Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2021, n. 17628

Tributi, Sostituto d’imposta, Sanzioni, Ritenute operate in
misura inferiore, Compensi erogati ai soci, Qualificazione come redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente

 

Rilevato che

 

– la T.S. s.r.l. propone ricorso per cassazione
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del dell’Umbria,
depositata il 3 giugno 2013, che, in accoglimento dell’appello erariale, ha
respinto il suo ricorso per l’annullamento di atti di irrogazione di sanzioni
per erronea esecuzione delle ritenute alla fonte, per gli anni 2004, 2005 e
2006, sui compensi erogati ai soci, operata nella misura del 20% e non nella
(maggiore) misura prevista dall’art.
24, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600;

– il giudice di appello ha accertato che si trattava
di compensi pagati mensilmente per prestazioni accessorie e, in quanto tali,
dovevano qualificarsi quali redditi assimilati ai redditi di lavoro dipendente
ai sensi dell’art. 24, d.P.R. n. 600
del 1973, con conseguente applicazione della ritenuta alla fonte nella
misura ivi indicata;

– il ricorso è affidato ad un unico motivo;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– il pubblico ministero conclude chiedendo il
rigetto del ricorso;

– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.l c.p.c.;

 

Considerato che

 

– con l’unico motivo di ricorso la contribuente denuncia
la violazione o falsa applicazione degli artt. 67, primo comma, lett. I), T.U.
22 dicembre 1986, n. 917, 25,
d.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, 2435 e 2478 c.c., e 10, I. 27 luglio 2000, n. 212,
per aver la sentenza impugnata escluso che gli importi in oggetto fossero
qualificabili, ai fini che interessano in questa sede, quali « redditi
diversi», benché erogati per prestazioni, non consistenti in denaro, rese in
virtù di specifica disposizione statutaria che ne indicava il contenuto e
l’ammontare e, in quanto tali, costituenti obbligazioni connesse
intrinsecamente con i vincoli sociali;

– evidenzia, comunque, la sussistenza dell’esimente
dell’affidamento legittimo fondato su «palesi dubbi ermeneutici», resi evidente
dalla sentenza della Commissione regionale che aveva ritenuto la soluzione adottata
«più convincente»;

– il motivo è inammissibile;

– la sentenza di appello ha riferito che la
contribuente ha omesso ogni indicazione in ordine alla natura delle prestazioni
svolte in suo favore dai soci, potendo unicamente accertare che i compensi erogati,
superiori ad euro 5.000,00 «non sono riferibili ad attività di lavoro autonomo
professionale … e non risultano essere riferibili a prestazioni di lavoro
autonomo occasionale …»;

– né indicazioni più puntuali in ordine all’oggetto
delle prestazioni in esame sono desumibili dal ricorso, il quale omette la
riproduzione della clausola statutaria in virtù della quale tali prestazioni
sarebbero state eseguite;

– orbene, la mera circostanza della riconducibilità
delle prestazioni all’assunzione di un obbligo di fare non è sufficiente a
dimostrare l’applicabilità dell’invocata fattispecie di cui all’art. 67, primo comma lett. I), T.U. 22
dicembre 1986, n. 917, nella formulazione applicabile ratione temporis, e,
dunque, la prospettata violazione di legge, atteso che, da un lato, la
disposizione normativa ha carattere residuale e, dunque, trova applicazione
solo quando l’assunzione il compenso per l’assunzione di un obbligo di fare non
è diversamente disciplinato ai fini dell’imposta sul reddito e, dall’altro, che
la non riconducibilità del compenso erogato ai redditi diversi può trovare
giustificazione, come ritenuto implicitamente dal giudice di appello, in
adesione alla qualificazione dell’operazione effettuata nell’atto impositivo,
con lo svolgimento di attività di collaborazione coordinata e continuativa
senza vincolo di subordinazione, il cui compenso è assimilato a quello di
reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 50, primo comma, lett. c-bis, T.U.
n. 917 del 1986;

– inammissibile è la doglianza anche nella parte in
cui lamenta la mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 10, l. n. 212 del 2000, in
quanto muove dall’erroneo presupposto, di cui non vi è traccia nella sentenza
impugnata, né nel ricorso, che l’Amministrazione abbia ingenerato un
«affidamento legittimo» in ordine alla correttezza dell’operato seguito dalla
società;

– pertanto, per le suesposte considerazioni il
ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della
soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dell’art. 13, d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, se dovuto;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in
complessivi euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso,
a norma del comma 1 – bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

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