Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17422

Illecita interposizione di manodopera, Accertamento,
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato,
Corresponsione di somme di denaro in favore dei lavoratori subordinati

 

Rilevato

 

che il Tribunale di Roma, con la sentenza n.
12245/2009, depositata il 3.9.2009, accertata – su domanda di M.M. – la
sussistenza di una illecita interposizione di manodopera aveva dichiarato
l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ancora
in essere>> tra il medesimo M. e la S. Società Generale d’informatica
S.p.A. (d’ora in avanti: S. S.p.A.), ed ordinato a quest’ultima il ripristino
del rapporto di lavoro; per la qual cosa, il lavoratore, offerta invano la
propria prestazione lavorativa, aveva chiesto al Tribunale della stessa sede,
in via monitoria, il pagamento delle retribuzioni maturate successivamente alla
sentenza, sino al febbraio 2010; e, con decreto n. 2123 in data 25.3.2010, il
Tribunale adito aveva ingiunto alla società datrice di versare al M. la somma
di Euro 12.256,17, sulla base del VI livello del CCNL
Metalmeccanici, pacificamente applicato al rapporto, oltre accessori, come
per legge;

che il medesimo Tribunale, con la sentenza n. 20225,
resa il 16.12.2010, accogliendo l’opposizione della S. S.p.A., aveva revocato
il decreto ingiuntivo opposto e rigettato la domanda del M., sul presupposto
che, al di fuori di casi specifici, espressamente previsti dalla legge,
<<il diritto al pagamento della retribuzione non sorge nell’ipotesi in
cui, pur essendo formalmente in essere un rapporto di lavoro, sia carente la
prestazione lavorativa, in conseguenza dell’insussistenza del sinallagma
funzionale del contratto>> e che, dunque, per il periodo di cui si
tratta, <<al ricorrente spettasse solo il risarcimento del danno e non la
retribuzione>>;

che, con la medesima sentenza, il Tribunale, riuniti
i ricorsi, aveva accolto, con la stessa motivazione, altresì l’opposizione proposta
dalla S. S.p.A. al decreto ingiuntivo (fondato sulla sentenza n. 12241/2009
dello stesso Tribunale), emesso in favore di L.V., C.V. e F.C., le quali si
trovavano nella medesima situazione lavorativa del M.; che il M., la V., la V.
e la C. hanno interposto appello avverso la predetta pronunzia;

che la Corte territoriale di Roma, con sentenza
pubblicata il 27.1.2016 – respinto il gravame della V., della V. e della C.
<<per la mancata conferma in appello del titolo (la sentenza n.
12241/2009) posto a fondamento del ricorso monitorio>> -, ha accolto il
gravame interposto dal M., poiché <<la Corte di Appello di Roma, con la
sentenza n. 24267/2012 aveva rigettato l’impugnazione avverso la sentenza n.
12245/2009, con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato l’esistenza di un
rapporto di lavoro di natura subordinata a far data dal 24.7.2000>> e,
quindi, <<la conferma in appello del titolo posto a fondamento del
ricorso monitorio consente di ritenere fondata la pretesa cosi come vantata dal
lavoratore anche per il periodo successivo alla pronuncia di primo grado
(agosto 2009-febbraio 2010)>>;

che per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso (notificato il 26.7.2016) la S. S.p.A., articolando due motivi, cui
M.M. ha resistito con controricorso;

che sono state comunicate memorie nell’interesse di
entrambe le parti;

che L.V., C.V. e F.C., a loro volta, hanno proposto
ricorso (notificato in data 27.7.2016), affidato ad un motivo contenente più
censure, cui la S. S.p.A. ha resistito con controricorso;

che sono state comunicate memorie nell’interesse di
tutte le parti; che, data la priorità della notifica, il ricorso della S.
S.p.A. va considerato ricorso principale e quello della V., della V. e della C.
ricorso incidentale; che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso principale, si censura: 1) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
la violazione degli artt. 2094 e 2033 c.c., per avere la Corte di merito confermato
il decreto ingiuntivo che ha ingiunto alla S. S.p.A. di versare al M. le
retribuzioni relative ai mesi successivi alla pronunzia del Tribunale di Roma
che, accertando una somministrazione irregolare di lavoro, ha riconosciuto il
diritto del lavoratore ad essere riammesso in servizio dalla società,
<<nonostante sia pacifico che quest’ultima non ha mai richiamato in
servizio il M., cosicché, nei mesi ai quali si riferisce il decreto ingiuntivo,
egli non ha mai svolto in favore della S. alcuna prestazione lavorativa:»>;
2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3,
c.p.c., la violazione dell’art. 2909 c.c.,
perché la sentenza della Corte di merito con la quale era stata respinto il
gravame della società avverso la pronunzia n. 12245/2009 – con cui era stata
accertata dal Tribunale di Roma la sussistenza di una illecita interposizione
di manodopera ed altresì dichiarata < d’esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, ancora in essere>> tra il M. e la S.
S.p.A. e, per l’effetto, era stato ordinato a quest’ultima il ripristino del
rapporto di lavoro – non avrebbe potuto costituire valido titolo per
l’emissione del provvedimento monitorio, in quanto era stata impugnata dinanzi
alla Corte di Cassazione <<ed il relativo giudizio ancora
pendente>>;

che, con il ricorso incidentale, si denunzia:
<<violazione e falsa applicazione degli artt.
336, 112 c.p.c.in relazione agli artt. 1453, 1456, 1460 c.c., nonché all’art.
1206 c.c., 2099 e 2103 c.c.>>, per non avere la Corte di
merito pronunziato <<in ordine all’an (retribuzione), né in ordine al
quantum (inquadramento contrattuale dei lavoratori), in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al disposto degli artt. 1453, 1456, 1460, 1206, 2099 e 2103 c.c.>>;

che il primo motivo del ricorso principale non è
fondato, in quanto, alla stregua del recente ed ormai consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità nella materia – al quale questo Collegio,
ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa
espresso richiamo – (v. Cass., SS.UU. n. 2990/2018 – relativa alla illecita
interposizione di manodopera ed alla natura delle somme spettanti al lavoratore
– ai cui principi ispiratori è stato riconosciuto valore di <<diritto
vivente>> dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 29/2019; e cfr.,
altresì, Cass. nn. 17786/2019; 17785/2019; 17784/2019, che quei principi hanno recepito in
tema di trasferimento di azienda dichiarato invalido), <<in caso di
accertamento di interposizione fittizia di manodopera, laddove il giudice
ordini vanamente il ripristino del rapporto di lavoro con il soggetto interponente,
quest’ultimo è tenuto a pagare le retribuzioni a partire dalla messa in mora,
che corrisponde al momento in cui il lavoratore offre la propria
prestazione>>. Tale interpretazione, <<che fa perno sull’esigenza
di effettività della giurisdizione come valore costituzionalmente
tutelato>> (cfr. Cass. n. 17786/2019,
cit.), su cui la pronunzia delle SS.UU. n. 2990/2018 si fonda, ha trovato, come
innanzi osservato, autorevole conferma da parte del Giudice delle leggi con la
sentenza n. 29/2019, nella quale si sottolinea: <<Secondo le Sezioni
Unite, una prospettiva costituzionalmente orientata impone di rimeditare la
regola della corrispettività nell’ipotesi di un rifiuto illegittimo del datore
di lavoro di ricevere la prestazione lavorativa regolarmente offerta. Il
riconoscimento di una tutela esclusivamente risarcitoria diminuirebbe, difatti,
l’efficacia dei rimedi che l’ordinamento appresta per il lavoratore. Sul datore
di lavoro che persista nel rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa,
ritualmente offerta dopo l’accertamento giudiziale che ha ripristinato il
vinculum iuris, continua dunque a gravare l’obbligo di corrispondere la
retribuzione…>>; si comprende, pertanto, <<come la soluzione
della questione devoluta sia l’inevitabile approdo di un percorso
logico-giuridico di effettività del dictum giurisdizionale, nella sua
soggezione esclusivamente alla legge (art. 101,
secondo comma, Cost.), che non ammette svuotamenti di tutela per la mancanza
di ogni deterrente idoneo ad indurre il datore di lavoro a riprendere il
prestatore a lavorare ovvero affievolimenti della forza cogente della pronuncia
giudiziale che risulterebbe in concreto priva di efficacia per il protrarsi
dell’inosservanza senza reali conseguenze>> (v., ancora, Cass. n. 17786/2019, cit.);

che neppure il secondo motivo può essere accolto,
poiché la sentenza n. 12247/2009, con la quale
è stata accertata l’interposizione fittizia di manodopera ed è stato ordinato
alla società di ripristinare il rapporto di lavoro, non è stata oggetto di
impugnazione nei confronti del M.; inoltre, sia la sentenza
n. 12247/2009, che quella n. 12245/2009, <<sono state ritenute dal
Tribunale, per legge, provvisoriamente esecutive, comportando la condanna, in
dipendenza dell’ordine di ripristino dell’effettività del rapporto, alla
corresponsione di somme di denaro in favore dei lavoratori subordinati (art. 431 c. p.c. ) >> ; per la qual cosa,
correttamente i giudici di appello hanno reputato che le spesse potessero
costituire valido titolo per l’emissione del provvedimento monitorio;

che il ricorso incidentale non è fondato, essendo
dirimente la considerazione svolta nella sentenza impugnata in ordine alla
integrale riforma in appello (con la sentenza n. 5598/2013, resa il 5.6.2013)
della sentenza del Tribunale di Roma n. 12241/2009, resa nei confronti delle
attuali ricorrenti incidentali, con cui era stata accertata la sussistenza di
una illecita interposizione di manodopera ed altresì dichiarata <
d’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato>>,
che costituiva titolo fondante il ricorso monitorio; per la qual cosa, venuto
meno il titolo – e, dunque, l’an – correttamente i giudici di seconda istanza
non hanno proceduto alla valutazione del quantum. Peraltro – sia detto ad
abundantiam – la S. S.p.A. ha provveduto a depositare, unitamente alla memoria
ex art. 380-bis.1 c.p.c., l’ordinanza n. 1844/2019, con la quale questa Corte
ha rigettato il ricorso proposto dalla V., dalla V. e dalla C. avverso la
predetta pronunzia della Corte di Appello di Roma n. 5598/2013; che, per tutto
quanto esposto, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno entrambi
respinti;

che le spese del giudizio di legittimità, liquidate
come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali di cui
all’art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale; condanna la S. S.p.A. al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità in favore di M.M., liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00
per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;
condanna altresì le ricorrenti incidentali al pagamento delle spese del
presente giudizio in favore della S. S.p.A., liquidate in Euro 4.700,00, di cui
Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori
di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2021, n. 17422
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