Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2021, n. 16917

Licenziamento collettivo, Indennità sostitutiva del preavviso
– Riduzione, Specifiche intese modificative di regolamentazioni anche
disciplinate dal CCNL di categoria, Determinazione unilaterale dei criteri di
scelta

 

Rilevato che

 

Con sentenza in data 20 novembre 2017, la Corte
d’appello di Firenze ha respinto l’appello proposto dalla B.M.P.S. avverso la
decisione del Tribunale di Siena che aveva riconosciuto il diritto di G.M. alla
corresponsione in proprio favore della differenza fra quanto riconosciutogli a
titolo di indennità sostitutiva del preavviso all’esito di procedura di
licenziamento collettivo conclusasi con accordo sindacale ex artt. 4 e 24 L. n.
223 dei 1991, pari a tre mensilità di retribuzione e quanto invece previsto
dalla contrattazione nazionale di categoria – pari a sei mensilità -; in
particolare, la Corte, condividendo l’iter argomentativo del Tribunale, ha
ritenuto la contrattazione decentrata non abilitata a modificare la disciplina
del CCNL quanto ai trattamenti economici e normativi, ha escluso nella specie
l’applicabilità dell’art. 8 del D.L. n. 138 del 2011 ed ha, infine, reputato
irriducibile la previsione impugnata all’oggetto tipico degli accordi previsti dalla
legge n. 223 del 1991;

per la cassazione della sentenza propone ricorso
B.M.P.S. S.p.A., affidandolo a tre motivi;

resiste, con controricorso, G.M.

 

Considerato che

 

con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 5 I. n. 223 del 1991, 1362, 1363 e
1366 cod. civ., circa l’interpretazione dell’accordo collettivo di mobilità del
28 dicembre 2012;

con il secondo motivo si allega la violazione e
falsa applicazione dell’art. 8 del dl. n. 138 del 2011, convertito dalla legge
n. 148 del 2011 e dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale in
ordine alla configurabilità del contratto aziendale come “specifica
intesa” ai sensi dell’art. 8;

con il terzo motivo si censura la decisione
impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366
cod. civ. con riguardo all’art. 1 dell’Accordo Quadro del 24 ottobre 2011 e
degi artt. 6 e 28 del CCNL 19 gennaio 2012;

i tre motivi, da esaminare congiuntamente per
ragioni logico- sistematiche, sono fondati;

– giova premettere come sia indubbio il carattere
generale del principio per cui alla contrattazione collettiva non è consentito
incidere, in relazione alla regola dell’intangibilità dei diritti quesiti, su
posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei
lavoratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da
parte degli stessi (vedi, fra le tante Cass. n. 16089 del 2014 Cass. n. 6845
del 1994, Cass. n. 9734 del 1998; Cass. 2362 del 2004); inoltre, va richiamato
il principio secondo cui i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono
applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle
organizzazioni sindacali stipulanti (con l’unica eccezione di quei lavoratori
che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono
l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e siano eventualmente vincolati ad
un accordo sindacale separato e diverso, vedi: Cass. n. 10353 del 2004; Cass.
n. 6044 del 2012);

nel caso di specie la Corte ha escluso che la
previsione concernente l’ammontare dell’indennità di preavviso, commisurata in
tre mensilità in luogo delle sei previste dalla contrattazione collettiva,
potesse essere ricompresa nell’ambito degli accordi riconducibili agli artt. 4,
5 e 24 della L. n. 223 del 1991;

in particolare, ha ritenuto il giudice di secondo
grado che, sulla scorta della giurisprudenza della Corte costituzionale, con il
richiamo agli accordi “gestionali” ci si riferisca ad accordi
generalmente anche se non necessariamente aziendali, variamente disciplinati
dalla legge ma comunque non diretti a regolare i rapporti di lavoro, quanto,
piuttosto, a procedimentalizzare i poteri datoriali;

ritiene il Collegio indubitabile che con la sentenza
n. 268 del 1994, la Corte costituzionale abbia rilevato come la legge,
rimettendo la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità “ai criteri
previsti dai contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’art. 4,
comma 2 … non preveda alcun potere sindacale di deroga a norme imperative dì
legge, bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta,
originariamente spettante all’imprenditore nell’esercizio del suo potere
organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente
rappresentativi”, in tal modo, appunto procedimentalizzando il potere
datoriale;

appare evidente come tale procedimentalizzazione
risponda all’esigenza di favorire una gestione concordata della messa in
mobilità dei lavoratori, poiché mira a consentire un adattamento dei criteri di
individuazione del personale in esubero alle condizioni concrete dei processi
di ristrutturazione aziendale;

al contempo, accordi come quelli di cui all’art. 5
della legge n. 223 del 1991, hanno effetti diretti esclusivamente nei confronti
dell’imprenditore stipulante, in quanto limite all’esercizio dei suoi poteri,
sicché, il contratto cui la legge rinvia “incide sul singolo prestatore di
lavoro indirettamente, attraverso l’atto di esercizio del potere datoriale
(nella specie, di recesso) in quanto vincolato dalla legge al rispetto dei
criteri di scelta concordati in sede sindacale” (Cfr. Corte cost. n. 268
del 1994, cit.);

ritiene, tuttavia, questa Corte di non poter
condividere l’iter argomentativo del giudice di secondo grado che proprio dalla
struttura di tali accordi ha fatto discendere l’incidenza degli stessi sul
potere datoriale, escludendo che pari efficacia possa attribuirsi a
pattuizioni, pure contenute in accordi conclusi all’esito della procedura di
cui alla legge n. 223 del 1991 ma dotati di diverso contenuto, in particolare
escludendo quel contenuto immediatamente regolativi dei rapporti di lavoro
tipico del contratto collettivo “normativo” la cui efficacia erga
omnes può essere riconosciuta esclusivamente in presenza delle condizioni di
cui all’art. 39 Cost.;

così operando, infatti, la Corte territoriale ha
considerato partitamente la clausola relativa all’accordo di mobilità,
ritenendo, da un lato, che il licenziamento del M. trovasse il proprio cardine
in un contratto attinente alla gestione concordata della messa in mobilità dei
lavoratori e, dall’altro, che la previsione sulla indennità sostitutiva del
preavviso, in quanto immediatamente regolativa dei rapporti di lavoro non fosse
applicabile al dipendente interessato;

appare inconferente, in questa sede, l’argomento
secondo cui la sola formale collocazione di una determinata previsione in un
accordo riconducibile alla legge n. 223 del 1991 non sia idonea, per sé, ad
attribuire a qualsiasi disposizione una efficacia erga omnes conducendo ad una
violazione della norma costituzionale che assegna determinati effetti
esclusivamente ad accordi conclusi dalle associazioni di cui all’ultimo comma
dell’art. 39 Cost.;

giova, piuttosto, richiamare, seppur sommariamente,
la sezione rilevante dell’accordo di mobilità stipulato il 29 dicembre 2012 –
correttamente riportato in atti – là dove si legge: “in applicazione di
detto art. 8 e in ottemperanza alle previsioni del già citato Accordo 19
dicembre 2012 (su cui, postea), le parti addivengono pertanto alla
quantificazione di n. 947 risorse eccedenti… cesseranno dal servizio…
prioritariamente, a partire dall’1.1.2013 fino all’1.1.2013, i lavoratori che
abbiano maturato o maturino i requisiti di legge previsti per aver diritto ai
trattamenti pensionistici AGO, con il riconoscimento di n. 3 mensilità di
indennità sostitutiva del preavviso”;

segue a tale previsione la procedimentalizzazione
della procedura di riduzione del personale atteso che la Banca, anziché
procedere unilateralmente al licenziamento, applicando, tout court, i criteri
legali di scelta, ha concordato con il sindacato una scelta prioritaria
relativa ai lavoratori che, come l’attuale controricorrente, avessero già
maturato il diritto alla pensione entro il 2012 e, proprio con riguardo a questi
ultimi, è stato previsto che venisse riconosciuta un’indennità per il mancato
preavviso in misura pari a tre mensilità (essendo, invece, prevista, per coloro
che fossero destinati a maturare quel diritto entro il 2017, l’erogazione delle
prestazioni del c.d. fondo di solidarietà);

emerge inconfutabilmente dalla disposizione
descritta il collegamento funzionale fra la previsione concordata di una
riduzione della indennità spettante a titolo di mancato preavviso (dalle sei
previste dal CCNL alle tre mensilità oggetto di accordo) con la definizione,
anch’essa concordata e non unilaterale, dell’esercizio del potere di recesso;

va evidenziato, al riguardo, come questa Corte
(cfr., sul punto, Cass. 22/07/2019 n. 19660) in fattispecie consimile,
riguardante la procedura di mobilità di altro Istituto di credito, abbia
considerato legittima la integrale rimozione del diritto a percepire
l’indennità sostitutiva del preavviso (in quel caso prevista), in quanto
concordata dalle parti all’evidente scopo di ridurre i costi della procedura:
in quella occasione fu affermato che la deroga al principio generale che
prevede la corresponsione dell’indennità in oggetto, era stata introdotta
proprio per far fronte a una ben nota situazione di crisi aziendale ed
occupazionale e che l’accordo derogatorio, trasfuso nell’accordo raggiunto
nell’ambito della procedura di mobilità, non si poneva in contrasto con
principi dettati nella Carta Costituzionale né violava vincoli derivanti da
normative comunitarie e da convenzioni internazionali sul lavoro (cfr. in
questi termini, Cass. n. 19660 del 2019, cit.);

proprio a tale ultimo riguardo, va rilevato che
effettivamente la Carta Sociale Europea (riconosciuta, a partire dalla sentenza
della Corte Costituzionale n. 194 del 2018 quale parametro interposto per la
valutazione della costituzionalità di una norma nazionale), all’art. 4, prevede
che “per garantire l’effettivo esercizio del diritto ad un’equa
retribuzione” le parti si impegnano a “riconoscere il diritto di
tutti i lavoratori ad un ragionevole periodo di preavviso nel caso di
cessazione del lavoro” e, tuttavia, una indennità sostitutiva parametrata
su un periodo di preavviso di tre mesi può senz’altro essere reputata adeguata
alle peculiarità della fattispecie di cui si tratta, richiedente un concreto,
ragionevole bilanciamento tra contrapposte esigenze, come definito
concordemente in sede di contrattazione collettiva;

tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte
(nel senso della efficacia obbligatoria del preavviso cfr. Cass. 22/07/2019 n.
19660 cit., Cass. 06/06/2017 n. 13988, 17/01/2017 n. 985, 30/09/2013 n.
22322,04/11/2010 n. 22443, 21/05/2007 n. 11740) va rilevato che l’esercizio
della facoltà di recedere con effetto immediato determina l’insorgere
dell’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità
sostitutiva del preavviso, obbligazione pecuniaria che ben può costituire
oggetto di accordo e di rinuncia (cfr. Cass. 18/06/2015 n. 12636 e 28/09/2010
n. 20358) ed è pertanto suscettibile di essere oggetto di definizione
concordata tra le parti sociali, chiamate, nel contesto di una crisi aziendale,
a mediare per assicurare la prosecuzione dell’attività di impresa e la
conservazione dei livelli di occupazione;

tutta la procedura in questione, allora, sulla base
del richiamato accordo, appare perfettamente riconducibile nell’ambito della
previsione di cui all’art. 8 comma 2 bis del d.l. n. 138 del 2011 conv. dalla
legge n. 148 del 2011;

tale disposizione prevede che le parti collettive,
fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle
normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, con le
intese di cui al comma 1 della stessa norma – finalizzate alla maggiore
occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di
partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli
incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e
occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività – possano
operare anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie
richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei
contratti collettivi nazionali di lavoro e, pertanto, anche in ordine alle
“conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il
licenziamento discriminatorio”;

nel caso di specie, le parti sociali, nell’accordo
sottoscritto in data 29 dicembre 2012, con il quale hanno disciplinato la
procedura di licenziamento collettivo, hanno stabilito che l’azienda avrebbe
riconosciuto a coloro che fossero stati, si ripete, prioritariamente
considerati ai fini dell’esodo in quanto più vicini alla soglia dell’età
pensionabile, una indennità sostitutiva del preavviso di tre mensilità anziché
di sei;

orbene, non v’è dubbio che La Corte Costituzionale,
con la sentenza n. 221 del 2012 abbia ritenuto tassativa l’indicazione delle
materie contenute nel comma 2 dell’art. 8 cui ha riconosciuto il carattere di
norma eccezionale e perciò, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, non applicabile
oltre i casi e i tempi in essa considerati, ma, nel caso di specie,
contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’art.8,
contemplando, fra le altre ipotesi, quella concernente la “gestione delle
crisi aziendali ed occupazionali”, induce a reputare ben ammissibili
“specifiche intese” con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori
interessati, ovviamente, come nella specie, solo nel rispetto delle esigenze di
rappresentatività previste dalla medesima disposizione e con particolare
riguardo alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”;

la previsione contrattuale si configura, d’altro
canto, rispettosa anche del combinato disposto degli artt. 1 dell’Accordo
Quadro sugli assetti contrattuali e 6, comma 2, del CCNL 19 gennaio 2012;

a mente della prima norma, infatti, i contratti
collettivi aziendali o di gruppo possono definire, anche in via sperimentale e
temporanea – fra l’altro, per contenere gli effetti economici derivanti da
situazioni di crisi aziendale o di gruppo – specifiche intese modificative di
regolamentazioni anche disciplinate dal CCNL di categoria; a mente della
seconda, i contratti aziendali o di gruppo, possono, sempre nel caso di cui
sopra, definire specifiche intese modificative di regolamentazioni anche disciplinate
dal CCNL di categoria, relativamente, fra l’altro alla prestazione: non può
revocarsi in dubbio che, fra le stesse, confluiscano le pattuizioni concernenti
l’indennità sostitutiva del preavviso; in sostanza, l’Accordo con il quale è
prevista la clausola che ha ridotto l’indennità sostitutiva del preavviso da
sei a tre mensilità, a fronte di una severa e ben nota situazione di crisi
aziendale ed occupazionale si mantiene in quella prospettiva di maggior tutela
dei lavoratori al fine di assicurare un minor costo sociale dell’operazione e
di salvaguardare la prosecuzione dell’attività d’impresa e la relativa
occupazione secondo le finalità cui è diretta la stessa legge n. 223 del 1991
(cfr. al riguardo Cass. 03/11/2016 n. 22789);

alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso
deve essere accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
decidendosi la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 comma secondo, cod.
proc. civ., va respinta la domanda originariamente avanzata da G.M.;

la novità e complessità delle questioni involte
dalla peculiarità del caso concreto suggerisce di disporre l’integrale
compensazione delle spese dei due gradi di merito del giudizio e del presente
giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso e, decidendo nel merito,
respinge la domanda avanzata da G.M.. Compensa le spese dell’intero processo.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2021, n. 16917
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