Per trasferimento del ramo d’azienda s’intende ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità. Il che presuppone, comunque, una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma, vale a dire la capacità di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzata nell’ambito dell’impresa cedente. Tale situazione è ravvisabile anche rispetto ad un complesso stabile organizzato composto solamente da persone.

Nota a Cass. 31 maggio 2021, n. 15129

Flavia Durval

La cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (Cass. n. 19034/2017; Cass. n. 22125/ 2006; Cass. n. 13068/2005; n. 17919/2002).

Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (31 maggio 2021, n. 15129, conf. a App. Roma 24 agosto 2015), la quale precisa che, ai sensi del co.5, art. 2112 c.c. (come mod. dall’art. 32 D.LGS. 10 settembre 2003, n. 276), “…si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento” (disposizione coerente con la Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE (che ha proceduto alla codificazione della Direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1).

In sintesi, la norma comporta soltanto che “all’esito della possibile frammentazione di un processo produttivo prima unitario, debbano essere definiti i contenuti e l’insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale apprezzabile da un punto di vista oggettivo”.

Il fatto che la nuova disposizione abbia rimesso al cedente e al cessionario il compito di identificare l’articolazione che costituisce oggetto della cessione non significa rimettere ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta come ramo (facendo dipendere dall’autonomia privata l’applicazione della speciale disciplina in questione). Non è cioè consentita la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, “essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito” (v. fra tante, Cass. n. 19141/2015 e Cass. n. 8757/2014).

In questo quadro, la giurisprudenza (Cass. n. 28593/2018) non disconosce la legittimità di cessioni di rami aziendali “dematerializzati” o “leggeri” dell’impresa, nei quali il fattore personale risulti preponderante rispetto ai beni (v. Corte di Giustizia UE 20 gennaio 2011, C-463/09, punto 36). Sicché oggetto del trasferimento del ramo può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (è questo il caso della successione negli appalti laddove i lavoratori invocano l’applicazione dell’art. 2112 c.c. per transitare nell’impresa subentrante, v. Cass. n. 9957/2014 e Cass. n. 21917/2013). Anche se, in questo caso, spetta al giudice di merito verificare  se il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato “di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio”, in modo da scongiurare “operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev’essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato” (in termini,  Cass. n. 11247/2016; v. anche Corte di Giustizia UE 13 giugno 2019, C-664/2017, punto 69).

Trasferimento di ramo d’azienda
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