione (c.d. records), si fosse adeguato
alle decisioni della Commissione di disciplina e non avesse irrogato sanzioni
disciplinari (indice, questo, deponente in senso contrario ad un intento
persecutorio).

Riprendendo, poi, il punto 7.3 dell’ordinanza di
rinvio, ha considerato che tale giudizio fosse corroborato dai diversi episodi
in cui lo S., nell’ambito del proprio ruolo dirigenziale, aveva fatto un uso
distorto della finalità dei suoi poteri, circostanza, questa, che consentiva di
leggere diversamente il rigore dell’Ente che, nello specifico, era
doverosamente intervenuto per assicurare efficienza, legittimità e trasparenza
dell’azione amministrativa.

8. A parere del ricorrente, poi, il demansionamento
non sarebbe stato considerato dalla Corte territoriale dal punto di vista della
fattispecie in giudizio ma solo dal lato formale e tecnico.

In realtà, la Corte territoriale ha evidenziato come
il lamentato demansionamento non fosse stato provato in giudizio, tanto che lo
S. aveva continuato ad occupare un ruolo dirigenziale e nessun cambiamento di
area professionale era stato lamentato.

Ha, inoltre, precisato che il trasferimento
disciplinare avesse tratto origine da una incompatibilità ambientale emersa
dagli atti di causa (non solo dalle dichiarazioni del T. ma anche rispetto a
quanto accaduto nella riunione col Sindaco G.). Sul punto il ragionamento è del
tutto in linea con quanto indicato nella sentenza rescindente al punto n. 7.2,
ove si è evidenziato che va escluso l’intento persecutorio laddove gli
spostamenti siano effettuati dal datore di lavoro con l’intento di ripristinare
un ambiente di serenità lavorativa e gli stessi possono invece essere
apprezzati dal giudice per escludere una condotta mobbizzante.

10. Ed allora, a ben guardare, i motivi di ricorso
non prospettano alcuna erronea applicazione della legge e/o principio di
diritto indicato da questa Corte.

Nella specie, il ricorrente, pur denunciando nella
rubrica violazioni formalmente riconducibili all’art.
360, n. 3, cod. proc. civ., in realtà, incentra le proprie censure su una
non condivisa lettura delle risultanze istruttorie effettuata dalla Corte
territoriale in ottemperanza a quanto richiestole dal giudice di legittimità.

E’, infatti, invocata, nella sostanza, una
rivalutazione della ricostruzione fattuale operata dai giudici ai quali
compete, anche attraverso il riferimento a materiali istruttori, ricostruzione
che è invece affidata al sovrano apprezzamento del giudice di merito, in tal
modo travalicando i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come modificato
dall’art. 54 d.l. n. 83/2012,
convertito in legge n. 134/2012 ed
interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054
del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881
del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni
semplici).

11. Si aggiunga che anche laddove il ricorrente
denuncia espressamente la violazione del n. 5 dell’art.
360 cod. proc. civ., e lamenta una insufficiente e contraddittoria
motivazione, non solo fa riferimento a vizi non più presenti nella formulazione
novellata della disposizione ma non tiene in adeguato conto gli enunciati posti
dalle Sezioni unite con le citate sentenze nn.
8053 e 8054 del 2014.

Com’è noto, a seguito della indicata modifica
legislativa che ha reso deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo della
motivazione è stato confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta,
ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., configurabile
solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabilì e di “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. SS.UU.
n. 8053/14 cit.). Di talché, anche per questo verso, le censure mosse dal
ricorrente si palesano inammissibili atteso che la Corte territoriale ha
spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto perplessa, peraltro su
sollecitazione di questa Corte che aveva disposto il rinvio, le ragioni della
decisione.

E’ stato ulteriormente chiarito da questo Giudice di
legittimità che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove
non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio
denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel
paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc.
civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del
precedente n. 4, disposizione che, come detto, – per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c. – dà rilievo unicamente
all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante (v. Cass. 11892/2016; Cass, n. 23153/2018).

Inoltre, ai sensi del nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame
deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che
se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); in
conseguenza l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio
suddetto, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze istruttorie.

In ogni caso la parte che ricorre è tenuta ad
indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto
storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale,
da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale)
tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la ‘decisività’ del
fatto stesso.

Nella specie la stessa prospettazione di cui ai
motivi di ricorso non enuclea l’avvenuta omissione di fatti storici che abbiano
costituito oggetto di discussione tra le parti e che siano stati realmente
decisivi, essendo i rilievi incentrati piuttosto sulla mancata ovvero erronea
pronuncia su fatti asseritamente “rilevanti”, per di più rappresentati dal
mancato esame di deduzioni in punto di risultanze istruttorie.

12. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087
e 2043, in relazione all’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. per omissione,
insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza e sulla
quantificazione del danno causato dalle condotte di mobbing e con il quarto
motivo denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087 e 2043,
in relazione all’art. 360 n. 3, cod. proc. civ.
con riguardo alla corretta applicazione delle norme sulla sussistenza e sulla
quantificazione del danno in conseguenza alle condotte di mobbing.

Assume che:

– con riferimento alla violazione e/o falsa
applicazione di legge degli artt. 2087 e 2043, in relazione all’art.
360, n. 5, cod. proc. civ. la Corte d’appello avrebbe fornito una
motivazione contraddittoria sulla sussistenza e la quantificazione del danno ed
omesso di valutare l’allegata documentazione di causa inerente ad alcune
questioni riguardanti la valutazione del danno;

– con riferimento alla violazione e/o falsa
applicazione di legge degli artt. 2087 e 2043, in relazione all’art.
360, n. 3, cod. proc. civ. la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto di
quanto disciplinato dal codice civile in materia di sussistenza e
quantificazione del danno da condotta illecita.

13. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112
e 421 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.; la nullità della
sentenza in relazione all’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ., sia per l’omessa analisi delle censure relative alla violazione
di norme processuali in materia di prove sia per l’omissione, la insufficienza
e/o contraddittorietà della motivazione con riguardo alle censure in materia di
ammissibilità delle prove. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale non
avrebbe prodotto alcuna valutazione sulla inammissibilità della documentazione
prodotta nel corso di causa e che avrebbe dovuto, comunque, procedere
d’ufficio, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ.,
all’acquisizione della documentazione.

14. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di
ricorso sono inammissibili.

Le censure esposte attengono a questioni che la
Corte territoriale ha inteso assorbite nella affermata insussistenza
dell’elemento qualificante il mobbing.

15. Il ricorso deve, conseguentemente, essere
dichiarato inammissibile.

16. Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a
norma del comma 1-bis, dello stesso art.
13.

 

P.Q.M.

 

Dichiara il ricorso inammissibile, condanna il
ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Ancona, delle spese del
presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ad euro
5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso
forfetario in misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma
del comma 1-bis, dello stesso art.
14, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2021, n. 12632
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