Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 maggio 2021, n. 20416

Violazioni in materia di salute e di sicurezza del lavoro,
Epidemia colposa, Omessa doverosa integrazione del documento di valutazione
dei rischi, Responsabilità

Ritenuto in fatto

 

1. Il Tribunale per il riesame di Catania, adito ai
sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., il 18
giugno – 30 luglio 2020 ha annullato il decreto di sequestro preventivo (e di
convalida del sequestro di urgenza adottato dal P.M. il 12 maggio 2020) della
casa di riposo “D.B.” di Caltagirone, emesso il 14-15 maggio 2020 dal
G.i.p. del Tribunale di Caltagirone nei confronti di G.L., indagato per
epidemia colposa (artt. 438-452 cod. pen.) e per violazioni in materia di
salute e di sicurezza del lavoro (artt.
65, 68 e 271 del d. Igs. 9 aprile 2008, n.
81), fatti ipotizzati come commessi tra il 22 aprile ed il 5 maggio 2020.

2. G.L. risulta essere il legale rappresentante
della società cooperativa sociale che gestisce la casa di riposo
“D.B.” di Caltagirone, oggetto di accertamenti da parte dei
Carabinieri compendiati nelle note del 4, del 5, del 7 e dell’11 maggio 2020,
che hanno segnalato, tra l’altro, la omessa doverosa integrazione del documento
di valutazione dei rischi con le procedure previste dal D.P.C.M. 24 aprile 2020 e l’omesso aggiornamento
dello stesso.

3. Ricorre per la cassazione dell’ordinanza il
Procuratore della Repubblica del Tribunale di Caltagirone, affidandosi a due
motivi con i quali denunzia violazione di legge.

3.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 438 e 452 cod.
pen.

Rammenta che il Tribunale ha ritenuto che il reato
di epidemia colposa postuli necessariamente una condotta commissiva a forma
vincolata, di per sé incompatibile con la responsabilità a titolo di omissione
e, quindi, con il disposto dell’art 40, comma 2,
cod. pen., che si riferisce solo ai reati a forma libera.

Secondo il P.M., invece, l’inciso “mediante la
diffusione di germi patogeni” di cui all’art.
438 cod. pen. non rappresenta una peculiare modalità di realizzazione della
condotta ma specifica il tipo di evento che la norma penale punisce in caso di
verificazione: la fattispecie di cui agli artt. 438-452 cod. pen., per ragioni sia testuali che
sistematiche, non esige una condotta commissiva a forma vincolata e, di per sé,
non è incompatibile con una responsabilità di tipo omissivo.

In tal senso – sottolinea il ricorrente – si è
pronunziata la Corte di cassazione nella motivazione della sentenza di Sez. 1,
n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791-01.

Prosegue così il ricorso: «Orbene, il COVID-19 è una
malattia infettiva ad alto tasso di contagiosità (tanto da essere stata
dichiarata “pandemia”), che, diffondendosi con elevata rapidità per
via aerea e/o tramite contatto con superfici contaminate, desta un notevole
allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato di persone,
propria a casa della sua capacità di propagazione. Pertanto, alla luce delle
superiori considerazioni, anche la mancata integrazione e/o l’omesso
aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi rispetto al rischio
biologico in generale, e a quello da COVID-19 in particolare, costituiscono
condotte che integrano gli estremi della fattispecie incriminatrice di cu agli artt. 438 e 452 c.p.,
a fronte della loro efficienza causale a cagionare un’epidemia a titolo
colposo, come del resto si è verificato nel caso di specie, ove numerosi
anziani (oggi deceduti) e lavoratori dipendenti sono risultati positivi al
virus» (così alla pp. 3-4).

3.2. Con l’ulteriore motivo il ricorrente censura la
violazione degli artt. 324, comma 7, 309, comma 9, e 321
cod. proc. pen., nella parte in cui il sindacato giurisdizionale non si è
limitato ad accertare la possibilità di sussumere la fattispecie concreta in
una delle figure di reato prospettate dal Pubblico Ministero (comprese quelle
concernenti le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro) ma si è spinto, eccedendo – si ritiene – i poteri al
Tribunale spettanti, a sindacare la concreta fondatezza dell’ipotesi
accusatoria.

Si chiede, dunque, l’annullamento dell’ordinanza
impugnata.

4. Il P.G. della Corte di cassazione nelle
conclusioni scritte del 15 febbraio 2021 (ex art. 23, comma 8, del d.l. 28
ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella I. 18 dicembre 2020, n. 176) ha chiesto il
rigetto del ricorso.

5. Con ampia memoria, con allegati, in data 16
febbraio 2021 la difesa di G.L. ha chiesto rigettarsi il ricorso del P.M., per
manifesta infondatezza dello stesso.

 

Considerato in diritto

 

1. Va premesso che il ricorso è tempestivo: infatti
l’ordinanza impugnata risulta comunicata il 12 agosto 2020 al P.M., la cui
impugnazione è stata depositata nella Cancelleria del Tribunale il 15 settembre
2020, quindi nei termini (a decorrere dal 1° settembre 2020): si applica,
infatti, in materia di sequestri la generale disposizione di cui all’art. 585, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. in
tema di impugnabilità dei provvedimenti emessi in camera di consiglio (come
precisato già da Sez. U, n. 5 del 20/04/1994, Iorizzi, Rv. 197701, e
costantemente seguito dalle Sezioni semplici, sino alla recente Sez. 3, n.
13737 dei 15/11/2018, dep. 2019, Ficarra, Rv. 275190).

2. Nel merito, il ricorso è infondato, per le
seguenti ragioni.

2.1. Quanto al primo motivo, con il quale il
ricorrente contesta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui il reato
contestato “evoca necessariamente una condotta commissiva a forma
vincolata di per sé incompatibile con una responsabilità a titolo di omissione
e, quindi, con il disposto dell’art. 40, comma
secondo, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma
Ubera” (pp. 3-4 dell’ordinanza impugnata), osserva il Collegio quanto
segue.

L’ordinanza del Tribunale richiama espressamente il
recente precedente di legittimità secondo il quale «In tema di delitto di
epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione
in quanto l’art. 438 cod. pen., con la
locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una
condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma secondo, cod. pen., riferibile
esclusivamente alle fattispecie a forma libera» (Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017,
dep. 2018, Giacomelli, Rv. 272261, v. specc. punti nn. 2., 2.1., 2.2. e 2.3.,
pp. 13-14, del “ritenuto in diritto”).

Non conferente, invece, poiché relativo a fatto del
tutto diverso, il precedente di Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791,
richiamato sia nel ricorso che nella memoria difensiva.

In ogni caso, l’ordinanza giustifica la decisione di
annullamento con una “doppia motivazione” con la quale il ricorrente
non si confronta.

Infatti, dopo avere affermato la inconfigurabilità
in diritto (pp. 3-4), il Tribunale afferma che, «In ogni caso, ritiene il
Collegio che, anche a voler aderire all’orientamento minoritario della dottrina
e della giurisprudenza che qualificano il reato di epidemia colposa nella
categoria dei c.d. “reati a mezzo vincolato” e come tali compatibili
di essere convertiti, mediante la clausola di equivalenza di cui all’art. 40, secondo comma, c.p., in illeciti omissivi
impropri, nel decreto di sequestro preventivo disposto in via d’urgenza il
12.05.2020 dal p.m. ex art. 321, comma 3 bis,
c.p.p. e nel successivo decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip di
Caltagirone, ex art. 321 c.p.p., il 14.05.2020,
non vengono dedotti né illustrati gli elementi e le ragioni logico-giuridiche
in base ai quali la condotta omissiva ascritta all’indagato sia causalmente
collegabile alla successiva diffusione del virus da Covid-19 tra i pazienti ed
il personale dalla casa di riposo diretta dal ricorrente […] Il Tribunale
ritiene che, in applicazione delle teoria condizionalistica oriegtata secondo
il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, in assenza di
qualsivoglia accertamento circa l’eventuale connessione tra l’omissione
contestata al ricorrente e la seguente diffusione del virus non sia possibile
ravvisare, nel caso de quo, la sussistenza del nesso di causalità tra detta
omissione e la diffusione del virus all’interno della casa di riposo.

Ed invero, alla stregua del giudizio controfattuale,
ipotizzando come realizzata la condotta doverosa ed omessa dall’indagato, non è
possibile desumere “con alto grado di credibilità logica o credibilità
razionale” che la diffusione/contrazione del virus Covid-19 nei pazienti e
nei dipendenti della casa di riposo sarebbe venuta meno. Non è da escludere,
infatti, che qualora l’indagato avesse integrato il documento di valutazione
dei rischi e valutato il rischio biologico, ex art. 27 D. Igs. 81/2008, la
propagazione del virus sarebbe comunque avvenuta per fattori causali
alternativi (come ad esempio per la mancata osservanza delle prescrizioni
impartite nel DPCM per le case di riposo quali di indossare le mascherine
protettive, del distanziamento o dell’isolamento dei pazienti già affetti da
covid, ovvero a causa del ritardo negli esiti del tampone). Quanto accertato,
dunque, non è sufficiente a far ritenere, in termini di qualificata probabilità
richiesta in questa sede, la ricorrenza del fumus della fattispecie di epidemia
colposa» (così alle pp. 4-5 del provvedimento impugnato).

Si tratta, con ogni evidenza, di motivazione
esistente, non incongrua e non illogica, di per sé non sindacabile in sede di
legittimità.

2.2. Quanto, poi, al secondo motivo di impugnazione,
secondo il quale il Tribunale non si sarebbe limitato a verificare il fumus
boni iuris, ma sarebbe entrato nel merito delle accuse, si rinviene adeguata
risposta alla p. 2 dell’ordinanza impugnata, che richiama precedenti di legittimità
pertinenti, in linea con il principio di diritto puntualizzato, tra le altre:

da Sez. 26, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018,
Polifroni e altro, Rv. 272927-01, secondo cui «Nella valutazione del
“fumus commissi delicti “, quale presupposto del sequestro
preventivo, il giudice deve verificare la sussistenza di un concreto quadro
indiziario, non potendosi limitare alla semplice verifica astratta della
corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa»;

da Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, P.M. in proc.
Macchione, Rv. 26543301, secondo cui «Ai fini dell’emissione del sequestro
preventivo il giudice deve valutare la sussistenza in concreto del “fumus
commissi delicti” attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze
processuali, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza
della fattispecie dedotta, all’esito della quale possa sussumere la fattispecie
concreta in quella legale e valutare la plausibilità di un giudizio prognostico
in merito alla probabile condanna dell’imputato» ;

e da Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, Vecchione Rv.
253508-01, secondo cui «Nel sequestro preventivo la verifica del giudice del
riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza
dell’accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in
una determinata ipotesi di reato; pertanto, ai fini dell’individuazione del
“fumus commissi delicti”, non è sufficiente la mera
“postulazione” dell’esistenza del reato, da parte del pubblico
ministero, in quanto il giudice del riesame nella motivazione dell’ordinanza
deve rappresentare in modo puntuale e coerente le concrete risultanze
processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e
dimostrare la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti
cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame».

Nello stesso senso, tra le numerose altre decisioni
di legittimità conformi, si richiamano Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014,
Armento, Rv. 261677; Sez. 5, n. 28515 del 21/05/2014, Ciampani ed altri, Rv.
260921; Sez. 3, n. 26197 del 05/05/2010, Bressan, Rv. 247694; Sez. 5, n. 37695
del 15/07/2008, Cecchi Gori e altro, Rv. 241632; Sez. 4, n. 10979 del
29/01/2007, Veronese, Rv. 236193.

Occorre, infine, convenire con il difensore
dell’indagato La Rosa, allorquando osserva (alla p. 3 della memoria del 16
febbraio 2021) che il sequestro è stato disposto solo in relazione al reato di
epidemia colposa, come risulta testualmente dal contenuto di p. 1 del decreto
del G.i.p. di Caltagirone del 14-15 maggio 2020 (v. pp. 197-198 degli atti
trasmessi dal P.M. al Tribunale per il riesame).

3. Consegue il rigetto dell’impugnazione.

Nulla per le spese, essendo il ricorrente Parte
pubblica.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 maggio 2021, n. 20416
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