Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2021, n. 14689

Rapporto di lavoro subordinato, Prova, Accertamenti
ispettivi dell’INPS, Obbligo contributivo

Rilevato che

 

Con sentenza n. 297 del 2015, la Corte d’appello di
Bologna, giudicando sulla impugnazione proposta da T. di E.B. & c. s.n.c. e
da M.T.G. ed in riforma parziale della sentenza di primo grado, ha, fra l’altro
e per quanto qui di interesse, dichiarato insussistente l’obbligo contributivo
preteso dall’Inps e dall’Inail in ragione della natura subordinata dei rapporti
di lavoro intercorsi tra la società ed E.C. e I.M.;

la Corte territoriale, per quanto qui di interesse,
dopo aver ricordato che la domanda di accertamento negativo era stata proposta
dalle parti appellanti per contestare gli accertamenti ispettivi dell’INPS che
avevano qualificato in termini di subordinazione i rapporti di lavoro della
lavoratrice E.C. (che aveva reso secondo la società lavoro occasionale
accessorio ex art. 70, comma 1 bis
d.lgs. n. 276 del 2003) e della lavoratrice M. (indicata dalla società
quale lavoratrice autonoma occasionale con la quale per mero errore era stato
concluso contratto ai sensi dell’art.
61, comma 2 lett. D, d.lgs. n. 276 del 2003), ha attribuito all’INPS
l’onere della prova circa i presupposti in fatto degli obblighi contributivi
pretesi ed ha valutato insussistenti le prove della subordinazione sia rispetto
al rapporto di lavoro della C. che quanto alla posizione della M.; per
quest’ultima, insussistente il vincolo della subordinazione, la Corte ha
confermato la qualificazione – data a suo tempo dalle parti- quale rapporto di
prestazione d’opera occasionale ex art.
61, comma 2, d.lgs n. 276 del 2003 nel periodo 1 luglio 2011 – 30 luglio
2011, mentre le altre collaborazioni si erano risolte in singoli incarichi dati
di volta in volta ;

avverso tale sentenza ricorre per la parziale
cassazione l’INPS sulla base di un motivo;

resistono con controricorso T. di E.B. & c.
s.n.c. nelle persone delle legali rappresentanti B.E. e T.G., quest’ultima
anche in proprio;

 

Considerato che

 

con l’unico motivo di ricorso, l’INPS denuncia la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 61, comma 2, e 69, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003
in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod.
proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di considerare che dalle
risultanze della espletata istruttoria (in particolare dal contenuto del
verbale ispettivo del 27 settembre 2011 e dagli stessi atti di parte) era
emersa la corrispondenza dell’attività prestata dalle lavoratrici C. e M. a
collaborazioni espletate per periodi superiori ai 30 giorni nell’anno solare,
con la conseguenza che, per tale via, comunque si sarebbe dovuto giungere alla
conclusione della natura subordinata dei due rapporti in esame non essendo
stato accertata la presenza di un valido progetto;

il motivo è da rigettare;

l’art.
61, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003 (abrogato dal d.lgs. n. 81 del 2015 ma vigente all’epoca dei
fatti) prevede(va) l’esclusione dalla disposizione di cui al comma 1 (che
richiedeva la riconducibilità dell’attività dei collaboratori coordinati e
continuativi a progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati
dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del
risultato) delle prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di
durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con
lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel
medesimo anno solare fosse superiore a 5 mila euro, nel qual caso trova(va)no
applicazione le disposizioni contenute nel capo relativo al lavoro a progetto;

è dunque evidente che la fattispecie che il
ricorrente richiama, al fine di ritenere non qualificabili come prestazioni
occasionali quelle rese dalle due lavoratrici, richiede che in fatto sia stato
accertato che ciascuna delle lavoratrici abbia intrattenuto rapporti lavorativi
superiori ai trenta giorni nel corso di un anno solare salvo che il compenso
percepito complessivamente nello stesso arco temporale superi l’importo di
cinquemila euro;

affinché dunque si possa far valere in sede di
legittimità il vizio di violazione di questa disposizione è necessario provare
che la sentenza impugnata abbia errato nella sua applicazione pur avendo
accertato i fatti dalla medesima previsti;

infatti, (Cass. SS. UU. n. 25573 del 2020) la
deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo
scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che
l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il
rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale,
derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione
nel senso auspicato dal ricorrente;

nel caso di specie, non può ritenersi che la
sentenza impugnata abbia positivamente accertato i fatti di cui sopra nel senso
prospettato dal ricorrente, posto che si è limitata a negare la configurabilità
della subordinazione sia quanto alla C. che quanto alla M.; anzi, alla pagina
9, la sentenza ha accertato la genuinità del contratto di collaborazione
occasionale stipulato tra la società e la M.;

non è poi vero che dalla sentenza impugnata emerga
quale fatto incontestato tra le parti il presupposto fattuale posto a
fondamento del motivo, né il ricorrente ha censurato la sentenza per violazione
dell’art. 115 c.p.c.;

dunque, l’esame del motivo- ad onta dei richiami
normativi ivi contenuti- si risolverebbe in una inammissibile rivisitazione del
materiale di causa e richiederebbe un nuovo apprezzamento nel merito;

pertanto, il ricorso va rigettato;

le spese del presente giudizio, per il principio
della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come
da dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro
3000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella
misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis, ove
dovuto.

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